Capitolo 4. Lia.

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                            "Sei sempre stata una ragazzina molto più grande della tua età. Hai sempre voluto correre."
                                 prof. Timoteo Polidori

I passi di Lia risuonano sull'asfalto bagnato delle strade attorno a Sant'Ambrogio, sono passi veloci e decisi, passi di scarpe misura trentotto senza tacchi nè artifici, passi sicuri prodotti da stivaletti in cuoio di colore neutro e di linea semplice e senza fronzoli.
Prima di uscire ha salutato la madre che vive nell'appartamento di fronte al suo, sullo stesso pianerottolo, e le ha promesso che le avrebbe ordinato un nuovo pacco di cotone da uncinetto non appena sarebbe tornata a casa.
Le mani secche e svelte di sua madre sanno come creare piccole opere d'arte colorate che invadono l'intero appartamento, a volte sotto forma di centrini, spesso come morbide coperte e talvolta come piccoli capi di abbigliamento che nessuno (oltre naturalmente a lei stessa) si sognerebbe più di indossare, come certe liseuse da notte e mantelline con le frange.
La mamma pensa che Lia apprezzi particolarmente la sua arte manuale, in realtà a lei piace tenerla impegnata perchè quando si annoia spesso tormenta la badante che poi, ovviamente, si lamenta di rimando e riesce a risultarle persino più fastidiosa della madre stessa.
Che Lia non sia persona da mantelline ricamate è chiaro persino a sua madre, che nonostante non abbia mai fortunatamente interrotto la produzione, non ha più tentato di farle indossare niente in una sorta di passiva rassegnazione che da qualche mese ha il colore della stasi.
Considerato il carattere che aveva un tempo, questa inaspettata mitezza preoccupa molto Lia, che una mantellina rosa la metterebbe persino a fare la spesa - se potesse servire a riavere la madre con quel minimo di lucidità che le era rimasta prima di ammalarsi di Alzheimer e di rendere necessaria una badante.
Negli ultimi mesi, invece, ci sono stati episodi molto gravi di urla improvvise, dimenticanze terribili e varie forme di sofferenza (nella maggior parte delle volte autoinflitta e immotivata) che hanno oltrepassato la barriera protettiva di quel muro che separa i due appartamenti e sono arrivate a ferire Lia esattamente come se l'avesse avuta davanti in ogni momento.
Aver deciso di affittare il monolocale per sè, per staccarsi dal veleno instillato da quella madre a volte assente e a volte asfissiante, era stata un'ottima idea ma soltanto fino a che non era arrivata la malattia a smuovere le acque e a rendere difficile anche solo calpestare lo zerbino.

Le gocce di pioggia corrono sul tessuto teso dell'ombrello, il cielo è carico di nuvole e l'atmosfera è grigia come solo certe giornate di Milano riescono ad essere.
Certe giornate di Milano e alcuni pastelli colorati che aveva da piccola... minuscoli brandelli di cera carichi di sfumature tutte uguali, ormai privi di identità e tutti accumulati l'uno contro l'altro sul fondo del bicchiere, tutti grigi e fondamentalmente inutili.
Arrivata alla sua edicola preferita, Lia si ferma e compra il Corriere.
Oggi la titolare non c'è e al suo posto c'è il figlio, un ragazzo sui vent'anni ancora pieno di acne giovanile e di speranze nell'umanità - almeno, così recita la t-shirt che porta sotto alla felpa dalla lampo mezza aperta.
Lia si è più volte interrogata su come quel ragazzo accetti sempre di buon grado di aiutare la madre a svolgere un mestiere ormai estremamente difficile, in un'epoca in cui tutti - chi più, chi meno - apprendono le notizie dai social e che se non vendi i gratta & vinci e le bustine di cannabis legale rischi seriamente di arrivare a fine giornata con un incasso inferiore a quello dell'accattone che ha schedato la mattina stessa in centrale.
E' sempre stata affascinata da chi si accontenta.
In un mondo pieno di personalità egocentriche e narcisiste, in cui solo se fai carriera hai la possibilità di sentirti realizzato in qualcosa, un ragazzo così giovane che si accontenta di lavorare nell'attività di famiglia è una perla rara.
I social network sono pieni di tiktoker, YouTubers, influencers e sa solo Dio cos'altro sia possibile inserire nello spazio "professione" della pagina principale del proprio profilo.
Sembra che "edicolante" sia una qualifica ormai più che rara, in una moltitudine di nuove professioni che hanno sempre di più l'odore del fumo senza arrosto.
Lia sorride ritirando il resto e si chiede se anche il figlio dell'edicolante avrà un profilo Facebook, poi pensa che probabilmente non avrà nemmeno i social - visto che i giovani della generazione Z stanno vivendo un vero e proprio rifiuto per questo tipo di comunicazione - e all'improvviso si sente tranquilla e sicura che almeno lui non avrà mai problemi o questioni nate su quello stupido sito web e fomentate da quegli altrettanto stupidi utenti con cui ogni tanto si interfaccia controvoglia.
"Pallina33", "VeroUomo_54", "DarkSoul&Spirit" non sono certo i suoi migliori amici - ma ultimamente si sta accorgendo che le uniche interazioni sociali che si sta concedendo sono tutte su quel maledetto portale, e la cosa non fa che aumentare il suo senso di schifo per ciò che la circonda.

Arrivata all'auto parcheggiata sotto ad un tiglio dai rami ancora feriti dalla potatura autunnale, sale e getta il giornale sul sedile del passeggero, poi avvia il motore.
Il cellulare si connette subito al bluetooth della Smart arancione, che è l'unico punto di colore in mezzo al grigio del momento, tra nebbia mista a vapore condita da una fitta pioggia sottile e silenziosa.
Timo non risponde, probabilmente è ancora in università.
Dopo un paio di minuti, però, al terzo tentativo non parte più la segreteria e finalmente può sentire la sua voce.
Ancora una volta sta fumando, Lia comincia a sentirsi in minoranza ed è sinceramente contrariata.
"Ehi..." - parla per prima.
"Ehi, tu. Non dovevamo sentirci questa sera?" - lui sembra divertito, povero Cristo, non sa cosa l'aspetta.
Lia prende la rincorsa con un breve respiro, poi sbotta.
"Non ce la faccio ad aspettare la sera. Devo raccontarti tutto, altrimenti ti assicuro che sbrocco. Timo, ti garantisco che sono a tanto così dal burnout totale."
Timo smette di sorridere, forse inizia a capire.
"Va bene, non preoccuparti. Sono uscito adesso dall'università, vuoi che ti raggiungo da qualche parte o vieni tu qui ai navigli?"
"Sono già in zona, vengo io da te. Avete una biblioteca sotto all'università, giusto?"
"Certo. Ti aspetto nella sala lettura di Criminologia: entra nell'attimo principale, poi vai in fondo a destra e ancora a destra."
"Ok."
"Perfetto. Non ho molto tempo, però. Devo portare Pascal a fare la sua pisciatina."
"Non ci metto molto, te lo prometto."
Timo aspira, poi di nuovo ride.
"Non prometterlo a me, promettilo a quel bastardo"
Lia non ricambia e riattacca, sente che lui si aspettava una risata e invece proprio non c'è niente da ridere.
Se ne farà una ragione.

La biblioteca occupa tutto il piano terra dell'edificio e permette l'accesso sia agli studenti sia ai singoli cittadini. E' una scuola privata, in cui gli studenti pagano rette da capogiro per studiare criminologia e profiling e dalla quale, con un po' di fortuna, in pochi anni usciranno pronti per andare a servire panini imbottiti nei più famosi fast-food d'Italia.
Perchè purtroppo è assodato, e Lia lo sa fin troppo bene, quando vivi in uno Stato in cui tra criminale e giudizio ci sono solo burocrazia e politica c'è poco spazio per chi esercita la psicologia e ancora meno per chi vive di intuizioni come ai profiler non piace sentirsi dire (ma è un dato di fatto).
Tutto questo, probabilmente, le famiglie degli studenti di Timo non lo sanno e continuano imperterrite a pagare quelle tariffe furibonde aspettandosi come minimo di avere un genio in famiglia, una testa illustre, un fenomenale individuo pieno di possibilità per il suo futuro e - magari - anche per quello di chi allo stato attuale gli mantiene gli studi probabilmente pagandogli pure una stanza in affitto dal costo esorbitante e sproporzionato, paragonabile solo al prezzo al chilo dello zafferano o del caviale Beluga.
I passi di Lia riecheggiano nell'ultimo tratto del corridoio che porta alla sala lettura di destra, poi una porta con apertura antipanico le mostra un cartello con scritto "Sala lettura CRIMINOLOGIA" e lei capisce subito di essere arrivata.
Timo sta leggendo un giornale, le gambe lunghe e sgraziate fanno fatica a stare composte sulla seggiola di plastica imbottita e il tavolo le sembra forse un po' troppo basso.
"Ehi... hanno arredato questo posto per i nani di Biancaneve?" - posa la borsa e qualche goccia di pioggia cade sulla superficie ruvida del tavolo.
"Non sai la sofferenza che è per me... Non è colpa mia se sfioro i due metri."
Lia sorride.
"Da piccola ti vedevo così alto e pensavo che fosse colpa mia, che non crescevo abbastanza velocemente... La sapevi questa?"
Timo sorride, con il dito sta giocando con le gocce d'acqua disegnando cerchi sul tavolo.
"No, non la sapevo proprio. Sei sempre stata una ragazzina molto più grande della tua età. Hai sempre voluto correre."
Lia tace per un secondo, forse lievemente imbarazzata, poi si siede.
"Un caffè si può prendere, in questo posto?" - chiede guardandosi intorno e lasciando andare lo sguardo oltre le campate di libri ordinati e ben classificati.
"Certo. Te lo vado a prendere, tu intanto mettiti comoda."
Lia ringrazia con un cenno del capo, poi tira fuori un block notes e una penna e si appoggia allo schienale della sedia per fare un lungo sospiro, in attesa di cominciare.

Quando non dormoWhere stories live. Discover now