Chapter 10: Il principe di mamma

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Mia madre, con affetto, mi avvolse tra le braccia mentre cancellava con dolcezza le mie lacrime, e mi disse così: "tu me ressemble, mon fils". Con uno sguardo triste, confessò che le somigliavo, ma non come può dirlo un padre. Un padre, quando individua tratti di sé in un figlio, è sempre pervaso di orgoglio. Invece, quando è una madre a riconoscersi nel proprio figlio, si avverte un non so che di disperazione, come se comprendesse i passi che avrei dovuto compiere, le sfide che avrei dovuto affrontare, e ciò le pesasse come un pesante fardello d'amore.

Ironico come un uomo razionale e avido di conoscenza come me sia precipitato come una falena intrappolata nella tela della propria psiche. Sapete che esiste una "Teoria dell'Attaccamento", coniata dallo psicologo John Bowlby? E suggerisce che i modelli di attaccamento sviluppati durante l'infanzia influenzino le scelte di partner romantici in età adulta. Ad esempio, chi ha vissuto un attaccamento sicuro con la madre potrebbe cercare una compagna che gli offra un senso di sicurezza e supporto simile a quello sperimentato con lei. Ed io, che in cuor mio l'ho sempre saputo, ho provato in tutti i modi a respingere questi miei bisogni isterici e patetici.

Olivia, per esempio, era l'antitesi di mia madre. Indubbiamente dolce, persino affettuosa nei miei confronti, ma a tratti superficiale, sempre cauta nel concedersi completamente. Sempre impeccabile, una bellezza spaventosa, con un corpo da incanto, lingerie di pizzo parigino, una dialettica raffinata e una mente totalmente concentrata sul lavoro. Perfetta, brillante, eppure, perché la sua perfezione non mi faceva vibrare di vita? Perché, quando la osservavo nuda sul mio letto, non provavo alcuna emozione e mi trasformavo in un automa programmato per compiacerla? La sua perfezione, paradossalmente, sembrava creare un vuoto in me anziché colmare il mio desiderio di una caduta libera.

Maledetta Psiche.
Maledetto io.
Maledette queste mani che incapaci di afferrare, lasciano semplicemente cadere.

Il mio cognome.
Questo corpo.
Questo corpo che cerca incessantemente qualcosa in cui affondare e rimanere.

«Signor Lancaster, può entrare»

«Sì, al solito, vorrei restare solo con lei»

«Certamente, noi resteremo fuori la porta per qualsiasi necessità»

Puzza di antisettico misto a detersivo si insinuò nelle mie narici e in ogni angolo della clinica come un boia invisibile pronto a strangolare qualsiasi mia speranza di conforto, e avvolgendo la mia esistenza nel suo abbraccio privo di calore. Un'atmosfera sterile, chirurgica, che si fece complice della mia agonia interiore, come se ogni passo all'interno di quelle mura fosse un ulteriore passo verso la dissoluzione della mia identità. E mentre il profumo pungente invadeva i sensi, mi chiesi se il disinfettante potesse eliminare anche il contagio invisibile della mia disillusione, o se il suo potere si limitasse a pulire le superfici visibili, lasciando intatto il marciume che corrodeva il mio essere.

Entrai e mi sedetti con le gambe incrociate sulla poltrona accanto a lei, che era intenta a guardare i bambini giocare fuori dalla finestra. «Maman» dissi. «Sono Theo»

Lei si voltò, i suoi occhi percorsero il sentiero del mio volto con la lentezza di un calice rotto in cerca dei suoi frammenti perduti. Dalla fronte alle orecchie, dai capelli al colore delle iridi, li sentii pungere sulla pelle mentre scrutavano come voraci falchi alla ricerca di qualcosa, o forse qualcun altro, qualcuno che, mio malgrado, non mi assomigliava più.

«Menteur, ceci n'est pas mon fils» mormorò, e il suono delle sue parole, seppur lieve, fu per me come l'urlo tagliente di una bestia ferita.

Feci un lungo respiro, sentendo il peso delle sue parole riempire l'aria viziata della stanza, ma sembrava non essere sufficiente a dissipare la pesantezza che si era impadronita del mio petto. Ecco, ci ritrovavamo ancora una volta in uno di quei giorni in cui era ferma al freddo dicembre del 2006. Guardavo il suo volto, sperando in un barlume di riconoscimento nei suoi occhi offuscati dal passare degli anni. Ma la realtà crudele si svelava davanti a me come un pugnale affondato nel mio cuore: ero un estraneo per lei, un riflesso di un bambino che non esisteva più, almeno nella sua percezione distorta dalla malattia.

Rêverie di Mezzanotte - 𝘽𝙇𝙐𝙀 𝙇𝙊𝙏𝙐𝙎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora