Identità di fango

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Identità.

Nella testa di Hunter quella parola era avvolta da strati di nebbia.

Si era sforzato troppo a lungo di renderla nitida dentro di sé, impegnandosi per mettere a fuoco quella manciata di caratteri tanto banali, di visualizzarli con precisione nel buio degli occhi serrati e stringendo le palpebre talmente forte da far esplodere campi vasti di fiori di fuoco; leggere volute purpuree che si stendevano nelle tenebre come gocce di inchiostro stillate nell'acqua limpida.

Ma ancora l'identità gli sfuggiva. La parola, il messaggio segreto che conteneva, giocava di continuo con la sua mente sfibrata dall'angoscia. E rideva. Rideva come un bambino dal volto diviso a metà, fluttuandogli attorno ma senza farsi afferrare, schernendolo, ferendolo con i propri sogghigni sempre più spettrali. Era ammattente, tanto da convincerlo che un senso non fosse mai esistito davvero, che quella sagoma di stelle ghignanti fosse solo il frutto acerbo di una stupida fantasia distorta.

La foschia che lo attorniava era troppo spessa per essere attraversata, come un muro di paure che si ergeva sempre più in alto, sormontandolo, divorando il cielo.

Era allora che Hunter si portava le coperte sopra la testa, soffocando i singhiozzi tra le lenzuola, impedendosi di piangere, annegando il dolore nel silenzio. L'idea delle proprie lacrime lo disgustava; permettersi di crollare avrebbe significato perdere davvero, abbandonare il campo di battaglia, ammettere sotto agli occhi maligni nella notte quanto il non possedere davvero se stesso lo stesse facendo impazzire... quanto fosse diventato doloroso incrociare lo sguardo di un altro, davanti allo specchio.

Ma non voleva fallire. Non voleva deludersi. Non voleva... perdere il controllo.

E le lacrime ardevano come braci dietro le orbite, la gola stretta in un groppo pesante come il mondo.

"Non sei lui" gli aveva detto Luz una notte di qualche tempo prima, quando il resto della casa era già scivolato in un sonno quieto e l'unico suono udibile era diventato l'ansimo irregolare del suo fiato solitario.

La ragazza si era seduta accanto a lui sui cuscini del divano, talmente piano che avrebbe potuto trattarsi di uno spirito. Attraverso la penombra, i suoi capelli cespugliosi apparivano un groviglio di tentacoli viscidi, sinuose ombre fruscianti dentro cui Hunter aveva dovuto imporsi di non immaginare bluastre pupille ammiccanti.

"Davvero, non sei lui" aveva ripetuto Luz, dopo un pesante minuto di immobilità, che era calata su di loro come un velo di ghiaccio. Si era voltata appena verso di lui, che stringeva febbrilmente i pugni, tremando, i denti infilzati nel labbro inferiore nella delirante speranza che sanguinasse per poterne sentire il sapore pungente. L'umana aveva in viso un'espressione di contorta preoccupazione, e il semibuio non faceva che aggravare i solchi scuri sul suo volto. Hunter aveva distolto lo sguardo.

"Non puoi saperlo".

Aveva risposto a mezza voce, talmente piano che lui stesso aveva stentato a udirsi, quasi che il suono di quelle parole non avesse mai lasciato le sue labbra, rimanendovi aggrappato come il sentore agrodolce di un bacio mai dato.

"E invece lo so" Luz si era inclinata leggermente verso di lui "Tu sei tu, Hunter. Nessun'altro" aveva cercato il suo sguardo, ma il ragazzo aveva girato la testa dalla parte opposta, sapendo che se avesse incrociato i suoi occhi sarebbe scoppiato a piangere.

Lei non capiva.

Nessuno avrebbe mai capito.

Non comprendevano la sensazione vertiginosa di non appartenere alla propria realtà. Non capivano il freddo raccapricciante che lo azzannava al cuore mentre si aggrappava con malata disperazione al bordo del lavandino del bagno, incontrando, nel riflesso opaco dello specchio scheggiato, solo la faccia di qualcun altro, sentendosi schiacciato dalla consapevolezza di non averne mai avuta una.

Identità di fango [The Owl House - Hunter Oneshot]Where stories live. Discover now