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LEGGETE L'ANGOLO AUTRICE, È IMPORTANTE!!

Viaggiare per me è da sempre qualcosa che rende la vita meritevole di essere vissuta ma il fatto che i miei genitori siano dei famosi ricercatori e che ciò implichi il doversi trasferire in base alle loro necessità, inizialmente lo rende più un dovere che un piacere. Non ho mai vissuto nella stessa casa per non dire stato, per più di un anno; le mie sono 'toccate e fughe': trasloco, mi presento a scuola, mi faccio qualche amico e di nuovo via, alla volta dell'avventura.
Ormai non mi impegno neanche più, so già in partenza che quella che faccio è tutta fatica sprecata.
Sono questi i pensieri che faccio mentre mi ritrovo in aereo con i miei genitori nel nostro loop che non ha la minima intenzione di interrompersi e di darmi tregua.
Come al solito, non mi rivolgono uno sguardo intenti come sono a scrivere sui loro laptop nuovi articoli o e-mail verso gente sicuramente più importante della loro unica figlia.
Era un argomento su cui mi ero soffermata più e più volte, perché non riuscivano a capire? Non è che stessi chiedendo loro il mondo, solo un poco di tranquillità. Giunti a questo punto mi sarei anche accontentata di vivere da un qualche parente, tanto non è che li vedessi molto mamma e papà; c'erano rari momenti in cui nella loro agenda trovavano un posticino anche per me, e io mi crogiolavo in quei momenti sorbendomi persino i loro racconti sulla loro adolescenza in cui tiravano fuori amici di lunga data e ragazzate che finivano sempre in risate, ed io mettevo da parte il mio astio e li ascoltavo rapita consapevole che io non avrei mai potuto avere amicizie così durature ne momenti di intimità tali.
L'ultimo meeting lo abbiamo avuto all'incirca un anno fa, tanto per sottolineare la loro rarità.
Il volo è durato relativamente poco, giusto un'ora perché la nostra precedente dimora non era molto distante, ma era comunque deprimente perché anche per una distanza così breve dovevamo trasferirci per forza; per noi, il centro di ricerca per cui lavoravano, aveva mandato un autista di mezza età con un cartello freddo e impersonale stretto tra le mani con su scritto 'Carlton', il nostro cognome.
Una volta riavuta la possibilità di utilizzare il cellulare, cominciò il susseguirsi di chiamate a cui ero abituata e che mi era quasi mancato; seguirono senza neanche degnare di uno sguardo il pover'uomo che con il suo atteggiamento indifferente dimostrava di essere abituato alla maleducazione dei suoi superiori ma io ci tenni a salutarlo perché tutti meritano gentilezza e il primo passo è il saluto; al mio sorriso rimase sconcertato, come se non se lo aspettasse ma poi ricambiò  con un'espressione decisamente più serena in volto.
Caricammo tutte le nostre valigie nel bagagliaio e partimmo, io mi sedetti dietro con mia madre mentre mio padre davanti con Alfred, così recitava la sua targhetta, chiaramente intenzionato a non spiccicare parola e la mia dolce mammina chiuse il divisorio così da non intrattenere conversazione con lui neanche per sbaglio.
Sospirai e appoggiai la testa contro il finestrino guardando il panorama scorrere veloce intorno a noi, sbadigliai e questo fu il preludio di una lunga dormita.

Quando riaprì gli occhi, eravamo fermi davanti ad una casa in stile vittoriano su due piani, accerchiata da decine di altre case identiche con macchine costose parcheggiate nel vialetto e perfette staccionate bianche a delimitarne il perimetro; il solito quartiere da ricconi che se la tirano, insomma.
Scesi dall'auto con un sospiro pronta a passare il pomeriggio a svuotare le valigie e a trovare un posto semplice e a portata di mano dove riporle, fui la prima a raggiungere l'entrata, cosa di cui mi premuravo sempre, e a varcare la soglia ma fui richiamata dalla voce di mia madre "Jocelyn! La tua stanza è nel seminterrato" me lo disse distrattamente, senza smettere di inviare messaggi dal suo telefono; annuì lo stesso consapevole che non mi avrebbe comunque vista ed entrai in casa rabbrividendo al pensiero di vivere in cantina, evidentemente anche nei rari momenti in cui erano a casa non mi volevano tra i piedi. Scesi le scale riluttante e piena di timore ma rimasi sorpresa e affascinata alla vista di quanto era bella, più che una stanza era un mini appartamento sprovvisto di cucina era decisamente enorme ed occupava un intero piano.
Le pareti erano azzurrine e al centro della stanza vi era dei divanetti ed una TV enorme attaccata alla parete, il letto a due piazze era in un angolo della stanza ed occupava un sacco di spazio, il pavimento era parquet coperto da un tappeto bianco sofficissimo di cui mi innamorai immediatamente ma resami conto di quel particolare, interruppi il mio tour e mi fermai stringendo gli occhi forte con l'intenzione di frenare le lacrime.
Come potevo essere così stupida? Era inutile affezionarcisi od apprezzarla, avrebbe fatto semplicemente più male una volta giunto il momento di trasferirsi nuovamente; tornai al piano di sopra incurante delle valigie e uscì di casa dove i miei genitori erano fermi accanto alla macchina "Ce ne hai messo di tempo Jocelyn a posare i bagagli! Possiamo andare adesso?" Chiese mio padre finalmente degnandomi della sua attenzione, lo guardai interrogativa e lui si limitò scrollare le spalle "Non te lo abbiamo detto? Andiamo a pranzo da un mio caro amico" affermò catturato nuovamente da una notifica sul suo smartphone, sospirai amareggiata, come poteva chiedersi se me lo avesse chiesto oppure no? Non mi salutava nemmeno! Ma in silenzio, come sempre, mi avviai verso la portiera dell'auto ma fui nuovamente richiamata dalla sua voce "Dove stai andando? Abita qui a fianco!" Rispose indicando la casa alla nostra destra avviandosi, erano così le loro informazioni: inesistenti o a singhiozzo.
Li seguì e facendo pochi passi raggiungemmo l'abitazione dell' amico di lunga data di mio padre, non potei fare a meno però di notare come il prato fosse accuratamente tagliato e come la staccionata fosse verniciata di fresco, rigorosamente bianca come imponeva la tradizione; rimasi abbagliata dalla perfezione di quella casa, persino le assi legno di cui era fatta la casa sembravano risplendere.
Raggiunta la porta mio padre si attaccò al campanello non prima che io riuscissi a leggerci il cognome 'Styles', dai suoi racconti, non ricordo abbia mai menzionato uno Styles ma è anche vero che non li chiama neanche coi loro nomi di battesimo.
Ad aprirci fu un uomo ancora piacente che non aveva ancora superato i quaranta, decisamente incazzato "Chi cazzo è che suona in questa manie- O mio Dio! Erick, quanto tempo!" Esclamò cambiando subito il tono di voce, si scambiarono poderose ma amichevoli pacche sulle spalle ridacchiando fra loro come due scolarette, dopo quella che parve un'eternità si staccarono "Karen, sei una favola!" Esclamò facendole fare una piroetta su se stessa "Come sempre" aggiunse sorridendo facendola arrossire. Quando mia madre scomparve oltre la soglia, il buon umore di Styles se ne andò con lei, i suoi occhi si scurirono e il suo sorriso si fece carico di significato "E così tu saresti Jocelyn?" Chiese guardandomi dall'alto in basso soffermandosi sul seno e sulle gambe per poi tornare al mio viso "Carina" disse solo mentre si leccava le labbra.

Angolo autrice
Sono anni che non aggiorno (letteralmente) ma avevo capito che come storia, la versione precedente, non poteva funzionare: sgrammaticata, con una trama che si reggeva in piedi su stuzzicadenti e troppi abusi insensati alla povera protagonista.
Ora sono cresciuta e il mio modo di scrivere, come spero avrete notato, è cambiato(in meglio spero), quindi dato che mi dispiaceva lasciare questa storia incompleta e lasciata al caso, ho deciso di riprenderla e di rivisitarla rendendola più leggibile e 'piacevole' vi saranno molti cambiamenti alla trama anche se non sarà difficile dato che era inesistente e ai personaggi.
Spero che questo nuovo arrangiamento vi piaccia!!
Ps. Avrei bisogno di una copertina nuova.

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