Appoggiai una mano sul petto, una sul viso; sembrava che avessi la febbre, sembrava che da lì a poco non dovessi respirare più.

«Stai bene? Kyla?!» Qualcuno mi scosse, prese i miei palmi nei suoi, si mise davanti a me e prese dalla nuca.

«Cosa...» Buttai fuori, osservando come fossi arrivata dietro ad alcune siepi e il ragazzo con la maglietta arancione aveva uno sguardo preoccupato.

«Stai bene?» Richiese cauto, sorreggendomi con un braccio, dopo che le gambe avevano cercato di abbandonarmi.

«Sto bene. Tutto va bene.» Dissi a me stessa, dissi a lui. Il suo sguardo era comprensivo, ma non trovavo pena all'interno.
Perché tu non mi guardi come fanno sempre gli altri?

«Se non va bene, non c'è niente di male.» Cercò di sorridermi e in qualche modo mimai la sua espressione. D'un tratto stavo meglio, perché di bene non si sarebbe potuto parlare mai.
Ma Lando aveva lasciato che appoggiassi la testa sul suo petto, con l'orecchio inclinato verso il suo cuore, verso i suoi respiri.
Provai a simulare proprio quelli, regolarizzando i miei e bloccando il punto di non ritorno. Non ero abbastanza forte per un attacco di panico.

«Io...» Alzai lo sguardo, così vicino al suo, «Ti ringrazio.» Sussurrai, non avendo altre forze per aggiungere termini e questa volta misi fine io al contatto.

Tutto ciò che stava succedendo con l'inglese stava diventando strano, dal non parlarsi neanche era diventato... Sfiorarsi? Aiutarsi... Che cosa voleva dire?
Che cosa stava succedendo?

«Se hai bisogno...» Lasciò in sospeso, ma il resto della sua frase arrivò con il suo viso, con i suoi occhi. Quelle parole non dette ma sussurrate fino alla mente.
Risposi con un cenno del capo, un grazie non detto a mia volta, e tornai nel paddock, tra la gente.

L'indomani la pole venne rubata da Mad Max, che sembrava più indomabile del solito, lasciando gli altri a ben due decimi da lui.
Le Ferrari si persero oltre la top cinque, le McLaren invece, lontane, perfino al di fuori dei primi dieci.

La mattina della domenica mi svegliai piangendo; di nuovo Garrett era davanti a me, con le sue valigie, con il suo sorriso.
Ci sei cascata ancora.
Come una stupida.

Mi alzai, infilando quella maglietta nera, i soliti stivaletti scuri, un jeans e il mio cappellino della Pirelli, come se senza perdessi credibilità, come se senza, il mondo avesse potuto mangiarmi.

Vagai alla ricerca della mia crew, trovandoli a fare alcune riprese dei motorhome e recuperai la mia macchina fotografica.

Quel giorno non prevedeva che lavorassi, potevo rimanere ovviamente nell'ambiente, ma senza dover fare interviste. Sarebbero solo state registrate riprese aggiuntive, attraverso elicotteri e nella pit walk, ma io non dovevo parteciparvi.

Perciò camminai prima di pranzo per il circuito, scattando foto alle tribune e ad alcuni fan con i vestiti più originali. Trovai Pierre Gasly intento ad andare in bicicletta da solo e anche quello divenne una foto.
Passammo alcuni momenti insieme, gli mostrai le mie immagini e mi consigliò di condividerle con il mondo, e anche con lui, che intendeva postarle sui suoi profili.

La fotografia era sempre stato un mio sotto sogno, non il più importante, ma all'università avevo dovuto studiare come materia anche quella, e la mia professoressa non perdeva l'occasione di sottolineare la mia bravura. Ma il giornalismo veniva prima.

Un tempo... Prima anche di lui.

Le piante verdi di Melbourne mi fecero tornare cosciente. Il circuito era quasi finito, il giro per scappare dalla realtà stava per terminare.

Mad Max | Max Verstappen | Vol. 5Where stories live. Discover now