Capitolo 34: Scuse e incertezze - ✓

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«Noah? – si stupì Dave con sguardo incredulo e confuso. – Che diavolo di fine hai fatto? Ti ho cercato dappertutto. Mi è sembrato strano non trovarti a letto alle sei del mattino.»

Ora che vide meglio il ragazzo, tuttavia, quasi trasalì. Non aveva una bella cera; il volto sembrava più pallido del normale, gli occhiali erano sporchi, i capelli scompigliati, i vestiti della sera prima e le occhiaie più preoccupanti di quanto ricordasse, a stento riusciva a tenere le palpebre aperte. Eppure, nonostante si fosse fermato davanti a lui e lo avesse riempito di domande neanche di prima di mattina, non arrivò alcuna lamentela scorbutica. Si aspettò qualche dolore muscolare per colpa della corsa e degli sballottamenti della giornata precedente, incluso il postumo dello sfregio al braccio, tuttavia Noah rimase lì, a fissare un punto che non fosse lui, spaesato sul pavimento.

«Noah? Tutto...bene?» riprovò con una punta di accoramento.

Noah si riprese, facendo qualche passo indietro quando notò Dave avanzare verso di lui. «'m fine. Stavo solo...pensando.» tese il braccio, pentendosene subito dopo quando la ferita e la posizione errata durante la notte lo fecero vibrare. «Spostati, devo prendere le mie cose.»

Dave inarcò un sopracciglio e si spostò quanto bastava per il ragazzo di sgattaiolare, dandogli quasi una spallata. Lo vide entrare a passo pesante, gettando lo zaino con malagrazia sul materasso e chiudendosi in bagno per darsi una sciacquata prima di cambiarsi. Ok, c'era palesemente qualcosa che non andava in lui. 

Gli sembrava una miccia pronta per esaurirsi ed esplodere, ma questo non poteva spiegare il perché non lo avesse trovato a letto quando lui si era svegliato mezz'ora prima della sveglia. Sei ore gli erano bastate per ricaricare le pile; gli occhi erano scattati aperti come se avesse dormito abbastanza e il suo corpo fosse sazio. Tuttavia non aveva voluto imitare l'allarme militare e obbligare Noah a rinunciare a trenta minuti, così aveva aspettato. 

Non udendo alcuna lamentela al suono assordante del suo cellulare, aveva deciso di accendere la luce del comodino, sbiancando quando si era incontrato con il posto vuoto del giovane. Le coperte erano accartocciate, come se fossero state vittime di un tornado. Non aveva trovato le sue scarpe e il suo zaino, perciò preoccupato lo aveva chiamato subito al telefono. Non rispondendo per circa tre volte, aveva deciso di prepararsi per andare di persona a cercarlo. Dagli occhi neri, sembrava che non avesse chiuso occhio e fosse andato da qualche parte: non c'erano altre spiegazioni.

Noah riaprì la porta del bagno, vestito con una t-shirt nera, la stessa felpa grigia, adesso con il cappuccio alzato, e i jeans dell'altro giorno, ripuliti nei punti in cui si erano sporcati di terra – col cavolo che sarebbe uscito con i pantaloncini. Chiuse il borsone, riprese lo zaino e si avviò verso l'uscita.

«Ho parlato con Stella, poco fa.» ruppe quell'atmosfera tesa e instabile per fare conversazione. «Ha detto che nella villa di Jung non hanno trovato il cellulare di Anthony e che-»

«Ce l'ho io.» lo troncò Noah, lanciandogli il dispositivo in questione senza guardarlo per poi oltrepassarlo e dirigersi alle scale.

Dave lo afferrò al volo, la meraviglia evidente. «Lo hai sempre avuto tu?» prese a camminare per tenere il passo.

Il giovane mugugnò in assenso. «È crittografato, non sono riuscito a risalire al mittente dei messaggi. Ma non provare a metterlo in custodia, continua ad essere una chiave e il caso è di entrambi, perciò nessuno oltre a noi due ha il diritto di toccarlo.»

«Aspetta. Stanotte hai per caso provato a violarlo?» il soldato non fu in grado di contenere lo sconcerto.

«Muoviamoci a tornare a Washington e a scoprire se Anthony abbia incontrato Y o chiunque gli stia accanto.» venne ignorato.

MIND OF GLASS: OPERATION Y [IN REVISIONE]Where stories live. Discover now