III

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Quei nove giorni scorsero lentamente. È sempre così quando desideri ardentemente una cosa, pensò Orpheus. Ma dopo tanto attendere arrivò finalmente la sera dell'ultimo giorno. Alzò il volto al cielo, una grande luna piena splendeva in alto, circondata dalla sua aura antica carica di mistero. Un gran fremito lo scosse salendo lungo la schiena. Per la prima volta fu contento di aver faticato molto nelle ore precedenti. Era servito per distrarlo dall' euforia di una nuova vita. La testa gli stava esplodendo. La mano bruciava forte ed era bagnato fradicio. La signorina Dirty non si era risparmiata una secchiata d'acqua ghiacciata per spronare quei ragazzacci fannulloni.

<<Si può sapere dove ti sei procurato quella bruciatura?>> gracchiò. Orpheus non rispose. Lasciò oscillare la mano a penzoloni fuori dal letto per toccare il pavimento freddo.

Nulla in quel momento era in grado di distoglierlo dai suoi desideri. Niente e nessuno capace di rovinargli l'umore di quegli attimi. Dopo un breve e misero pasto, tutti i ragazzi andarono di filato a letto. Non ci misero molto ad addormentarsi dopo aver faticato in campagna e presto la stanza fu buia e silenziosa, se non fosse per il russare di qualcuno. Solo Orpheus rimase sveglio. Continuava a fissare quella luminosa sfera in cielo e si chiedeva in che modo avrebbe saputo che era arrivato il momento.

Stava ancora rimuginando quando sentì un colpo di tosse provenire da sotto il suo letto.

<<Cof, cof>> tossì una voce polverosa.

<<Ma che diamine?>> Orpheus scivolò piano al disotto e strisciò senza provocare alcun rumore. Sul pavimento di legno marcio era comparsa una grossa bocca sdentata. Piccoli occhi neri poco più su lo fissavano infastiditi. Il ragazzino si ritrasse di colpo per lo spavento e andò a sbattere alle doghe di legno.

<<Ahi!>> disse massaggiandosi la nuca senza mai perdere di vista quella bocca che ora sembrava imbronciata.

<<Senti che hai da guardare? Non hai mai visto una BotolaDentata?>> disse con orgoglio.

<<Ehm, n-no>> balbettò dopo essersi tirato un pizzicotto.

<<Allora vedi di farci l'abitudine.>> Spalancò le grosse fauci e lasciò intravedere un passaggio.

<<Devo mettermi le scarpe>> continuò con un po' più di coraggio.

<<Fa presto, non ho mica tutto il giorno>> commentò stizzita la BotolaDentata.

Orpheus si vestì più in fretta che poté e mise in uno zainetto rattoppato le poche cose che aveva. Poi strisciò di nuovo sotto il letto. La bocca si aprì di più della volta precedente, giusto il necessario per farlo passare e lo ingoiò. Il forte rutto che seguì fece svegliare la signorina Dirty che, arrabbiata, cominciò a imprecare.

Anche Euridice aspettava un segno. Per tutta la notte non aveva fatto altro che girarsi e rigirarsi nel letto. La pendola nel corridoio scandiva le ore ed era già il terzo rintocco da quando tutti in casa avevano deciso di andare a letto. Poi guardò la sua mano. Poco più sotto di quello strano simbolo era rimasta una bruciatura che nonostante tutto continuava a dolerle. Non era più riuscita da allora a mettersi in contatto con Orpheus e questo la rattristava molto. Con lui accanto si sentiva molto meno sola. In quella casa in cui era finita la prendevano tutti per matta da legare e sapeva che se un giorno o l'altro non fosse andata via da quel postaccio, l'avrebbero di certo ricoverata.

<<Devi andare via da questa vecchia bagnarola>> le disse il vecchio nonno in uno dei suoi rari momenti di lucidità <<Non appartieni a questo mondo.>> Si addormentò profondamente e ... <<Concedimi un altro giro di brandy!>> poi continuò a russare.

Sino a poche ore prima la sua matrigna non le aveva dato pace. Se fosse sparita senza lasciare nessuna traccia le avrebbe fatto il più grosso dei favori.

<<Quello sciocco di mio marito non fa altro che farle regali per i suoi buoni voti a scuola. Se andrà avanti così non resterà nulla per me e per le mie bambine. Come farò povera me a presentarmi in piazza senza una borsetta nuova ogni settimana!>>

L'unico sollievo per lei era rifugiarsi nei sogni del vecchio nonno. Sognava torte gelato immense, i suoi calzini caldi di lana e la sua barca ormeggiata al molo su di un mare cristallino. Ma al risveglio le aspettava sempre una realtà infelice. Le gemelle le facevano scherzi di ogni tipo. Dal dentifricio nel naso, alla raganella nelle scarpe, la sua vita era un continuo guardarsi intorno nell'attesa di qualche altra trappola.

La bruciatura cominciò a dolerle più del solito quando apparve proprio di fronte a lei una porta di legno marcio. La finestra si era spalancata facendo volare le tende e sbattere le imposte malferme. La luna brillava in cielo più lucente che mai. Era arrivato il tempo di andare. Oniria, per quanto terrificante, non poteva essere peggio di quel posto. Coperta con il suo mantello, aprì la porta facendo cigolare i cardini e vi sparì all'interno, richiudendosela alle spalle. Sentì il pavimento cedere sotto il suo peso e le sembrò di essere caduta almeno un chilometro più sotto.

Quando riaprì gli occhi non credette ai suoi occhi. Un enorme labirinto di pietra scura circondava ogni cosa a perdita d'occhio.

OniriaWhere stories live. Discover now