Ruby, Don't Take Your Love To Town

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Quel silenzio snervante gli pulsava alle tempie e la freddezza che avvertiva non era solo metaforica: la temperatura era scesa di qualche grado. Ciò nonostante si sarebbe morso a sangue pur di non mostrare apprensione: le quattro telecamere agli angoli della stanza stavano monitorando anche questo ennesimo incontro.

Da quanto tempo era seduto lì, lo sguardo parcheggiato fra le mani intrecciate?

Doveva essere un servizio di routine e invece era più di un'ora che sedeva in quella specie di sarcofago abbacinante.

La ragazza, aveva forse intuito che quella sarebbe stata l'ultima volta?

"Potrai uscire dalla stanza solo dopo che avrà bevuto": l'ordine era lo stesso da settimane e fino a quel momento non era stato difficile rispettarlo. Gli bastava fare il gentile, l'amicone e raccontare qualche storia sul mondo là fuori. In compenso lei mandava giù tutto e poi gli diceva anche "grazie".

Quel giorno però il bicchiere era ancora pieno, abbandonato sul tavolino dove l'aveva lasciato.

I primi giorni restare solo con quell'esserino lo aveva messo a disagio. Il modo arrogante con cui cacciava quegli occhi nei suoi, il vizio di giocherellare con le punte dei capelli - lunghi e nerissimi - le guance scavate nella pelle diafana e la bocca piccola, che non si arricciava mai. Parlava poco e preferiva ascoltarlo.

Non fissarla, continua a sorridere, raccontale di quella volta che...

- Ruby? - aveva detto un giorno, osservando la spilla della sua divisa.

- Il mio nome è Reuben - l'aveva corretta.

- Ruby - guardandolo dritto.

- Reu-ben -, aveva insistito scandendo ogni sillaba.

E il grigio di quellepupille aveva iniziato a incresparsi come sabbia di fiume.

"E' un incarico sensibile", lo avevano redarguito, "Datti da fare".

Si voltò verso il giaciglio dall'altro lato della stanza: ciocche scomposte disegnavano spirali sul cuscino e lei era ancora supina, completamente immobile, occhi al soffitto e respiro regolare.

- D.? -

Nessuna risposta.

- Dafne... per favore - mordendosi un labbro.

Non aveva mai dovuto pregare nessuno prima. Il suono che avevano fatto le sue parole, il loro sapore in bocca, era disgustoso e sentì di odiarla per questo. I colleghi lo avrebbero preso in giro per settimane, a causa delle registrazioni.

Solo il giorno prima avevano chiacchierato serenamente, seduti uno accanto all'altra. Finché con un gesto improvviso la ragazza gli aveva sollevato un ricciolo dalla fronte:

- Sei bello... -, aveva detto, causandogli un brivido freddo lungo la schiena.

Si era irrigidito e per la confusione era uscito dalla stanza senza salutarla.

L'aveva forse offesa? Aveva incrinato la sua timida fiducia?

Si alzò in piedi, muovendosi cauto.

- D. ti ho mai parlato del mio amico Tobias? - afferrando il bicchiere dal tavolo - Sai è un tipo simpatico, ti piacerebbe -.

La temperatura della stanza si era appena alzata di un grado: era lei a renderlo possibile.

- Toby? -

- Sì -, le sorrise speranzoso.

- Il tipo con la passione per gli artefatti del ventunesimo secolo? - e ruotò il corpo verso di lui.

Reuben prese posto nello spazio concavo che lei aveva creato, il bicchiere sempre stretto fra le mani: - Brava, proprio lui. Ma... -

- Tobias odierebbe questo posto - lo interruppe.

Provò a esplorare quella stanza attraverso gli occhi dell'amico: spoglia e impersonale, illuminata da luci a led e sterilizzata fino a bruciare le mucose del naso, ma soprattutto priva di finestre. Praticamente una cella.

Per la prima volta, dopo settimane, provò pena per quella creatura:

- Hai ragione D. -

La ragazzina si mise improvvisamente a sedere, il volto serio.

Che diavolo avrò detto?

- Tu vuoi che beva quella roba -, non era una domanda.

- Sì, come sempre... - facendo spallucce - Cosa c'è di strano, proprio oggi? -.

- Oh Ruby... -

Sbuffò spazientito.

- Smettila di usare quell'atteggiamento con me! - e con un rovescio mandò il bicchiere a schiantarsi contro il muro.

- Sei per caso impazzita? -

Avrebbe voluto prenderla a sberle, stringere le mani intorno a quell'esile collo fino spezzarlo e bruciare quei bulbi oculari che lo tormentavano ogni notte.

- Hai gli occhi lucidi... - avvicinandosi a lui.

- Stronza! - e scattò in piedi.

- Sei arrabbiato con me solo perché per una volta non ti ho lasciato fare quello che volevi -.

Colpito... ma non ancora affondato

- Senti... - iniziò a balbettare - sono qui perché ho delle responsabilità e fra queste ci sei anche tu - ormai non sarebbe più riuscito a nascondere il suo schifo.

- Onoratissima -

- Ho preferito che i nostri incontri fossero amichevoli - e lanciò uno sguardo in direzione della telecamera alla sua sinistra - Essere di compagnia piuttosto che obbligarti a prendere quelle che credo siano delle fottute medicine, altrimenti non saresti qui -

- Credi... Tu, CREDI? -.

Creatura schifosa, maledetto rifiuto interstellare

- Questo è un Ospedale Militare, Dafne! Ti avranno detto dove ti trovi o cosa? - ormai stavano urlando entrambi.

- Ruby, don't take your love to town -

- Cosa? - una sensazione di malinconia opprimente gli affondò nel petto.

- E una vecchia canzone... -

- Vai al sodo o mi scazzo -, quei piccoli piedi nudi sul linoleum gli stavano dando la nausea.

Lei cominciò a canticchiare: "She's leaving now cause/ I just heard the slamming of the door/ The way I know I've heard it/ Slam one hundred times before/ And if I could move I'd get my gun/ And put her in the ground/ Oh Ruby/ Don't take your love to town/ Oh Ruby for God's sake turn around".

- Patetico -, ne aveva abbastanza ma Dafne raggiunse di slancio le sue mani, e gliele strinse:

- Reuben, guardami. Davvero non sai più chi sei? -

Esasperato costatò che se fino a quel momento nessuno era venuto ad aiutarlo, avrebbe dovuto cavarsela da solo.

Lei cominciò a slacciarsi i bottoni del vestito e la stanza a sprofondare velocemente in un girone infernale.

Ormai era in preda alle vertigini ma riuscì a trascinarsi fino allo scomparto d'emergenza e farlo scattare. Si asciugò le mani sudate contro la divisa e afferrò l'arma dal ripiano, che con un clic rassicurante confermò di essere carica. Sarebbe riuscito ad usarla?

Inspirò profondamente e si voltò.

Dafne stava lì, completamente esposta, e indicava uno squarcio pulsante tra il pallore dei suoi piccoli seni. Era un cuore aperto, che poppava come un miserabile neonato.

Reuben scivolò a terra, spalle al muro.

Istintivamente cacciò una mano sotto la divisa, tastandosi freneticamente il petto. Poi, dopo qualche interminabile secondo, alzò volto verso di lei e pianse lacrime di sangue.

Sara De Deo

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 17, 2023 ⏰

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