Normalmente non avevo uno stile del tutto mio, indossavo quello che mi piaceva e basta. Aprii la porta e rimasi folgorata dalla bellezza della ragazza davanti a me.

Le dedicai un sorriso gentile. «Daneen, sei bellissima».

«Senti chi parla! Tu sembri proprio una bambolina, Nicole». Con un gesto della testa mi invitò a seguirla e nel frattempo la ringraziai a bassa voce, anche se quei tipi di complimenti non mi facevano più effetto.

Apprezzavo di più un complimento sulla mia mente, sul mio modo di essere e di fare le cose, piuttosto che quelli dedicati ad una parte di me che non potevo cambiare se non con la chirurgia estetica.

Di persone belle ne era pieno il mondo, ma di cuori belli il mondo ne era quasi privo.

La mia attenzione venne catturata dalla strada vuota, di solito piena di agenti con caffè fumanti in mano, di fronte al nostro Heard Cafè e dal nastro adesivo che bloccava l'entrata. Il mio cuore perse un battito e dentro di me sperai che non fosse successo nulla a nessun detenuto.

«Ma che succede?». Aggrottai la fronte.

«Non ne ho la più pallida idea». Mormorò lei. «Andiamo in mensa, lì ci sarà sicuramente qualcuno con cui potremo informarci».

A capo chino, evitando il vento gelido che mi sferzava il viso e mi faceva lacrimare gli occhi già di prima mattina, mi strinsi dentro la giacca e tentai di riscaldarmi quanto più potevo lungo il tragitto. La mensa non distava molto dalla nostra caffetteria, ma attraversare il cortile che li divideva con i piedi che affondavano nella neve che lo ricopriva raddoppiava la durata del percorso e lo rendeva faticoso.

Una volta entrate notai subito che io e Daneen sembravamo le sole a non essere a conoscenza di quello che era successo. L'infermiera, alcune guardie e i due cuochi che si occupavano della caffetteria conversavano con tranquillità fra un boccone e l'altro, seduti ad un tavolo lontano e "al sicuro" dal resto dei detenuti.

I primi a notarci furono proprio loro. Ci fissarono senza vergogna e alcuni si misero persino a fischiare, entusiasti all'idea di mangiare in compagnia nostra, di condividere la stessa aria con le uniche due ragazze giovani di quella prigione isolata.

«Oggi la mensa propone carne fresca!». Sentii dire da un detenuto, proprio mentre superavo il tavolo su cui era seduto. Non era da me tenere la bocca chiusa, di conseguenza il mio corpo si immobilizzò anche senza il mio comando.

Lo guardai dritto in faccia, senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi iniettati di sangue e dalle occhiaie scure. «Domani proporrà la tua invece». Lo dissi senza pensarci troppo, ero desiderosa di far capire con chi avessero a che fare, ma non volevo spaventarlo. Non mi sarei mai aspettata di vederlo impallidire, né di vedere il sorriso dei suoi compagni di tavolo spegnersi lentamente e di guardarmi con astio.

Ripresi a camminare per nascondere il mio stupore, fermandomi di fronte a Vince e ad un'altra guardia. Ad un suo cenno della testa si allontanò, continuando a sorseggiare la sua bibita calda come se ne valesse della sua vita.

«Che è successo?». Daneen mi affiancò.

Lui sospirò e passò ad entrambe due bicchieri fumanti, sembrava che fosse cioccolata calda. «Stanotte c'è stato un guasto al wc della nostra caffetteria e stamattina abbiamo trovato tutto allagato, non era possibile entrare lì dentro senza degli stivali alti impermeabili».

«Stanotte? Ma la caffetteria non dovrebbe essere chiusa durante la notte?». Il mio sguardò si spostò alla ricerca di un paio di occhi del colore del cioccolato e quando li trovai, li beccai già su di me.

Vince si grattò il collo. «In teoria sì, ma in realtà la lasciamo aperta per le guardie che fanno la notte. Se devono andare in bagno o se vogliono un caffè, sai com'è».

The Not HeardDonde viven las historias. Descúbrelo ahora