«Del'fin Tre, Del'fin Quattro e Del'fin Cinque sono in posizione, capo.» Del'fin Due si avvicinò al suo superiore, severo e dal tono sicuro. Le divise erano tali da coprire i loro volti con dei passamontagna verdastri, ma gli occhi azzurri del braccio destro brillavano in quel panorama blu notte.

«Eccellente. – annuì Del'fin Uno, scoccando un'occhiata ai suoi uomini in tenuta da sub, i quali stavano comunicando con Del'fin Sei, attento ad allacciare le bombole d'ossigeno sulle loro spalle. – Movimenti da parte del nemico?»

Del'fin Due prese il binocolo e lo posizionò sopra il suo viso. Zoomò verso il lato dalla quale si sarebbero fermati i tre alleati. «Due coreani pattugliano avanti e indietro lungo la ringhiera del ponte.» fece una pausa, innalzando lo sguardo. «Cecchino sull'albero maestro della fregata, il mirino punta sul lato destro: è di spalle. Secondo cecchino a prua. Un terzo a poppa. Il nostro lato è pulito.»

Il capo si inumidì le labbra al di sotto del passamontagna; rispetto agli altri uomini, aveva le braccia pronunciate scoperte, le mani guantate ancorate ai comandi della fregata. I suoi occhi cerulei erano freddi come il ghiaccio, determinati, colmi da un sentimento di avversione contro coloro che avevano osato muoversi a loro insaputa per fregarli. Quel carico doveva affondare seduta stante, né loro, né gli americani avrebbero dovuto mettere le mani su quelle attrezzatture, sebbene il loro paese fosse sviluppato abbastanza da poterne costruire a bizzeffe, di trivelle per l'esportazione di uranio. La Corea del Nord poteva vantare di una quantità maggiore di materiale, ma tecnicamente erano inferiori.

«Gli altri?» domandò in seguito, l'accento russo forte e graffiato.

«Attendono il nostro segnale, sono pronti a fare fuoco.»

Del'fin Uno rallentò, dopodiché lasciò il comando della nave al suo sottoposto per scendere il gradino che lo separava dal resto della squadra. Non bastò neanche una parola, a Del'fin Due, per capire di dover sostituire il suo superiore nella guida del mezzo; si mosse al suo posto con obbedienza. I passi pesanti degli anfibi echeggiavano sul legno pregiato, emettendo un tonfo tenue, ma deciso al tempo stesso; il comandante aveva allentato la postura da soldato, camminando con un'insolita spacconeria, una leggerezza che i suoi uomini tradussero perfettamente in uno spiraglio di relax prima di entrare in azione. Del'fin Tre, infatti, si tolse il passamontagna per respirare meglio, dovendolo sostituire con quello della tenuta da sub; gli altri due compagni lo seguirono a ruota libera, rivelando dei visi spigolosi, ma dolci.

«Un ultimo sorso di vodka, capo?» chiese, ghignando soddisfatto. I suoi occhi scuri erano due lame sottili di giocosità, sebbene l'atmosfera non lo permettesse.

«Quanto sei cliché, Igor. – roteò gli occhi al cielo Del'fin Cinque, seccato. – Non fai altro che bere vodka dalla mattina alla sera. Per questo gli altri ti prendevano in giro chiamandoti Igothil.»

Igor fece spallucce. «A me non piace giocare con le parole. Ma è la loro natura, Rem. Non posso farci niente.»

«Natura o meno, siete un branco di idioti. – intervenne Del'fin Quattro con un sorriso debole e teso. Si grattò il retro della nuca bionda, serrando con la mano libera il sedile in legno su cui era seduto. – Non capisco come possiate essere parte della squadra, se non rispettate le regole. Non avete un minimo di serietà.»

«Dimentichi la parte più importante, Max: il potere. Il potere non guarda in faccia nessuno.» rispose Del'fin Uno; sebbene avesse il viso coperto, gli occhi si erano rilassati, trasudando una curvatura che faceva intuire un sorriso genuino tingergli le labbra.

«Dobbiamo obbedire agli ordini. Ed è quello che facciamo.» disse Rem.

«Chissà perché dobbiamo ricorrere sempre all'uso della forza... – si chiese Del'fin Sei, il più giovane della squadra, un appena ventenne – Cresciamo con degli ideali che ci fanno credere di avere a che fare con il nemico, ma poi, tolta la maschera, siamo tutti uguali: esseri umani.»

MIND OF GLASS: OPERATION YDove le storie prendono vita. Scoprilo ora