La parte peggiore è che nessuno interviene, non viene difeso o compreso.

Fa tutto schifo.

È diventato solo ciò che ha fatto, definito da un gesto sbagliato, senza che qualcuno provi a capire.

Non ha senso.

Non ha senso come la gente si lasci influenzare, sentendo una singola campana, come accetti per vera una sola versione, come non provi a vedere le sfumature di quanto accaduto e cancelli qualcuno per amor di una errata giustizia morale.

Ben presto, i suoi vestiti emanano un forte odore di caffè e ancora gocciolano, sporcando il pavimento.

Simone si china per poter raccogliere il bicchiere ormai vuoto. Quando rialza il capo, davanti si ritrova un volto conosciuto.

Manuel è di fronte a lui, regge un fazzoletto di carta tra le dita e glielo sta sporgendo.

Per quanto voglia accettare quel suo gesto cordiale, Simone non può evitare di rivolgergli un'occhiata truce, arrabbiata, trattenere poi le lacrime e scansarlo, allontanarsi. Raggiunge in poche falcate il cestino di plastica rigida, per lasciarci dentro il bicchiere della bevanda che non ha potuto consumare.

Esamina l'ambiente attorno, spaesato.

Dentro a quella prigione non pare esserci un posto sicuro e ci sono spine che possono fargli male ovunque.

«Simò».

La sua voce rimbomba in quel corridoio, nonostante il chiacchiericcio da sottofondo; quell'ala, comunque, è pressoché deserta, escludendo gli studenti di passaggio.

Simone si irrigidisce, stringe i pugni lungo i fianchi e, di nuovo, Manuel è al suo cospetto.

«Senti...» arriva alle sue orecchie, ma lui scuote vigorosamente la testa, lo frena. «Che—che vuoi da me?» gracchia.

Vorrebbe tenere un tono più fermo, però non ne è capace.

Manuel si morde piano il labbro inferiore, abbassa per mezzo secondo lo sguardo. «Volevo solo...» prova ancora.

«Cosa?» Simone lo interrompe «Che volevi? Che...».

«Sapere come stai» è la risposta «volevo solo—sapere come stai».

Gli sfugge una risata, intrisa di isterismo e frustrazione. «Io ho detto la verità perché me lo hai chiesto tu», soffoca «l'ho fatto solo per questo, solo per... e pensavo – che stupido, pensavo avresti fatto qualcosa, che saresti rimasto al mio fianco, visto che tanto decanti di esserti innamorato».

«Simo...».

«No, vaffanculo! Ho detto la verità per dimostrarti che non sono un mostro, ma—ma nessuno mi ha ascoltato, nessuno mi ha chiesto perché. Per quanto io possa spiegare il motivo di ciò che ho fatto, a nessuno interessa. Io sarò sempre quello che gestisce il blog che ha mandato in ospedale Matteo. Niente di più».

Manuel ascolta le sue parole in silenzio. Fatica a guardarlo negli occhi, quasi si sentisse in colpa.

Di fatto, è un po' così.

Di fatto, è logorato dalla perenne sensazione di averlo abbandonato quando ne aveva più bisogno, di aver guardato da lontano mentre subiva cattiverie che non meritava.

Non sa nemmeno perché si sia frenato, il motivo per cui non è stato una spalla, un appiglio a cui reggersi.

Quindi, rimane immobile, non proferisce parola, frattanto che Simone gli riserva l'ennesima occhiata truce e si allontana in malo modo.

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