Cappuccetto va alla guerra

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Rosaria guardava i soldati. Caricavano i prodotti dell'orto come facevano tutte le settimane. Anche le suore davano una mano, passando quello che potevano sui fuoristrada verdi. 

La moneta di scambio era qualcosa che interessava Rosaria molto da vicino. Consisteva nelle storie del mondo di fuori, quelle che non arrivavano al convento, così arroccato tra quelle isolate montagnole, ma che in quel momento erano pure fuori dalla portata delle orecchie. La bambina era stata spedita ai piani superiori, in punizione. La colpa era la stessa curiosità che in quel momento non poteva esaudire. Non che in giorni diversi le sarebbe dispiaciuto tanto. Quelle erano le stanze più luminose di tutto l'edificio, sempre inondate di sole. Erano vuote, tranne che per alcune lenzuola che ricoprivano mobilia vetusta, e Rosaria poteva volteggiare e danzare libera, immaginando la musica provenire dal vecchio giradischi di casa sua, senza temere che qualche testa di stoffa spuntasse per dirle di stare composta.

Quello però non era un giorno come gli altri, era l'unico della settimana che poteva regalarle delle risposte. A Rosaria non rimaneva altro che farsi bastare la vista, sporgendosi a guardare di sotto dal davanzale della finestra al quale arrivava a stento e che la costringeva a salire su uno sgabello. 

Alcuni dei soldati recavano fasciature alla testa o alle braccia e a Rosaria sembrava che qualcuno mancasse all'appello, anche se aveva imparato a contare da soli pochi mesi, da quando era arrivata dalle suore. 

Non era un buon segno. Soprattutto se ripensava ad alcune parole udite per caso. Rosaria infatti aveva un piccolo segreto. 

Durante i pasti tentava sempre di mettersi seduta il più vicino possibile al tavolo delle suore. Faceva finta di giocare con gli altri bambini, ma nella realtà tentava di carpire qualsiasi informazione provenisse dai discorsi delle donne. Spesso gli altri bambini se ne accorgevano e tentavano di richiamare la sua attenzione; alcuni erano più piccoli di lei, però non era quello il vero ostacolo.

Rosaria avrebbe voluto abbandonarsi ai giochi, ma la tentazione durava solo un attimo, sostituita quasi subito da un senso di apprensione. Pensava ai genitori e al nonno al paese vecchio. 

La madre e il padre di Rosaria avevano deciso di mandarla dalla zia suora, per metterla al sicuro da una guerra interna alla famiglia, o almeno così aveva capito la figlia. 

Quello di cui invece Rosaria era ormai sicura era che esistevano guerre e Guerre. Alcune piccole come quella al paese, altre che uscivano dai confini e travolgevano tutte le persone.


«Dalla zia imparerai a leggere, scrivere e contare. Non sarai come i tuoi cugini», erano state le parole della madre.

«Io pure sono stato dalle teste di stoffa», s'inserì il nonno, che si era girato stancamente a guardare la nipote, ruotando il corpo sul dondolo davanti al camino. 

Fu allora che Rosaria sentì per la prima volta quell'espressione. Sarebbe stata pronta a scommettere che se la fosse inventata il nonno. 

Al paese aveva come soprannome quello di Poeta. Era uno dei pochi che sapevano leggere e scrivere e i paesani si rivolgevano a lui per farsi compilare lettere nella sua grafia elegante.

A Rosaria era capitato varie volte di assistere a quelle scene. Gliele dettavano e lui assolveva al suo compito con estrema calma e lentezza, con i commissionatori che lo spiavano da sopra a una spalla pur non capendo niente, e lei che si metteva di lato al tavolo a scrutare quei tratti misteriosi, stretti e lunghi. Le era pure sembrato che mese dopo mese quei gesti si facessero sempre più lenti.

La prospettiva che Rosaria potesse diventare importante come il nonno, l'aveva riempita di orgoglio e lei aveva accettato di buon grado la partenza. Purtroppo già dal viaggio si era resa conto che sarebbe stato impossibile tornare a casa tutti i giorni. Aveva chiesto alla mamma quando si sarebbero riviste e lei aveva risposto ”La prossima settimana” e poi si era allontanata di fretta, senza voltarsi a guardarla. 

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