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Il ventuno aprile 2026 un colpo di pistola squarciò il cielo sopra Roma, interrompendo il sonno del quartiere. Si sentirono sirene giungere da ogni direzione - eccessive anche per un omicidio. Le persone si affacciarono alla finestra, cercando di capire a cosa fosse dovuto quel gran movimento. Qualcuno accese la TV e trovò le risposte che non aveva ricevuto da quell'osservazione frettolosa. Roberto De Santis, leader della Nuova Destra, Capo del Governo in carica da quarantasette giorni, era morto. Tra chi parlava di omicidio e chi di suicidio – tra chi festeggiava e chi si dispiaceva - le notizie si rincorrevano velocemente.
La realtà la descrisse bene un giovane inviato di Mediaset, Angelo D'Ippolito. Durante l'edizione speciale del TG iniziata alle tre e venticinque, in diretta dal luogo del delitto, esordì così:
«Alle due e quarantasette di questa notte si è toccato uno dei punti più bassi di questa Repubblica: il Paese è allo sbando, e il rischio che la situazione degeneri in rivolte civili è concreto. Speriamo che il Presidente della Repubblica faccia ora le scelte più opportune, anche se non sarà facile. Non sappiamo ancora se si tratti di omicidio o di suicidio: alcune testimonianze raccontano di un festino molto animato svoltosi all'interno dell'appartamento alle mie spalle - quello che vedete al primo piano con le finestre chiuse - conclusosi con uno sparo improvviso nel silenzio della notte. Questo è ciò che abbiamo raccolto finora: appena avrò aggiornamenti vi chiederò la linea.»
«Grazie, Angelo, per le prime informazioni che ci hai dato, riguardanti questa inaspettata brutta notizia: chiedi pure la linea quando lo riterrai opportuno.»

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In via S. Eustachio, al civico 3, De Santis aveva organizzato in un appartamento prestatogli da un amico uno dei suoi festini a base di donne, alcol e vizi. In molti sapevano di queste sue evasioni dalla figura integerrima di leader duro e puro - devoto al trittico Dio, Patria e Famiglia. Ma ora che era a capo del governo con potere esecutivo si guardavano bene dal diffonderle, anche perché a Varese il De Santis aveva moglie e figli - che conservavano la sola idea di padre e marito devoto, impegnato per il bene nazionale. Ora, volenti o nolenti, gli sarebbe toccato sapere molto di più sulla vita del loro caro.

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Il 6 Marzo 2026 Roberto De Santis, leader della Nuova Destra, partito nato qualche anno prima e che aveva visto una crescita esponenziale di consensi tra i cittadini, era stato nominato Presidente del Consiglio - titolo da lui poi sostituito in Capo del Governo.
Oltre che del suo partito, divenne leader e rappresentante di tutti i partiti di destra e centrodestra che avevano scelto - più o meno volontariamente - di appoggiarlo. Era un uomo molto carismatico - quarantaquattro anni vissuti in un metro e sessantacinque di altezza, capelli nerissimi e occhi marroni spesso sgranati, come se fosse in uno stato di perenne trance agonistica.
Sotto le giacche militari nascondeva un fisico poco atletico, la pancia pronunciata sorretta da due bretelle. In virtù dei suoi metodi spicci e sbrigativi – e sicuramente poco democratici – si era preso il potere, pronto ad attuare ogni punto del suo programma.
Come aveva fatto quell'uomo, in così poco tempo, a fare tanta strada? Dopo la pandemia dovuta al Coronavirus, il governo presieduto da Conte aveva resistito qualche tempo, ma le frizioni interne all'esecutivo e il malcontento generale della cittadinanza - che gli imputava sia una gestione troppo approssimativa dell'emergenza, sia il vecchio stato di declino della nazione - portarono alla sfiducia. Seguirono anni simili alla decade precedente, con governi tecnici a intervallarsi a maggioranze tenute insieme con lo sputo: una nazione che, invece di progredire, regrediva sempre di più: economicamente, culturalmente e civicamente. Un lento e inesorabile declino, insomma.
In questo clima sempre più instabile e di timore del domani, la leva che permise a De Santis di scardinare la scala gerarchica del potere fu fare breccia nel popolo con slogan e riferimenti agli anni del progresso e del benessere.
De Santis era dipinto spesso come un prepotente - un personaggio pericoloso, una potenziale minaccia per la democrazia. Per limitare queste affermazioni e accrescere il consenso nei suoi confronti, nulla fu meglio di una buona propaganda. Diventò come un illusionista, che con una mano distrae mostrandosi alla stregua di un uomo che lotta per il bene di tutti e che parla come uno del popolo, e nel frattempo con l'altra fa la magia, riuscendo a convincere ad appoggiarlo e a lasciargli il via libera, non senza ricatti e minacce, anche i leader più moderati. Fu così che ottenne il supporto e il totale controllo della destra nella politica italiana. Questo esercizio diede i suoi frutti dopo qualche anno, quando si presentò di fronte al Presidente della Repubblica per chiedergli di ufficializzare il suo ampio consenso, e di conseguenza consegnargli le chiavi della nazione. Di fatto non si poté chiamarlo fascismo, come cent'anni prima.
Nella sostanza, però, vi erano parecchie similitudini.
Si disse addirittura che il De Santis entrò al Quirinale armato di pistola, certo che nessuno avrebbe pensato di perquisirlo. Si sarebbe diretto verso l'ufficio del Presidente nella palazzina del Fuga adiacente al suo appartamento. Ci furono urla e minacce, tanto che due corazzieri spalancarono la porta pensando a un pericolo per il Presidente. Tranquillizzati dallo stesso tornarono al loro posto, e il litigio proseguì. Pare che il Presidente provò anche a farsi valere. Si disse che fu obbligato a sciogliere le camere e ad affidare il governo a De Santis dopo essersi trovato il ferro di una pistola puntato sotto il naso e la minaccia di cortei, manifestazioni e proteste che avrebbero comunque permesso a De Santis di ottenere con la forza quello che andava chiedendo.
Il Presidente sapeva del suo largo consenso tra il popolo - sapeva che molti avrebbero eseguito alla lettera tutti i suoi ordini. Sapeva che aveva alla sua mercé pericolosi scagnozzi sempre armati. Sapeva anche che De Santis poteva contare sul favore di molti sostenitori arruolati nelle Forze Armate. Se non lo avesse assecondato il prezzo da pagare sarebbe stato troppo alto: ci sarebbero stati innocenti che avrebbero subito la sua cieca ricerca del potere.
Erano anni che in politica gli elettorati si erano portati sempre più verso gli estremi, da ambo le parti.
Le manifestazioni di una fazione avevano come conseguenza l'organizzazione di una manifestazione della frangia opposta. Al Presidente non restò che accettare e, nel frattempo, provare a inventarsi una soluzione con le forze politiche rimaste all'opposizione – se così si potevano chiamare, data la scarsa incisività delle stesse. De Santis, a reti unificate e attraverso ogni canale social, tenne il discorso di insediamento alle quattordici e trenta di venerdì sei marzo.
Nel frattempo l'Italia, più che unirsi, si frammentò ancora di più. La situazione era veramente sfuggita di mano. Da un lato i cittadini, che si erano allontanati sempre di più dalla politica e dalle sue dinamiche; dall'altro i politici. Pochi quelli validi che cercavano di dare ancora un senso al loro operato seguendo un ideale. Certo non emergevano nel marasma di furbi, disonesti, faccendieri, paraculi e impreparati che erano ormai parte integrante e dominante di ogni partito. Altri erano diventati come i calciatori, disposti a cambiare continuamente casacca dinnanzi alla migliore offerta.
C'erano leggi che si sommavano ad altre leggi e che si annullavano a causa di altre. Tutto ciò mentre i soliti noti, con la tranquillità dei ragazzini che rubano le caramelle al bar dell'oratorio, sottraevano, evadevano e si appropriavano di vagonate di soldi pubblici, scontando – quelle poche volte che succedeva – pene perlopiù lievi.
Il tessuto sociale italiano si stava sfaldando. Erano sempre più frequenti i litigi, e sempre più frequenti quelli finiti male. Si diffuse una forma di repressione verso ogni persona diversa dalla definizione di italiano modello data da De Santis. Le tasse erano sempre più alte e si mangiavano una fetta sempre più consistente di stipendi via via più esigui. Appunto, il caos.
L'anarchia. La prepotenza come giudice.
Uno dei più critici oppositori di De Santis, spesso invitato in diversi programmi e autore di molti video diventati virali, era un certo Massimo Crotti, sindaco di Bonate Sotto dal 2014. Rappresentante di una lista civica sconosciuta ai più sembrava una persona a modo, con le idee chiare, dotato di ottima dialettica - uno che attaccava frontalmente De Santis nei contenuti e che non si faceva persuadere né dai modi di fare né dalle promesse di quest'ultimo.
Divenne presto la voce della protesta contro l'ascesa di De Santis. Nonostante ciò rimaneva pur sempre un sindaco di un paesino di provincia, senza risalto mediatico, senza stuoli di giornalisti proni al suo cospetto e pronti a diffonderne il verbo, senza una macchina della propaganda per vendere agli italiani il suo personaggio. Era uno che, con la forza delle idee e dell'informazione, sperava di aprire gli occhi a più persone possibile sulla pericolosità del leader della Nuova Destra, al quale questi attacchi facevano l'effetto del solletico.
Lui, che occupava gli schermi TV cinque giorni su sette. Lui che ogni giorno vedeva le sue massime e i suoi comizi diffusi su ogni piattaforma. Lui che aveva gente disposta a uccidere per portare a compimento il suo progetto.
Proprio lui veniva attaccato da questo tizio con la barba e l'accento marcato che giocava a fare il duro sulla rete?
«Patetico», fu il commento con cui liquidò la giornalista che gli chiese un'opinione riguardo le critiche mosse da quel Crotti. A dire il vero non fu il primo - e tantomeno l'unico - a criticare pubblicamente De Santis. Eppure, più cresceva il potere di quest'ultimo più calavano i suoi detrattori, e molti oppositori finirono anche per affermare che tutto sommato non fosse poi così male.
«Il giorno in cui governeremo l'Italia, tutte queste mezze seghe non avranno più neanche la visibilità di un topo di fogna», aveva aggiunto, particolarmente risentito, mentre veniva accompagnato alla sua auto dai suoi scudieri, al termine di una diretta televisiva in cui ebbe un acceso dibattito proprio con Crotti.
Dal finestrino vedeva il tramonto scendere su Roma, e in quel momento pensò che per la democrazia e per la libertà d'espressione era giunto il tempo di imitare il sole. Come tutti gli arroganti e presuntuosi, mentre la sua mente partoriva questa fantasiosa immagine, dimenticava però un dettaglio. Il sole, così come ogni sera tramonta, ogni mattina risorge.
***
«L'uomo è un animale, e come tale ha bisogno di essere guidato da un padrone che gli dica cosa fare; se in quattro ognuno dà un'indicazione diversa, chi la riceve va in confusione. È per questo che vanno eliminati i tre di troppo. Uno solo deve dare gli ordini.»
Questa frase la pronunciò nel corso di una riunione che aveva organizzato con i leader di destra e centrodestra per decidere chi dovesse essere il rappresentante di quell'area politica.
Qualcuno, spaventato dalla deriva che avrebbe potuto prendere una sua egemonia – ma anche dai danni che avrebbero potuto fare il suo ego e la sua megalomania - spifferò queste parole ad alcuni membri delle opposizioni. Inutilmente.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 17, 2022 ⏰

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