Capitolo 13

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(Canzoni consigliate: Let It All Go - Birdy & Rhodes, What Would It Take - Anderson East.)

Isabelle.

Ero in viaggio con la mia amata Jeep verso casa, verso Brooklyn.

Non era un viaggio lunghissimo ma in quel tempo rimuginai su qualsiasi cosa e no, nemmeno la musica che avevo scelto per quel viaggio era riuscita a farmi pensare ad altro.

Pensai a come la fotografia mi facesse sentire parte di qualcosa più importante.

Come riuscivo a catturare le emozioni degli altri, come riuscivo a cogliere la luce solare su un fiore di colore viola. Come, a volte, le nuvole assumevano delle forme strane che ognuno di noi interpretava a modo proprio. Potevano somigliare ad un animale, ad un oggetto, ad un cuore e perfino ad un volto. Magari il volto di qualcuno che abbiamo perso per farcelo sentire un po' più vicino.

Come riuscivo a catturare la gentilezza del vento mentre soffiava tra le foglie.

Come riuscivo a rendere un sorriso eterno.

Amavo trasformare gli attimi in vita.

Una vita eterna che non conosce la morte e le sue lacrime.

Pensai a come il sorriso di mio padre risultasse sempre giovanile, anche nelle foto più recenti. A come il suo abbraccio verso mia madre non fosse mai cambiato nella foto che avevamo ancora incorniciata in sala da pranzo.

A come i suoi occhi anche su una carta plastificata risultassero pieni di amore, di felicità e di bontà.

Pensai ai capelli color miele di mia cugina Jillian.

A come le accarezzavano le spalle mentre sorrideva al cielo, nella foto che avevo attaccata al muro della mia cameretta. A come le sue fossette rendessero quella foto dolce e genuina.

Pensai al colore consumato delle pagine del mio libro preferito.

Come donassero pace, nella foto in cui lo tenevo aperto sulle ginocchia mentre ero poggiata alla spalliera del mio letto. Era stato uno scatto rubato da mia cugina, una delle tante volte che era riuscita a raggiungermi a Brooklyn.

Non amavo fotografarmi. Non perché avessi qualche trauma passato oppure perché non mi piaceva il mio aspetto, semplicemente non pensavo di avere qualcosa di particolare da immortalare.

Pensai agli occhi color caramello di Nives.

A come avrei voluto immortalarli mentre un raggio di Sole li accarezzava.

Poi, pensai al viso di Aaron.

A come sarebbe stato un soggetto perfetto per uno scatto rubato, tipo paparazzo.

A come una foto di quel genere avrebbe potuto trasmettere la sua virilità e il suo sarcasmo.

Ma, pensai anche agli occhi color smeraldo di mia madre.

Lei era stata una delle prime persone che avevo fotografato.

Mi piacevano le sue lentiggini sul naso all'insù e i suoi sorrisi.

Avevo smesso di ritrarla quando era diventata una sconosciuta ai miei occhi, di ammirarla quando i suoi occhi avevano cominciato ad avere una sfumatura acre.

Avevo smesso di accarezzarla quando le sue braccia non avevano più spazio per medi pensarla quando quella ferita, ancora aperta, non smetteva di sanguinare.

Forse perché stavo tornando a casa, forse perché nonostante tutto mi mancava la madre che era stata fino ai miei dodici anni. Oppure semplicemente perché mi sentivo malinconica, ma una lacrima silenziosa scese sul mio viso al ricordo del suo sorriso orgoglioso quando mi guardava.

Mind (Soul spin-off)Where stories live. Discover now