«Signorina, siamo in chiusura.» Parole di una voce maschile piuttosto profonde sopraggiunsero dalle mie spalle.

Voltandomi, vidi un uomo di mezza età con i capelli grigi. «Va bene, allora esco subito.»

Il custode annuì, ma si preoccupò di lanciarmi uno sguardo torvo prima di allontanarsi. I francesi non erano noti per la propria ospitalità; tuttavia non potevo certo biasimarlo.

Sapevo cosa stesse osservando in modo così seccato: i miei lunghi capelli biondi erano bagnati e appiccicati lungo la parte alta della divisa blu da danzatrice sul ghiaccio, mentre la matita nera era lievemente sbavata sotto le palpebre degli occhi cioccolato. Non avevo neppure avuto il tempo di cambiarmi negli spogliatoi e in quel momento sapevo di avere l'iconico look alla Katy Perry nella canzone "Hot & Cold".

D'improvviso un tuono esterno irruppe nelle sale silenziose del museo. Era perciò stato vano il tentativo di rifugiarmi presso il Louvre; le condizioni del tempo non sembravano essersi placate durante le ore trascorse.

Procedetti con passo spedito, augurandomi che il temporale potesse mitigarsi almeno un po' nel frattempo. Nascondermi nella struttura per sfuggire alle copiose gocce mi era parsa una buona idea inizialmente; tuttavia, ascoltando i tuoni sempre più imperiosi, compresi quanto quell'insolita tempesta avesse iniziato solo a diventare più irruenta.

Durante il mio passaggio verso l'uscita, contemplai il numero infinite di sale che dovetti attraversare. Avevo dovuto selezionare quelle da visitare, talmente era vasto il museo. Mi auguravo di poter tornare almeno un'altra volta per quelle rimanenti.

Le luci delle sale cominciarono a sfarfallare e man mano a spegnersi. Affrettai il passo; dovevo essere davvero l'ultimo degli ospiti di quella sera.

Alcuni custodi mi indicarono di uscire presso una porta di servizio d'emergenza, in quanto la principale della piramide era già stata chiusa. Li salutai con un cenno e allacciai i bottoni del giubbotto di jeans; l'unico indumento coprente la mia uniforme.

Sospirai, mettendo una mano sulla maniglia e gettai un'occhiata al di fuori del vetro.

La pioggia infuriava ancora una volta nel cielo, mentre le gocce colpivano irruente la piramide di vetro nella piazza del museo. Era stata una pessima idea tergiversare nella struttura. Sarei dovuta subito tornare all'appartamento e bagnarmi ulteriormente piuttosto, poiché in quel momento era in corso una vera e propria tempesta.

Tuoni e saette si disperdevano nel buio della notte, eppure io non potevo più aspettare. Spinsi la porta di servizio e uscì dal Louvre, alzando in alto e posando sulla mia testa il borsone di pattinaggio.

Cominciai a correre, sorpassando la piramide e recandomi verso la metro. Avrei fatto il giro più lungo per arrivare al mio appartamento in affitto utilizzando le linee metropolitane, ma sarei stata meno esposta alla pioggia.

L'acqua era così abbondante da dover strizzare gli occhi per tentare di vedere qualcosa. La visuale offuscata mi permetteva di identificare solo alcune figure poco distinte fra loro e le macchine passanti. Dopo aver attraversato la strada però, sbattei contro una persona sul marciapiede opposto; nelle vicinanze del giardino delle Tuilieres.

«Mi scusi non l'avevo proprio vista» dissi mortificata alla figura urtata, abbassando il borsone sul mio braccio e in modo da poterla vedere meglio. Non si era neanche mossa, ma perlomeno ero sicura di non averle fatto del male.

«Non preoccuparti, sei proprio dove dovresti essere.»

Riconobbi all'istante quella voce già sentita e non a una distanza di tempo troppo lontana. Alzai lo sguardo verso il suo e ne rimasi sbalordita. «Madame Roux, cosa ci fa lei qui?»

La donna di fascino austero e glaciale mi puntò il suo gelido sguardo addosso; mentre la tempesta continuava a irrompere in quel luogo oscuro.

D'improvviso il vento smise di ululare, la pioggia cessò di emettere rumore con il suo scroscio, mentre la medesima luce lunare si intrise di un rapido pallore. Le campane di Notre Dame, a pochi isolati dal parco, cominciarono il loro armonioso e malinconico suono che rintoccava le dieci di sera.

Solo le dieci. Nonostante la vita parigina trascorresse animatamente anche di notte, sembrava tardissimo e non c'era più alcun passante. Uno strano presentimento e brividi a fior di pelle si fecero largo nel mio petto. Quella situazione non mi piaceva per nulla e uno strano presagio mi consigliava di cercare di andarmene il prima possibile.

Madame Roux mi sorrise in modo inquietante, mostrando i denti più del dovuto ed evidenziando il terribile neo sul suo volto. Solo allora mi ricordai che non aveva risposto alla mia domanda.

"Sei esattamente dove dovresti essere" aveva pronunciato la vecchia insegnante di danza presso il teatro e di pattinaggio sul ghiaccio al Grand Palais.

Passarono diversi istanti e niente accade. La sensazione avuta cominciava a farmi provare una certa irrequietezza, non mi sentivo bene e lei ancora taceva. Dissi: «Va bene, è stato un piacere rivederla. Adesso devo proprio andare, ma mi auguro di poterla incontrare nuovamente a lezione.»

Aggirai l'insegnante, recandomi con passo deciso verso la metropolitana. Non feci molta strada però; la sua mano si attorcigliò attorno al mio polso e mi obbligò a fermarmi talmente era forte la sua stretta.

«Sei stata sempre così ingenua, Eva. Hai avuto il male intorno a te tutta la vita, eppure mai ti sei accorta della sua presenza e adesso è troppo tardi.» Il timbro di Madame Roux era mutato, diventando più giovane e seducente.

Mi voltai di scatto, allontanandomi da lei con un balzo e scivolando via dalla sua stretta. Non avrei mai potuto essere pronta per ciò che avvenne dopo: Madame Roux aprì la bocca e da lì uscì del fumo di un colore nerissimo. La grossa nube divenne più nitida e andò a scontrarsi contro il terreno, mentre la mia insegnante cadeva a terra svenuta.

Non sarei rimasta a guardare. Se c'era una lezione di vita che avevo appreso in fretta era quella di non perdere tempo in una situazione di pericolo.

Lasciando cadere il borsone a terra mi imposi di fuggire il più velocemente e lontano possibile, ma rimasi immobile. Le mie gambe non rispondevano ai miei comandi e i miei piedi erano come incollati sull'asfalto; ero impotente di muovermi.

L'oscurità divenne un piccolo vortice da cui a sua volta si formò un corpo di donna dalle forme prosperose, cosce sinuose e spalle larghe. La sconosciuta mi squadrò da capo a piedi con i suoi enormi occhi rosa fluo, mentre si passò la lingua fra i denti e un caschetto scuro aveva preso posto sul suo capo.

«Umani...siete così fragili e deboli, pronti a tutto per un po' di potere, anche a vendere la propria anima.» Fece un cenno alla donna ai suoi piedi, per poi indirizzarmi un ghigno di pura malvagità.

Con qualche passo avanti e un sinuoso andamento si avvicinò a me. Il suo corpo così femminile era a malapena coperto da un tubino nero con un profondo scollo. In mezzo al suo petto era ubicata invece una collana con un ciondolo di un teschio d'argento e sotto un'ampolla riempita di un liquido rosso.

«Tu chi sei? Cosa vuoi da me?» quasi gridai con parole tremanti. Avrei voluto dimostrarmi forte, ma ero terrorizzata e confusa. Quella situazione era così surreale.

Si avvicinò e, guardandomi con le sue iridi rosate, disse: «Io sono Lamia e sono al servizio dell'unico vero re, Lucifero. Tu, Eva, la prima delle donne mortali, sarai da oggi in poi sotto al suo dominio.»

La mia vista venne offuscata ulteriormente, il campo visivo cominciò a oscurarsi sempre più e l'ultimo oggetto su cui il mio sguardo riuscì a posarsi fu l'enorme goccia contornata dal teschio argentato.

In quell'istante cominciai a ricordare chi fossi davvero.

TEMPTRESSWhere stories live. Discover now