10- 𝙊𝙣 𝙩𝙝𝙚 𝙣𝙖𝙩𝙪𝙧𝙚 𝙤𝙛 𝙙𝙖𝙮𝙡𝙞𝙜𝙝𝙩- 𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

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«Non dica che non l'avevo avvisata.» Risposi in un sorriso amaro.

«Sai, Amelia, può essere che capisca i suoi errori, come no.» Iniziò a confortarmi mettendomi una mano sulla spalla. «Ma di certo puoi essere fiera di una cosa: hai dimostrato carattere poco fa. Hai provato rabbia, l'hai esternata, hai accettato l'emozione provata e hai agito di conseguenza.»

«Certo, sono qui..mica mi sbattete fuori?» chiesi preoccupata.

«Assolutamente no.» Disse sorridendo «Ma serviamo anche a questo: sei in una struttura protetta, hai dato prova di farti valere. Vuol dire che inizi a riconoscerti come persona, non solo come figlia modello e pattinatrice. E' un piccolo passo avanti, non pensi?» Domandò invitandomi a ragionare.

«Penso solo di aver perso anche mia madre.» Dissi con una vena di pentimento.

«Il fatto che tu adesso senta di averla persa, non significa che prima dovessi assecondarla per il timore di restare sola. E ricordati che questo è solo quello che pensi, non significa che corrisponda alla realtà.» Spiegò con tutta la pazienza di questo mondo.

«Cioè?» ero confusa dalla sua ultima affermazione.

«Non credo tu abbia perso tua madre, Amelia. Credo lei sia stata spaventata dalla prova di carattere che hai dato, ma non credere che se ne sia andata per sempre. Ti vuole bene, a modo suo, so che vi volete bene. Lo scontro va sperimentato, metabolizzato, vissuto e accettato. Fa parte delle relazioni e della crescita di esse. E' normale.» La sentii sicura, come se avendo assistito a centinaia di liti tra pazienti e genitori, le sue parole si fossero sempre rivelate veritiere.

La ringraziai dal profondo del cuore, certa di avere nuove cose su cui riflettere, e cercai di ricompormi asciugandomi prima gli occhi con i polsini della felpa, poi sistemandomi i capelli alla buona pettinandoli con le dita. Inspirai profondamente, lasciando che l'aria mi riempisse i polmoni, ed espirai espellendo con la stessa aria gli ultimi singhiozzi. Mi ero calmata.

«Ti andrebbe di andare a vedere se qualcuno in cucina ci prepara una tisana?» propose la Cameron.

«Magari. Grazie doc, per tutto.» dissi sincera. Per quanto le frasi di mia mamma colpissero come pugnalate in pieno petto, parlare con lei sortiva sempre un effetto lenitivo.

«Sono qui per questo» e mi sorrise. «Un'ultima cosa: sono ben che fiera che tu abbia dimostrato carattere, ma mi prometti che cercherai, le prossime volte, di esporre le tue emozioni e le tue ragioni con un pizzico di assertività? Devi far valere il tuo punto di vista, Amelia, è giusto farlo. Magari però, con un po' di riguardo in più? Aiuterebbe entrambe a discutere in modo efficace. Urlarvi contro non serve a nessuno delle due.» Mi riprese.

«Ma l'ha sentita? Mi ha dato su i nervi, la sua ultima domanda nello studio. Non ci ho più visto» Dissi in tono confidenziale, cercando di giustificare i toni sgarbati usati poco prima.

«Posso capirlo. Ma il modo in cui parliamo scatena delle reazioni nella mente dell'interlocutore. Se io mi pongo con un tono di voce alto e nervoso, riceverò una risposta con lo stesso registro. Se ti poni con tua madre in modo cauto e assertivo, non si sentirà più in dovere di urlare in risposta. Potrebbe volerci del tempo, ma alla lunga questo atteggiamento darà i suoi frutti.» Prese una pausa, per poi concludere: «A piccoli passi, Amelia. A piccoli passi, ricordatelo sempre.» E si alzò, fiduciosa, invitandomi a seguirla.

Uscimmo insieme dalla stanza, e quando arrivammo alla fine del corridoio notai una figura di spalle, che si era chinata a raccogliere qualcosa di grosso e blu. Quando si girò, riconobbi subito cosa tenesse tra le mani: era il mio borsone, quello in cui tenevo i pattini, le ruote di ricambio, e tutte le chiavi per regolare i pezzi del telaio. Sollevai gli occhi, scoprendo che a stringere il borsone tra le mani era proprio Jordan, che mi guardava apprensivo tra i ciuffi di capelli scompigliati che gli nascondevano la fronte.

RESILIENTOnde histórias criam vida. Descubra agora