12. Il letto

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Il tassista mi lasciò proprio davanti all'ingresso. Mi precipitai fuori dall'auto e mi diressi a passo spedito verso l'entrata. L'ospedale di notte era ancora più inquietante che di giorno, sembrava addormentato, ma in un certo senso sveglio. Mentre attraversavo la hall con un palmo mi coprii la bocca e il naso, perché il puzzo di sofferenza e medicine mi sembrava insopportabile. Detestavo quel posto: odiavo la fontana in pietra al suo ingresso, le piastrelle verde oliva che rivestivano i bagni, e l'odore di disinfettante appiccicato ai muri.

Chiamai l'ascensore, che con uno scossone si fermò e aprì le sue porte proprio davanti a me. Allungai una gamba e feci per salire, quando percepii una mano toccarmi il fianco. Mi voltai e i miei occhi incontrarono quelli di Doug. «Oh, sei qui.»

«Quando mi hai chiamato ero già in macchina. Che piano?»

«Quinto.»

Doug calcò sul pulsante e gli sportelli si richiusero. Cominciammo la risalita e imprigionata tra le quattro pareti il mio respiro si bloccò. Strinsi la giacca intorno al petto e abbassai le palpebre. Era come se attaccate al tetto dell'ascensore ci fossero state tante braccia nere, e più salivo, più sentivo le loro dita attorcigliarsi attorno al mio collo, ed ero sicura che una volta arrivata in cima mi avrebbero strozzato.

«Cara, stai bene? Sembri in debito di ossigeno.»

Aprii gli occhi e presi una boccata d'aria, come se avessi trattenuto il respiro sott'acqua troppo a lungo. «Sì, sì.»

Con un sussulto l'ascensore arrestò la sua corsa, e appena le porte si dischiusero balzai fuori con un salto. Vidi il dottor Henderson fermo davanti all'entrata del reparto. Indossava abiti normali, un paio di jeans e un maglioncino rosso, e stava parlando con un'infermiera.

Mi avvicinai con cautela, come se il corpo dell'uomo che avevo davanti fosse ricoperto da tanti aculei. Il dottor Henderson girò la testa e nel vedermi venne verso di me. «Signora Silvestrin, l'ho fatta chiamare perché dobbiamo operare immediatamente sua madre. La terapia somministrata non ha dato i risultati attesi e l'emorragia al cervello ha ripreso a sanguinare.»

Vidi il braccio di Doug allungarsi verso l'uomo con gli aculei, e le loro mani si strinsero. «Sono il dottor Adams, Ematologo del Lennox Hill. Qual è il quadro clinico?»

«La risonanza magnetica dell'encefalo ha confermato che l'ematoma pregresso non si è riassorbito in modo uniforme, e l'angiografia ha rilevato una malformazione artero-venosa.»

«Capisco.»

«Sto facendo disporre la sala operatoria. Se volete vederla avete pochi minuti. Scusate, ma devo andare a prepararmi.»

Doug cominciò a parlare, ma la sua voce mi arrivava lontana, come se a dividerci ci fosse stato un vetro. Tutto intorno a me cominciò a liquefarsi. Le pareti e anche il pavimento si stavano sciogliendo e non riuscivo più a stare in piedi. Poi sentii un paio di braccia afferrarmi. «Cara! Ascoltami. Se vuoi vederla non ti rimane molto tempo.»

«Non... non so se ce la faccio...»

«Ti accompagno io, non ti lascio sola.»

I tratti del suo viso erano rassicuranti e senza pensarci annuii positivamente. Doug mi prese per mano e cominciai seguirlo come una bambina. La sua presa era calda e morbida e mi lasciai guidare inerme attraverso i corridoi vuoti e asettici. Osservai la sua schiena: la luce bianca dei neon faceva luccicare il suo cappotto grigio. Cominciai a pensare che tutto quello che stavo vivendo non era reale. Doug era solo un fantasma, venuto dal mio passato per aiutarmi a concludere una vicenda irrisolta, quella con mia madre.

A un certo punto le gambe di Doug smisero di muoversi, e anche le mie si arrestarono. Sentii una mano alla base della schiena sospingermi con delicatezza all'interno di una stanza. Il suono regolare, simile a un bip ripetuto all'infinito, mi fece ritornare alla realtà.

Scelte ( seguito di Persa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora