Assottigliai lo sguardo, non credendo parzialmente a quella confessione. «Abbiamo accettato il patto, Dantalian, e non ci si può più tirare indietro. Il nostro obiettivo adesso è proteggerla fino alla morte ma non possiamo farlo se non sappiamo neanche noi cosa è, quali sono i suoi poteri e i punti di forza».

Ci penso su un attimo e poi annuì. «Hai ragione, andiamo».

Lo seguii all'interno dell'edificio, superando la parte più vecchia e abbandonata all'inizio, e quando iniziammo a salire le scale a chiocciola che avevamo visto dall'esterno, lui si mise a cantare. Dico, si mise a cantare.

«She's a good girl, crazy bout Elvis». La sua voce profonda risuonò nel silenzio dell'ambiente, mentre fischiettava il ritmo della canzone. Riconobbi subito la melodia, essendo una delle mie preferite.

Sospirai. «Stiamo scendendo all'inferno e ti metti a cantare Free Fallin di John Mayer?».

«È sempre il momento giusto per Free Fallin». Mi osservò da sopra la spalla. «È un pezzo che si adatta a molte situazioni».

Aprii la porta prima che potesse farlo lui, odiando i gesti di galanteria fatti solo per apparenza. «Non ne dubito».

Continuò a canticchiare finché le scale non finirono, ed erano veramente tante, e ci ritrovammo davanti a un ascensore nero opaco.

Cliccai l'unico tasto disponibile, ovvero la freccia rivolta verso il basso, e attesi. «I wanna free fall out into nothin'». Con il piede iniziò a battere il tempo in un modo fastidioso, ma sentirlo cantare mi piaceva troppo per farlo smettere. Il che me lo fece odiare ancora di più.

«Oh, I′m gonna leave this, this world for a while». Sorrise debolmente e abbassò lo sguardo.

Non riuscii a fare a meno di iniziare a cantare anche io. «Now I'm free».

Il suo sguardo si alzò di scatto, dal pavimento al mio viso, e aprì la bocca sorpreso. Ci guardammo per un po' di tempo nel modo più intenso che avessimo mai fatto e poi successe.

«Free fallin′, fallin'». Sussurrammo.

Sorrise smagliante, poco prima che il rumore dell'arrivo dell'ascensore interrompesse il nostro karaoke.

Entrai all'intero dell'abitacolo, non sapendo se fosse la situazione a renderlo più piccolo di ciò che mi ricordavo, e quando anche lui entrò, spinsi di nuovo l'unico pulsante esistente. Quando lui si girò per fissare le porte mi lasciai andare ad un piccolo sorrisetto, che sparì veloce come era arrivato quando la sua testa rientrò nel mio campo visivo.

Quando il rumore simile ad un "click" dell'ascensore ci avvisò di essere arrivati e le porte si aprirono, il caldo cocente dell'inferno ci investì. Appena posai il piede sul pavimento nero dell'edificio, che era molto simile ad un hotel lussuoso, e le mie scarpe iniziarono a ticchettare in base alla mia camminata a causa del tacco sottostante, mi pentii di essere scesa all'inferno.

Davanti a noi c'era un lungo corridoio, con pareti di velluto rosso che sembravano respirare e assorbire le nostre energie, delle porte nere con le maniglie d'oro, letteralmente oro, e sulle pareti alcune etichette anch'esse dorate, un po' come negli studi degli avvocati, ognuna con delle categorie di demoni e nomi diversi. Con lo sguardo cercai per la prima volta un nome diverso da quello di mio padre e i suoi sudditi e quando lo trovai lo indicai con il dito, più precisamente con la mia unghia nera sfumata con il bordeaux.

Astaroth,
principe dell'inferno,
a capo degli spiriti impuri perturbatori di anime.

«E andiamo». La voce di Dantalian fu più il tono di chi sta per andare al patibolo.

Era davvero tragico quel ragazzo.

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