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Il viaggio in macchina non ha diminuito per niente il mio malessere, anzi l'ha aumentato.
Pensavo che riuscendo a distrarmi sarebbe andata meglio e magari aumentando il riscaldamento la febbre sarebbe scesa, ma non è stato così.
La testa mi sta esplodendo e il senso di nausea, che ho da quando sono salita in macchina, non fa che aumentare.
Sto seguendo la prima lezione, ma non sono presente come vorrei.
Ad un tratto alzo la mano e il professore mi dà la parola.
<<Scusi se la interrompo, ma potrei andare al bagno?>> Mi fa un piccolo cenno del capo senza rispondermi e ne sono più che grata.
Quando ho la febbre, la nausea è sempre presente.
Recupero la mia borsa e cammino velocemente per andare in bagno e ringrazio il cielo di non aver fatto colazione.
Immersa nei miei pensieri, non mi sono accorta di una figura davanti a me.
<<Ma che cazzo!>> Alzo il volto e trovo Travis Lewis con il volto rosso per la rabbia.
Gli ho rovesciato il caffè, che portava in mano, addosso.
<<Scusa, non l'ho fatto a posta.>>
<<Non me ne frega niente, guarda qui!>> Mi indica la macchia di caffè, al centro del petto, sulla sua camicia bianca.
<<Non agitarti, ho visto, ma->> Mi metto una mano sulla bocca e prima che il mio cervello riesca a realizzare quello che sta succedendo, inizio a correre verso i bagni.
Apro la porta velocemente e mi precipito nel primo bagno che trovo, non mi interessa neanche se è sporco o meno perché appena mi abbasso verso la tavoletta rimetto tutto, tenendomi la testa con le mani.
Come se non bastasse il mio telefono inizia a squillare, ininterrottamente.
Non ho la forza per prendere la borsa ai miei piedi e non ho la forza per cercarlo nelle mille tasche.
Poggio la testa al muro e cerco di respirare e calmarmi.
Non mi piace stare male e non mi piace vomitare, voi direte "ma va, a chi piace stare male?" ma io rispondo che odio sentirmi così perché non mi piace far preoccupare gli altri.
Non mi piace che le persone, a me care, smettano di fare il proprio lavoro o mettano da parte i propri impegni per me.
Mi fa sentire un peso ed io odio sentirmi un peso.
Mi risveglia dal mio stato di trans un ticchettio proveniente da fuori la porta.
Qualcuno sta bussando.
<<Un attimo, sto uscendo.>> Dico tremante, cercando di alzarmi.
Ci sono altri bagni, perché le ragazze bussano sempre e solo in questo?
<<Hazel, tutto bene?>>
Non rispondo perché questa non è la voce di una ragazza, ma di un uomo.
<<Hazel?>> Continua a richiamarmi.
È la 𝑠𝑢𝑎 voce.
<<Sì, tutto bene.>> Cerco di liquidarlo ma continua a pormi domande.
<<Mi spieghi cos'è successo? Sei corsa via all'improvviso.>> Si è veramente preoccupato?
<<Calo di pressione, sto bene. Puoi andare.>>
<<Sei sicura?>>
Sbuffo infastidita, prendendomi qualche secondo, ma alla fine tiro l'acqua e mi alzo.
Apro lentamente la porta e lo trovo davanti a me.
<<Tutto bene?>>
<<Che ti è successo?>> Alzo gli occhi al cielo, allontanandomi di un passo.
Non voglio che senta la puzza di vomito, la mia reputazione vale ancora qualcosa.
<<La smetti con queste domande? Ti ho detto che sto bene...>> L'ultima frase è uscita quasi un sussurro dolorante.
Si avvicina senza parlare e mi prende la borsa, che ho ancora in mano, posizionandola a terra ma, appena tocca la mia mano, si ritrae.
<<Cazzo, tu scotti.>> Si avvicina di nuovo e stavolta mi posiziona una mano in fronte.
<<Grazie per avermelo fatto notare, Tarry. Ti chiamavano mr Ovvio in un'altra vita.>>
<<Perché sei venuta se stai male? Non dirmi che sono cazzi tuoi perché per correre in bagno mi hai rovesciato il caffè addosso.>> Mi indica la macchia marrone, sulla sua camicia.
<<Avevo una lezione importante.>>
<<Avevi, ora torna a casa.>> Cosa?
<<Non puoi dirmi cosa devo o non devo fare, non provarci mai più.>> Gli punto un dito contro, incurante stavolta dell'odore dei miei indumenti.
Che problemi hanno tutti, oggi?
<<Non sono una bambina, so quello che è meglio per me.>>
<<Sì certo e dimmi, quale sarebbe il meglio per te? Vomitare nel bagno dell'università e non voler neanche andare a casa?>> Ingoio un groppo di saliva mischia alla verità.
Se n'è accorto.
Ha ragione.
È quello che voglio fare: rimanere a scuola, perché in quella casa io non ci torno.
Non ce la faccio più a sentire liti o a litigare, io stessa.
Sono ancora in silenzio e non gli ho risposto ma non sembra volersene andare, così riprendo la mia borsa da terra e faccio per uscire dal bagno, con scarsi risultati perché lui si mette in mezzo.
<<Ti accompagno io a casa.>>
<<Che c'è? Adesso vuoi farmi anche da autista personale, Tarry? Ho la macchina e posso tornare quando voglio, non ho bisogno della tua compassione da quattro soldi.>> Dal suo volto non noto nulla, sembra impassibile.
Sono stata cattiva, lo so.
Ma è vero.
Non voglio né la sua compassione né quella di qualsiasi altro essere umano, posso farcela da sola e voglio farcela da sola.
Non ho bisogno che qualcuno mi guardi come una minuscola creatura da dover sempre proteggere e aiutare.
<<Pensi che facendo la stronza acida, cambi qualcosa? Che sia chiaro, a me non frega nulla né di te né del perché vuoi fare la ragazzina viziata e presuntuosa, decidendo di non tornare a casa. Voglio soltanto assicurarmi di non finire nei guai perché, come docente, ho questo compito: assicurarmi il bene degli studenti.>> Sbatto le palpebre, indietreggiando.
A) lui non è un docente e B) come si permette a parlarmi così e a darmi questi aggettivi?
Allora non gli frega proprio nulla di me, era soltanto per evitare di farlo cacciare a calci in culo dalla scuola.
<<Brutto stronzo manipolatore che non sei altro, io non ho bisogno del tuo aiuto. Se è questo che ti preoccupa, farò finta di non averti neanche incrociato, anche se ammetto che mi piacerebbe non rivedere la tua faccia da schiaffi in giro, non voglio neanche rischiare che qualcuno mi ponga mille domande. Ora togliti di mezzo o lo faccio io al posto tuo.>> Vedendo che non si muove, gli do una spinta ed esco dal bagno.
Mi sembrava strano che uno come lui volesse aiutarmi.
Insomma, non ci sopportiamo e tutte le volte non facciamo altro che insultarci.
Ma, arrivare fino a questo punto?
Poteva anche evitare di dirmelo.
Continuo a camminare ma sento altri passi, dietro di me.
Mi volto, aumentando il passo e lo vedo.
<<Hazel, fermati.>>
<<Sparisci, Lewis.>> Apro la porta e mi ritrovo nel giardino della scuola.
Devo solo arrivare alla mia macchina e andarmene, non è difficile.
Certo, sarebbe molto più facile se non mi corresse dietro.
<<Cazzo ma quanto sei veloce?>> Lo sento aumentare il passo e, ad un certo punto, prendermi il polso, per farmi voltare nella sua direzione.
Il mio volto è ad un centimetro dal suo, tant'è che posso sentire il suo fiato solleticarmi il viso e distinguere le sfumature del verde dei suoi occhi che vanno dal più scuro al più chiaro.
Oh, ma cosa sto dicendo?
Hazel, riprenditi.
<<Lasciami subito.>> Cerco di divincolarmi ma mi tiene ancora più stretta.
<<Possiamo parlare?>>
<<No, in che lingua te lo devo dire? Vattene.>> Sbuffa, infastidito.
<<Seriamente? Dopo tutto quello che hai detto devi solo ritenerti fortunato se non ti ho dato un ceffone in pieno volto, brutto figlio di papà.>> Qualcosa nella sua espressione cambia e la sua postura si irrigidisce, mollandomi il polso.
Come se soltanto toccarmi gli provocasse... repulsione?
Scuoto la testa e mi convinco che è meglio così.
Io non lo sopporto e lui non sopporta me.
Faccio per andarmene ma stavolta è il suono della sua voce a bloccarmi.
<<Mi dispiace per averti dato della viziata, ma sbaglio o tu non ti sei mai scusata con me per tutto le cose che mi hai detto o continui a dirmi?>> Non mi volto, ma inizio a parlare.
<<Io non mi devo scusare proprio per niente, sei tu che un giorno ti sei svegliato e hai deciso di rovinarmi la vita.>> La vita, le giornate, il tempo, tutto.
<<Cazzate.>> Lo sento avvicinarsi ma senza mai toccarmi.
<<La prima volta sei stata tu, alla festa dell'alta società, organizzata dai tuoi genitori, a deridermi di fronte a mio padre, storpiando anche il mio nome.>> Okay, questo è vero ma non cambia il fatto che lui mi abbia dato della bambina, quella sera.
<<Hai fatto lo stronzo anche lì, te lo sei meritato.>> Si avvicina ancora di più.
<<Per non parlare della storia del contratto, Lewis. Mi hai impedito di realizzare un mio sogno, perché se tu hai tutto io non ho niente.>> Mi esce fuori di colpo.
Cazzo.
No.
<<Guardami.>> Non mi volto neanche stavolta.
<<Hazel, guardami.>>
<<Perché? Così puoi rinfacciarmi ancora una volta quanto tu sia perfetto e quanto io invece sia stronza?>>
<<Hazel, non lo ripeterò di nuovo. Guardami.>> Sospiro, stringendo i pugni lungo i fianchi e mettendomi la borsa in spalla, mi volto.
Ha il viso rosso per la rabbia e non immagino il mio.
Un mix tra l'arrabbiatura e la febbre.
<<Cosa vuoi? Sai benissimo che ho ragione. Da quando sei entrato nella mia vita, Travis Lewis, hai portato soltanto scompiglio con i tuoi modi bruschi e la superbia di chi ha il mondo in una mano e potrebbe schiacciarti anche solo con un minimo movimento!>> Non controllo più le mie reazioni.
Non so se è la febbre a farmi parlare o tutte quelle volte che mi sono tenuta dentro le cose e non le ho mai dette.
Ma si sa, dopo un po', l'essere umano esplode.
<<Io non sono mai entrato nella tua vita, Hazel Turner, perché non me l'hai mai permesso! Vengo ogni santissimo giorno a casa tua nella speranza di poter aiutare tua zia e tu non fai che provare ad estorcermi delle informazioni o voltarmi le spalle, quando provo a parlarti. Dovrei essere io quello incazzato, non tu.>>
Farlo entrare?
Farlo entrare nella mia vita?
Faccio dei passi indietro, perché so che non riuscirei a controllarmi e a sostenere la conversazione, adesso.
<<Dove vai, adesso?>>
Dove vado?
Non lo so.
Non voglio andare a casa perché ricomincerebbe tutto da capo.
Le grida, le urla con mio fratello.
Non ce la faccio adesso a sopportarlo.
Non ce la faccio.
Sono una cagasotto? Probabilmente.
Dovrei affrontare la mia famiglia e dirgli che non mi sta bene che decidano per me, ogni cosa? Sicuramente, ma non ce la faccio.
Nessuno si è mai lamentato e adesso arrivo io, che trovo sempre un problema per tutto.
Mentre cerco le chiavi nelle tasche della borsa, sento gli occhi iniziare a pizzicare.
Non devo piangere.
Non adesso.
Non davanti a lui.
Non posso dargliela vinta.
<<Hazel, aspetta. Mi dici cosa stai facendo?>>
<<Sto andando via, Travis. Me l'hai detto tu.>>
<<Tu non segui mai quello che ti dico.>> È vero.
Cosa mi sta prendendo?
<<Ti accompagno io, ma tu non puoi guidare così.>>
<<Ah adesso oltre che viziata sono anche incapace?>> Domando, aprendo lo sportello della macchina.
Prima di poter entrare, mi ferma prendendomi dal braccio.
<<Cosa vuoi ancora?!>>
Il suo sguardo adesso è diverso.
Mi sta guardando, mi sta guardando veramente.
<<Per favore, ascoltami una buona volta e stai ferma. Ti accompagno io, ovunque tu voglia, ma scotti Hazel. Hai la febbre e non puoi guidare in questo stato. Permettimi di rimediare anche solo ad una cosa che ho fatto.>>
<<Così non potrò più rinfacciartela?>>
<<Pensala come vuoi, non mi interessa, l'importante è che non sali su questa macchina da sola.>> E ora?
Cosa faccio?
<<Per favore.>> Sospiro e abbasso lo sguardo, non riuscendo più a contenere il suo addosso.
Gli lancio le chiavi della mia auto e salgo nel sedile del passeggero, prima che lui possa dire altro.
Per un attimo mi guarda spaesato, come se non pensasse o riuscisse a credere che io l'abbia veramente ascoltato.
Ma alla fine sale in macchina e mette in moto.
<<Dove andiamo?>> Bella domanda.
<<Non lo so.>> Sussurro, guardando il finestrino per non incrociare il suo sguardo.
<<Ti riaccompagno a casa?>> Scuoto la testa, velocemente.
Fare tutto questo movimento non è stata affatto una buona idea, perché adesso ho male ovunque.
<<Come no? Allora dove vuoi che ti accompagni? Devi cambiarti, Hazel. E devi riposare.>> Non rispondo neanche stavolta.
Non voglio andare a casa ma so benissimo che ha ragione lui.
<<Va bene, facciamo così.>> Lo guardo, inarcando un sopracciglio.
<<Che intendi?>> Sono un po' preoccupata, lo ammetto.
<<Hai appena detto di non voler andare a casa ma hai bisogno di cambiarti, Hazel. Ora andiamo da me.>> Da lui?
Che cosa?
<<No, aspetta che intendi? Come da te?>> Mi inizio ad agitare sul sedile e non so neanche io il perché.
<<Da me, Hazel. A casa mia. Ti cambi e, quando ti sarai calmata, ti riaccompagnerò a casa.>> La sua non è una domanda ma mi guarda come per avere una mia conferma, così annuisco.
Cosa posso fare altro?
Allison, in questo momento, non è a casa perché anche lei sta seguendo i suoi corsi per diventare avvocato e William la stessa identica cosa.
Leila? Lei non l'ho incrociata oggi ma sono sicura sia ancora in università.
Ad un tratto mi ricordo che prima, quando ero in bagno, il mio telefono aveva squillato quindi lo prendo e trovo una chiamata persa di mio fratello e un messaggio, sempre da parte sua, dove mi ricorda che questa sera abbiamo un'importante incontro.
Sospiro e abbandono di nuovo la testa al finestrino.
Sono stanca.
Stanca di tutto, così decido di non rispondere e mettere nuovamente il telefono dentro la borsa.
<<Tutto bene? Ti fa male qualcosa?>>
<<Bene, va tutto come deve andare.>> Non mi chiedo neanche perché Travis stia facendo quest'atto di gentilezza nei miei confronti.
Sospetto che sia per il senso di colpa che, anche se non ammetterò mai, ho anche io nei suoi confronti.
Tante volte gli ho fatto fare figure di merda con i professori, quando gli rispondevo a tono, oppure con i miei genitori, quando ho fatto quella scenata per mia zia, e ho messo in dubbio il suo lavoro.
Ma questo ancora non mi è sceso.
Non voglio che si metta in mezzo su quella che è la mia vita e mia zia ne fa parte, quindi significherebbe aprire ad un estraneo il mio mondo e non sono pronta.
Non credo lo sarò mai.


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