Dopo essermi asciugata la pelle bagnata indossai una maglietta extra-large. «Se devi fare le cose solo per ricevere grazie non le fare».

Torreggiò su di me con la calma spietata che lo contraddistingueva. «No, flechazo, non è un grazie ciò che voglio».

Mi spostò il ciuffo ribelle e bagnato dietro l'orecchio con le dita. «Voglio sentirti dire che ti ho salvato la vita per la seconda volta e questo porta solo ad una cosa...». Il suo fiato caldo mi sfiorò l'orecchio e rabbrividì involontariamente, detestandomi. «Tu hai bisogno di me. Dillo».

Scoppiai a ridere. «Scordatelo. Mi hai salvato la vita ma ci sarei riuscita anche da sola».

«Ne dubito, flechazo». Alzò un sopracciglio con fare saccente.

Assottigliai lo sguardo e mi avvicinai al suo petto nudo fino a sbatterci il seno, coperto dalla maglia larga e lunga che indossavo. «Se devo essere salvata con la pretesa di dover dare sempre questo tipo di riconoscimento, preferisco tentare di salvarmi da sola e, qualora non ci riuscissi, morire con dignità».

Fischiò. «Addirittura. Mi odi così tanto da preferire la morte ad un semplice "grazie"?».

«Se non avessi fatto l'arrogante te l'avrei anche detto». Ringhiai. «Ma adesso non lo meriti più».

Mi voltai e mi allontanai verso la mia camera, ignorando la sua presenza dietro di me, e sbattendogli la porta, con poca delicatezza, quasi sul naso.

«Zampetti via da me con le stesse gambe che vorrei legate attorno alla mia vita!». Aprii la bocca per mandarlo a quel paese, ma mi anticipò, con la voce che si abbassava mentre si allontanava dalla porta di legno.

«Non puoi insultarmi. Ti ho salvato la pelle!».

Sbuffai infastidita e mi vestii in modo decente, più da me. Quindi jeans strettissimi neri, top di pizzo e stivaletti di pelle, fregandomene altamente del caldo infernale presente in Sicilia in quei giorni.

Scesi le scale velocemente, quasi saltellando, e trovai Rutenis disteso sul divano, una fascia bianca attorno al petto e una birra in mano. Guardava la tv, ma non la stava guardando veramente, e questo mi strinse il cuore abbastanza da avvicinarmi. Prima però mi recai verso il frigo, prendendo una piccola porzione di cassata per me e una per lui.

Spostò lo sguardo su di me. «Erazm ha comprato cornetti al pistacchio per tutti stamattina. Li trovi sul bancone».

Tornai indietro di corsa, riposando le piccole cassate sul frigo, e prendendo i due cornetti al pistacchio. Glielo porsi.

«Grazie». Mi osservò di sottecchi.

Morsi la punta del cornetto, sfogliosa e vuota dalla crema di pistacchio. «Come stai?».

«Dovrei chiederlo io a te-». Parlò con la voce attutita dal cibo. «Sei tu che stavi per morire».

Sorrisi. «Sto bene. Starei meglio se Dantalian non avesse preteso un grazie, ma sto bene».

«Non credevo che uno scimmione come lui potesse essere così delicato». Lo osservai confusa e lui mi sorrise come si sorrideva ad una bambina.

«Si è preso cura di te con così tanta cura da sembrare, in un certo senso, davvero tuo marito. Come solo una persona che ci tiene può fare. Ti ha lavato, ha cucinato e frullato il cibo per poterti permettere di mangiare, visto che non eri in grado di masticare, ti ha messo panni freddi sulla fronte, ti ha lavato i capelli e te li asciugava anche per non farti aumentare la febbre. Quando tuo padre lo ha rispedito qui, dopo la cura dello stregone, e gli ha ordinato di infilarti in una vasca piena di ghiaccio, credimi-». Ridacchiò al ricordo. «Aveva la faccia di uno con un dito in culo».

FatumWhere stories live. Discover now