Chiuse gli occhi e immaginai stesse andando alla ricerca di quella porta di ferro nero all'interno della sua mente, per vedere da sé il ponte che aveva sostituito quello vecchio.

Adesso era davvero stabile, le crepe se ne erano andate, attorno al legno si trovavano dei fiori colorati e perfino attorno al ponte non si trovava più quel buio di prima, ma era molto più illuminato e limpido.

Annuì lentamente. «Quindi la mia guarigione è a causa tua. Mi hai salvato tu».

«Non proprio». Alzai le spalle. «Ho solo accelerato il processo».

Posò la sua mano grande, calda e abbronzata, sulla mia, affusolata e con le unghie ricostruite dalla mia estetista preferita in città. «Grazie, Arya. Grazie per avermi salvato».

Annuì, con il cuore in subbuglio. «Non farlo mai più. Non metterti mai più nella condizione di attirare un mostro per evitare che faccia del male a me. Non voglio salvarti la pelle di nuovo, solo perché tu l'hai salvata a me».

Storse il naso ma non disse altro, tornando a mangiare, o meglio bere, la sua zuppa in silenzio.

Med mi inviò un messaggio, chiedendomi di scendere al piano inferiore, e qualsiasi muscolo mi si irrigidì per l'ansia. Non mi aveva mai inviato un sms in vita sua e aveva il mio numero solo per le emergenze.

Mi alzai, infilandomi il cellulare nella tasca anteriore dei jeans stretti. «Vado a prendere qualcosa da bere giù, visto che non ho pranzato perché non ho appetito. Tu continua pure, se hai bisogno mandami un sms». Indicai con il mento il telefono sul suo comodino.

Annuì, con lo sguardo ancora puntato sulla zuppa, e questo mi fece aggrottare la fronte. Poi lo alzò e il senso di colpa nei suoi occhi mi destabilizzò. «Mi dispiace, Arya».

«Per cosa?».

Riabbassò lo sguardo. «Per tutto. Specialmente perché ti sei presa cura di un peso come me in questi giorni e sarà stato difficile».

Mi avvicinai lentamente e con le nocche gli sfiorai la guancia, sentendo l'accenno di barba scura e ispida pizzicarmi la pelle delle dita.

Scossi la testa e accennai un sorriso. «Non sei un peso, Dantalian, lo dici come se tutto questo fosse colpa tua».

Non accennò ad alzare lo sguardo e spostai la mano sulla sua spalla, accarezzandolo e cercando di dargli conforto. «Non sarei mai rimasta ferma a guardarti, lì immobile sul divano, a morire. Chiaro?».

Annuì e mi guardò con gli stessi occhi tristi di prima, ma adesso scorgevo un accenno di riconoscenza e quasi affetto. Andai verso la porta e, quando non gli fu più possibile vedermi, corsi letteralmente giù, trovando Med appoggiato alla cucina.

«Che succede?».

Storse il naso, prendendo qualcosa dalla tasca e consegnandomela. Una busta. Una busta nera e rossa, con un elegante firma e un timbro molto familiare. «Era qui fuori, per fortuna l'ho trovata io e non un altro di noi».

Inspirai. «Non è possibile. Non di nuovo. Cos'altro c'è adesso?». Girai la busta più volte, non sapendo se desideravo di più bruciarla o farla diventare una strillettera, così da non doverla leggere da sola.

«Aprila e leggila». Anche la sua voce era carica di ansia. «Ma non qui. Fuori, in cortile, nella parte più nascosta. Non voglio neanche sapere cosa contiene se gli altri non dovranno saperlo».

Annuii. «A Dantalian ci pensi tu?».

Prese qualcosa dal frigo, che poi scoprì essere una bottiglia d'acqua, e del whisky dalla credenza. Lo osservai confusa e alzò le spalle indifferente. «Che c'è? Parliamo di Dantalian, sicuramente lo vorrà e direi che se lo merita anche un goccetto».

FatumWhere stories live. Discover now