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QuandoHimiko Toga era piccola, aveva una caratteristica comune di tutti ibambini:non capiva cosa fosse giusto e cosa invece non lo fosse.

Eraappena iniziata la primavera e i suoi genitori l'avevano portata afare una gita, la prima vacanza della sua vita: un picnic sotto ifiori di ciliegio in piena fioritura. La piccola non poteva esserepiù emozionata e raggiante di quanto lo fosse in quel precisomomento Correvaavanti e indietro sotto gli alberi in fiore, cercando di afferrarepiù petali di quanto fosse umanamente possibile e li lasciava inacqua, ammirandoli mentre scivolavano sul laghetto come piccolebarche. Fu anche il turno di alcuni rametti che aveva trovato neidintorni, con i quali spingeva i petali per addentrarli più verso ilcentro dello specchio d'acqua.

Minutidopo si trovò stanca e sudata per via delle varie corse, a riposarele gambe su una roccia lì vicino.Intanto,delle anatre gioivano in quel lago, con biondi anatroccoli alseguito. Uno di questi si avvicinò alla bambina e iniziò a beccarei petali sulla superficie dell'acqua. Attirò vivacemente la suaattenzione. Una piccola Himiko di 7 anni sorrise."Voglioessere anche io così carina!" pensò, continuando a sorridere,il suo sorriso largo lasciava trasparire i canini appuntiti. Sialzò e si incamminò canticchiando, verso il punto da picnic sceltodai genitori. "Mamma, mamma!" iniziò a chiamare. "Vieni,mamma!", iniziò a tirarla per la manica.

"cosac'è" rispose lei con un tono di voce distaccato che nessuna madreamorevole avrebbe rivolto alla stessa figlia.



"VIENI!con me!" rise la bambina, tirandola ancora di più. La donna nonebbe altra scelta. Sospirò e si lasciò trascinare, come inerme alleinsistenze di Himiko, verso il laghetto.Unavolta arrivate, iniziò a tirarla ancora di più mentre con l'altramano indicava la bellissima famiglia di anatre che nuotava allegra."Guarda che belli!" esclamò la bimba."Sì,Himiko, sono molto belli..." annuì la madre. Fece per tornareindietro, ma si sentì di nuovo strattonare la manica dellamaglietta."Mamma,sarò mai così carina?" chiese la bimba ingenuamente col suosolito sorriso, indicando l'anatroccolo più vicino alla riva, quelloche poco prima stava beccando i rosei petali nell'acqua. "Carinacome questo anatroccolo?"Lamadre la osservò per un istante, dopodiché si sforzò ad annuire.In realtà aveva smesso di trovare la sua stessa bambina "carina"già da un bel po'. Molto probabilmente tutto era iniziato l'annoprima, quando la piccola aveva iniziato a manifestare il suo quirk,tendenze alla forte ammirazione e un particolar gusto verso il sanguedi qualsiasi essere vivente che ella ammirava. Da allora la donnaaveva iniziato a provare un forte sentimento di rigetto e repulsioneverso la piccola, oltre un forte disgusto e odio verso sé stessa pernon riuscire ad amarla e per aver partorito un demone del genere. Sipoteva definire un sentimento di avversione misto a senso di colpa evergogna: cosa avrebbero detto gli altri di una madre che non riescead amare la figlia? Una madre che prova ribrezzo verso sangue del suosangue?Ladonna si sentiva indifesa di fronte ad una situazione del genere, adun quirk tanto potenzialmente pericoloso quanto lo fosse quello dellabimba. Ovviamente cercava comunque di essere una buona madre, non lefaceva mancare niente delle necessità basilari di cui un bambino habisogno: le preparava da mangiare, la spronava con gli studi, laaiutava con i compiti a casa, l'accompagnava a giocare al parco, amangiare fuori; aveva persino iniziato a portarla ad una terapia percontenere quirk pericolosi, tutto per il suo bene... però nonriusciva ad amarla. La sola vista del sorriso di quella bambina ledava la nausea. Faceva tutto ciò soltanto perché in quanto madreera suo dovere farlo. Sovrappensiero,non si era accorta che la figlia si era allontanata e la stavachiamando. "Mamma, guarda guarda!"Himikosi avvicinò di nuovo a lei, con l'anatroccolo tra le mani. "Saiche se voglio posso provare a diventare carina come loro!"Dettoquesto aprì la bocca e fece per addentarlo, come aveva già fatto inpassato con altri piccoli animali, ma la madre la precedettestrappandoglielo dalle mani e ributtandolo nei pressi del lago doveera stato preso. "HIMIKO!"urlò "Cerca di essere normale, una dannata volta! Siamo fuoricasa ora, non puoi comportarti così in pubblico!"Silenzio.Le altre persone intorno osservavano la scena, qualcuna si sussurravaqualcosa all'orecchio o cercavano di far finta di niente. Nell'ariasi udì un lieve "povera bambina, con una madre simile"Ladonna si vergognò come mai si era vergognata prima, non c'era limitea quello che riusciva a farle vivere quella ragazzina...Lìdavanti la piccola Himiko non disse nulla; semplicemente si rattristòe, per non esser di peso alla madre, si allontanò per gestire megliole emozioni che provava in quel momento. Si mise seduta sulla stessaroccia dove sedeva poco prima, quando l'anatroccolo le si eraavvicinato per la prima volta; iniziò ad osservare le altrefamiglie, compresa la famiglia di anatre. Non stava bene. Per nientebene. Avrebbe voluto un abbraccio in quel momento. E lo sapeva,sapeva per certo che nessuno dei suoi genitori l'avrebbe mai piùabbracciata, perché lei in fondo sentiva che loro non l'amavano. Losentiva ogni volta che il papà l'accompagnava a scuola, quandomentre lui le dava innumerevoli raccomandazioni sui comportamenti chenon doveva manifestare, la compagna di classe riceveva la merenda,una caramella ed un bacio sulla fronte. Lo sentiva ogni volta che lamamma l'aiutava con i compiti a casa, quando le chiedeva "poigiochiamo?" e lei le rispondeva di sì, ma ogni volta era troppostanca o doveva lavare i piatti. Lo sentiva anche quandoeffettivamente la portavano fuori al parco a giocare, quella volta incui un bambino le tirò i capelli e non aveva nessuno dalla sua partea difendere la sua posizione. Lo sentiva ogni volta che notava come igenitori degli altri di solito abbracciassero i figli, perché i suoicon lei non lo facevano.Lasua voce per gli altri era come se non esistesse, un suono tantoflebile quanto quello del vento; ciò che aveva da dire in quanto"bimba strana" non veniva mai preso in considerazione, ognisuo bisogno affettivo non veniva mai assecondato. Qualera il problema? Se lo chiedeva spesso, ma aveva già una risposta:era colpa sua, i genitori non l'amavano perché era una bambinacattiva. Agli altri bambini non piaceva il sangue, non sorridevanocome sorrideva lei, in quel modo che avevano spesso definitoinquietante. Quindi lei era cattiva. E i bambini cattivi non meritanodi essere amati, né le caramelle né i baci sulla fronte. I bambinicattivi meritano solo raccomandazioni su come non essere bambinicattivi. Leiera un mostro, lei aveva fatto persino del male."Aspetta,ma se sono così..." pensò Toga "Merito che mamma e papàmi vogliano bene?"Siritrovò sull'orlo del pianto: lei era sola. Completamente sola. "Loronon me ne vogliono, perché sono cattiva, e se sono cattiva nessunome ne vorrà mai."Siportò le mani attorno alle ginocchia ed è così che scoppiò in unpianto forte e disperato."Perchésono così?""Ionon dovevo nascere""Perchésono nata?"Lasua mente la colpiva con tutta la forza che aveva, con un pensierodistruttivo al secondo, al punto che il modo in cui iniziò acolpirsi ripetutamente la testa con i suoi stessi pugni sembravaquasi come se lei stesse cercando di contrattaccare.Solaal mondo.Eprobabilmente lo sarebbe sempre stata per via della sua sfortuna: unquirk totalmente inadeguato per la società nella quale viveva; unquirk da supercattivo, inadatto in una società nella quale venivanoelogiati gli eroi; ed era qualcosa che lei non aveva scelto, la suanatura. Ci fosse stata una soluzione sarebbe ricorsa ad essa, ma labambina non ne trovava; la terapia le insegnava soltanto come nonessere sé stessa, a come mascherare tratti di personalità cheavrebbero potuto dare fastidio agli altri. Altre milleraccomandazioni su come non essere una bimba cattiva. Ma a lei ilsangue piaceva. Il valore della vita non lo capiva. Il sangue eradelizioso, specialmente quello delle persone che amava.Mentreera sovrappensiero, non si accorse di alcuni piccoli passi che sierano avvicinati a lei."Ehi"sentì la voce di una bambina che avrebbe potuto avere più o meno lasua stessa età. Himiko alzò lo sguardo e notò una ragazzina dagliocchi tondi e grandi che la fissava incuriosita."Perchépiangi?"Aquella domanda, il pianto di Himiko si fece ancora più intenso.L'altra bambina, come risposta, le accarezzò semplicemente la testa:"Tranquilla,ci sono qui io ora." Le sorrise."M-misembra la catchphrase... di quel famoso eroe..." biascicòHimiko tra milioni di lacrime che le scendevano sulle guance. "IntendiAll Might? Sì, lo dice spesso!" Laragazzina dal caschetto marrone si sedette di fianco a Toga e cercòdi iniziare una conversazione per distrarla. "A te piacciono glieroi?""Chesenso ha... Io non sarei qualificata per diventare un'eroina, nonpotrei mai diventarlo.""Oh,ma nemmeno io!" le disse l'altra "Non so quanto un quirk digravità possa essere utile nel caso io voglia diventare un'eroina,però... ho una motivazione per provarci.""Cometi chiami?" aggiunse poi."Michiamo Himiko... Himiko Toga.""Ioinvece sono Uraraka Ochako, piacere!"Laprima impressione che Toga ebbe di Ochako fu come questa mostrasseun'allegria quasi contagiosa e frizzantina. Decise che già lepiaceva. La nuova conoscente le porse un fazzoletto che aveva intasca e cominciò ad asciugarle delicatamente le guance. Himiko stavaper sorriderle, poi ricordò quanto il suo sorriso già dicesse aglialtri di quanto lei fosse una bimba cattiva. Si trattenne."Tiho notata da lontano, ho visto che piangevi quindi ho deciso divenire a parlarti." aggiunse Ochako. "E quindi ho chiestoai miei genitori se potessi farlo, e hanno detto di sì... Aproposito, i tuoi?""Loronon mi vogliono." mugugnò Himiko, girando lo sguardo dall'altraparte.L'empatiadi Ochako le suggeriva sarebbe stato meglio non chiedere nulla dicose riguardo le quali l'altra ragazzina non sembrava invogliata acondividere. Parole di conforto sarebbero state vane, non conoscendola situazione familiare dell'altra. Decise di non dire niente sullaquestione e di avvicinarsi piano all'altra, lanciandole occhiatecuriose con la coda nell'occhio.L'altrala guardò."Chec'è?""Vorrestigiocare con me?" chiese Uraraka, tutto d'un fiato. Himikola guardò sorpresa. "Giocare?""Sì,giocare." ripeté la castana."Nonho mai giocato con un'altra bambina prima..." disse pensierosala bionda "Tutti a scuola hanno paura di me o dicono che sonostrana."Urarakala fissò interrogativa. "Eh? A me sembri una bambina del tuttoordinaria."Inquell'esatto momento un macigno enorme si sollevò nel petto diHimiko Toga. Ordinaria. Normale. Una bambina normale. Non cattiva.Non un demone. Non un mostro. Himiko Toga era appena stata definitauna bambina ordinaria. Eppure c'era questo minuscolo pensiero cheancora la preoccupava: la sua nuova conoscente non sapeva affatto delsuo quirk. E Himiko non sapeva come avrebbe reagito se l'avessesaputo, l'avrebbe rifiutata anche lei?Peròle venne un'idea: forse per una sola giornata avrebbe potuto fingeredi essere davvero una bambina come tutte le altre. Soltanto fingere.E divertirsi. Almeno quello.Perla prima volta da quando si erano conosciute, Himiko sorrise adOchako, un sorriso pieno. "Sì, andiamo a giocare!"esclamò.Ledue bambine andarono a sedersi insieme sotto un albero di ciliegio ecominciarono ad organizzarsi: a cosa avrebbero giocato?"Haiqualche idea, Himiko?" chiese la bimba col caschetto."Primastavo giocando a lanciare petali nel fiume, era divertente!"suggerì Toga."Mhm..."fece Ochako "Non dico sia una brutta idea, ma... andiamo aprendere dei petali, ti mostro una cosa."Ecosì fecero, andarono in giro a raccogliere più petali di ciliegiopossibile per poi sedersi di nuovo sotto l'albero di prima con ilbottino."Da'qua." Ochako prese i petali e iniziò a toccarli, per poilanciarli ad Himiko.Consorpresa della bionda, questi non toccavano terra né le cadevanoaddosso: volteggiavano intorno a lei, come avvolta in una danza dipetali rosa."Wooow,Ochako, il tuo quirk è fenomenale!" esclamò sorridendogioiosamente."Erasolo per vederti sorridere!" rise l'altra. "Vedi, non staipiù piangendo ora."Lapiccola Toga si accovacciò sulle ginocchia e iniziò a raccogliere ipetali; stessa cosa fece Uraraka. Iniziarono a giocare gettandoseliaddosso, petali che mai toccavano terra, e passarono così un buonquarto d'ora. Sisedettero di nuovo, una affianco all'altra. "Himiko, ora ti vadi giocare a nascondino?"Siaddentrarono in mezzo agli alberi di ciliegio, fin quando le famiglieintorno non sparirono dalla loro vista. Erano circondate da roseialberi e natura, un luogo perfetto per nascondersi. Decisero che ilprimo turno doveva essere Uraraka a contare, fino a dieci, comeavevano stabilito. "Uno, due, tre, quattro, cinque..."iniziò la bambina accanto al tronco di un albero.

Toga,intanto, cercava un posto adatto in cui l'altra non sarebbe riuscitaa trovarla. Per prima cosa analizzò l'ambiente circostante:nascondendosi tra i cespugli c'era il rischio che si sarebbe fattamale o sporcata i vestiti, quindi eliminò quell'opzione. Neidintorni non vi erano molte grosse rocce né buche; quindi pensò:mimetizzarsi tra gli alberi sembrava la soluzione più logica inquell'area. E così fece: decise di nascondersi dietro un albero daltronco abbastanza grosso, sperando che Ochako non l'avrebbe notata esarebbe riuscita a fare tana con facilità.

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