Una Giocata Vincente pt1

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Gab

Sarò sincero; personalmente a me Las Vegas non mi fa proprio impazzire.

Anzi, se devo dirla tutta non mi piace affatto come città.

Troppe luci, troppi rumori, troppo... finto.

Da quanto mi aveva raccontato Bobby; nel corso degli anni dalla sua ricostruzione, Las Vegas aveva deciso di recuperare il più possibile l'aspetto che aveva avuto prima dell'avvento della Terza Guerra. Anche se ne mancava ancora al raggiungimento di tal scopo (avevo visto qualche foto della Las Vegas ai tempi degli Antenati, sembrava in tutto e per tutto una città del futuro) bisogna dire che si era impegnata abbastanza. Pure troppo a mio dire.

Non c'era posto in cui voltarsi dove non si vedeva una qualche scritta o insegna luminosa che indicavano i vari negozi e sale giochi a cui appartenevano. Per non parlare poi delle pubblicità sotto forma di ologrammi in movimento o delle riproduzioni in scala ridotta di monumenti famosi sparsi per il mondo in versione virtuale come la Torre Eiffel e il Colosseo, tutti ovviamente con la stessa luminosità di due alberi di natale se non di più.

No sul serio, c'erano così tante luci in questa città che uno poteva tranquillamente girare con gli occhiali da sole senza sembrare un completo idiota (qualcuno che li portava c'era). Montréal al confronto gli fa un baffo.

Magari come cosa a qualcuno poteva anche piacere, ma questo non valeva per me.

Onestamente preferisco più posti dal paesaggio caratteristico del luogo.

L'unica cosa perlomeno interessante di questo posto era il gioco d'azzardo di cui abbondava.

Era divertente individuare i trucchetti di cui i giocatori si servivano per riuscire a vincere con facilità per poi rivoltarglieli contro. Le Loro espressioni in quei momenti erano davvero superlative.

Un poco mi dispiaceva non potermele godere con calma, ma purtroppo non eravamo qui per una semplice gita di piacere. Avevamo una missione da portare a termine.

«E questi vanno a me, ah!» esultò con fin troppo entusiasmo il mio compare raccogliendo una notevole montagna di fisher colorate che eravamo riusciti a vincere in questa partita di poker. Attualmente aveva l'aspetto di un uomo sulla trentina con i capelli castani ingellati e una corta barba curata, i vestiti eleganti che indossava ne risaltavano il fisico ben proporzionato e non esageratamente muscoloso.

Io non riuscii a trattenermi dal piegare un angolo della bocca in un sorriso divertito nell'osservare le facce dei nostri avversari intenti a rivolgere occhiate irritate a Den mentre era impegnato a intascarsi la vincita.

Era evidente come la cosa a loro non riuscisse ad andare giù.

«Signori, è stato un piacere giocare con voi.» li salutò Den alzandosi dalla sua sedia e accennando un breve inchino teatrale, poi si voltò verso di me guardandomi con trepidazione. «Andiamo Briel? Voglio provare qualche altro tavolo!»

Lasciandomi andare un leggero sospiro rassegnato, mi alzai e lo raggiunsi.

"Anche se dovresti mostrare di avere ventinove anni ne dimostri comunque quindici"; era questo quello che mi sarebbe piaciuto dirgli per stuzzicarlo.

Mah... alla fine non era colpa sua, dopotutto in realtà aveva davvero ancora quindici anni.

Infatti quello che indossava non era altro che un travestimento, barba compresa, progettato appositamente per trarre in inganno le persone del casinò in modo da farci entrare senza destare troppi sospetti.

Lo stesso valeva anche per il mio solo che, nel mio caso, consisteva nell'interpretare il ruolo della sorella minore di un sedicente uomo d'affari che, in seguito alla perdita di entrambi i genitori avvenuta qualche anno prima in concomitanza del Disastro al Pentagono (erano morti un discreto numero di componenti delle Classi più agiate in quell'attentato) e in mancanza di un altro tutore legale, era stata affidata al fratellastro già maggiorenne e che perciò lo accompagnava in quasi ogni evento in cui egli partecipava o usciva, compreso il gioco d'azzardo di cui, secondo il copione, ne era appassionato.

The Child - A Lame IncrociateWhere stories live. Discover now