Richiamai Ignis dentro di me, cominciando a spedire palle di fuoco sulle sue zampe, rialzandomi con un salto e correndo a zig zag per evitare i suoi colpi.

Nel frattempo Dantalian usò la sua spada, simile ad una katana, per tagliargli la coda, mentre il brutto mostro si lasciò andare ad un urlo arrabbiato e dolorante.

Schivai una sua zampata a malapena, squamosa e con degli artigli celesti, con le mani ancora infuocate da Ignis, e mi rivolsi al demoniaccio dall'altra parte.

«La prossima volta che dirai a qualcuno che sono tua, ti spaccherò la milza a colpi di sedia!». Sibilai, sbuffando e colpendo il mostro sulla zampa che stava per attaccarmi.

Lo vidi sorridere ammiccante, prima di correre per pararsi davanti a me e girarsi per guardarmi con un sorrisetto. «Arya-».

Scelta molto sbagliata.

Il mostro lo inghiottì in un boccone, come avevo pensato potesse fare con me, e considerai l'idea di lasciarlo lì, nel suo stomaco, a marcire insieme a lui. Ma non era possibile, mi era utile.

Sbuffando ancora, usai Ignis per bruciargli la maggior parte della pelle viscida, senza più giocare ad interruzione, e quando fu abbastanza debole tagliai la prima parte della pancia.

Lo stomaco iniziò a muoversi, un po' come quando le donne incinte vedevano il loro bambino scalciare, e pochi secondi dopo una lama affilata bucò la pelle ormai bruciata e sottile. Ne uscì il demoniaccio, sporco di liquidi che neanche osavo immaginare a cosa, o a chi, appartenessero.

Eppure, anche se schifosamente sporco, il suo sguardo si illuminò e sorrise. «Secondo il matrimonio, in qualsiasi cultura o religione, ciò che è mio è tuo e ciò che è tuo è mio. Quindi, ragionando, visto che tu sei tua, sei anche mia. E io, che sono mio, sono anche tuo».

Storsi il naso schifata. «Mi pento di aver ucciso il mostro-». Osservai il cadavere. «Adesso vorrei così tanto essere mangiata da lui dopo ciò che hai detto».

Rise, avvicinandosi a me, ancora sporco e allargando le braccia spoglie, senza la maglia nera che le copriva malgrado il freddo di quei giorni. I suoi tatuaggi risaltavano anche sotto gli orribili liquidi che aveva addosso.

«Abbracciami, Arya».

«No!». Saltai di lato.

Non si arrese. «Sono stato appena mangiato da un mostro, ho rischiato di morire. Ho bisogno di amore e consolazione». Sporse il labbro inferiore con tristezza.

Lo fulminai. «Trovati qualche altra donna che soddisfi i tuoi bisogni».

«E allora che mi sono sposato a fare?». Ammiccò.

«Una moglie questo lo farebbe».

Assottigliai lo sguardo. «Finché non avrò un anello al dito siamo solo due colleghi». Storsi il naso alla visione dei liquidi corporei sul suo corpo. «Hai bisogno di una lavata».

Alzò le spalle. «Detto fatto».

Chiuse gli occhi per qualche minuto e poi Vepo si formò sulle sue mani in una palla di acqua simile a quelle mie di poco prima. Se ne lanciò addosso qualcuna in posti mirati e lo sporco scivolò via da lui come se non si fosse mai depositato sulla sua pelle.

Solo che adesso era fradicio: i capelli bagnati, resi più scuri della notte stessa, la maglia nera appiccicata al petto ampio, i jeans neri visibilmente più pesanti.

Era davvero una notte senza stelle, pensai.

«Se vuoi squadrarmi ancora un po' mi tolgo la maglia e ti facilito il lavoro».

FatumWhere stories live. Discover now