Lo spinsi con un colpo di fianchi e mi apprestai a spiegarle. «Ochate oggi è nota a molti come una città maledetta. La leggenda narra che questa città sia il luogo di numerosi eventi paranormali dopo aver attraversato tre tragedie».

Dantalian annuì. «La prima fu l'epidemia di vaiolo del 1860, dove solo 12 persone sopravvissero nella stessa località».

Med storse il naso. «Solo anni dopo la popolazione si riprese, ma subito furono preda di un'epidemia di tifo mortale. Finalmente, e dopo essersi ripreso, un'epidemia di colera finì per distruggere gli ultimi abitanti».

Ximena rabbrividì. «Ma non è una leggenda?». Io annuii. «E le leggende non si chiamano così proprio perché sono basate su pura fantasia?».

Scossi la testa. «Ximena, alla base di ogni leggenda si nasconde sempre un po' di verità». Purtroppo.

«Ciò che ha dato origine alla leggenda della maledizione di Ochate è che, per coincidenza, nessuna delle città e dei villaggi vicini aveva attraversato queste stesse tragedie». Erazm sorrise, entusiasmato dal tipo di argomento che amava, ovvero le maledizioni e qualsiasi cosa fosse inquietante.

Beccai Med osservarlo più del dovuto con uno sguardo criptico e da una parte sorrisi, ma dall'altra la paura che lo stesse facendo perché lui era la spia, mi colpì in pieno. Avrebbe potuto fare del male a mio fratello, ma non glielo avrei mai permesso prima di passare sul mio cadavere.

Avrei ammazzato con le mie mani chiunque avrebbe tentato di sfiorarlo in un modo che non fosse con amore, perché lui non meritava del male.

Quel pensiero mi accompagnò tutto il tempo, mentre Med mi porgeva i biglietti, mentre preparavo un borsone con dentro delle armi, mentre mi vestivo nel modo più carino ma comodo per combattere, con Rut alla guida, diretto all'aeroporto, e anche mentre li salutavamo con la mano, in fila per l'imbarco e i controlli di sicurezza.

Dantalian fece il suo solito gioco di persuasione, usando il potere di coercizione, e nessuno notò il doppiofondo del borsone, in cui erano nascosti pugnali, fasce per proteggerci la pelle, pistole, tirapugni e altro. La maggior parte appartenevano a lui, che non aveva altro modo se non lo scontro corpo a corpo per difendersi, mentre io usavo solo due o tre pugnali di emergenza, perché per altro lavoravo con Ignis e Fermentor.

Anemoi, invece, non lo usavo mai, perché era troppo potente e forte per poter essere liberato. Se mai lo avessi usato, allora significava solo una cosa: un punto di non ritorno. Il motivo per cui eravamo partiti così in fretta e furia? Le fottute trentaquattro ore di volo, con i tre meravigliosi scali in aggiunta, che avremmo dovuto affrontare per arrivare a Burgos da Tijuana.

Dantalian si buttò sul sedile, dalla parte del finestrino, con poca delicatezza. «Il nostro primo viaggio da soli, proprio come moglie e marito». Mi osservò con ironica tenerezza.

Gli mostrai il mio miglior sorriso acido. «Più che luna di miele sarà una luna di veleno».

Si attorcigliò una ciocca dei miei capelli tra le dita e tirò leggermente, costringendomi ad avvicinarmi a lui. «Mi piacciono i tuoi capelli».

Gli schiaffeggiai la mano. «Non toccarmi». Lo fulminai con lo sguardo. «E poi non eri quello che mi doveva trattare male? È ciò che hai detto mi pare».

Sospirò chiudendo gli occhi e quando li riaprì mi mandarono mille lampi di rabbia. Si appoggiò con la schiena al sedile e la sua nuca ci sbatté contro. «Non ci riesco». Borbottò.

«A fare cosa?».

Sbuffò infastidito. «Niente, lascia stare».

Voltò la testa verso il finestrino e smise di calcolarmi, ma era un bene probabilmente. In un certo senso, ero sempre stata abituata ad essere calcolata poco, non ero a conoscenza di una possibile vita con tante persone attorno, con molti amici, con esperienze d'amore o anche solo con una famiglia alle spalle.

FatumWhere stories live. Discover now