Ci incontriamo di nuovo

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«Certo, certo, ti capisco» continuò Grania, «E per quanto riguarda...» ma il mio strillo la interruppe prima che potesse finire: «Rìan, attento!».

La macchina di fronte a noi, nella quale viaggiavano Solamh, Michan e Saoirse, era appena saltata in aria.

Rìan inchiodò e la cintura di sicurezza si tese al massimo, ferendomi all'altezza della clavicola; Declan sbatté la testa contro il sedile del guidatore e Cian imprecò pesantemente, agguantando con fare spasmodico la maniglia.

Vidi Rìan protendere la mano sinistra e, come sorretta da una forza invisibile, la macchina di fronte a noi si bloccò a mezz'aria.

«Tirateli fuori, forza!» ruggì l'uomo, con un rigagnolo di sangue che gli fuoriusciva dal naso per l'improvviso e ingente uso di magia.

Schizzammo fuori dal veicolo e, quando Rìan abbassò lentamente l'auto, ci prodigammo per tirare fuori i tre malcapitati.

Non appena furono estratti tutti e tre, la macchina piombò a terra con un gran fracasso e si incendiò con un basso crepitio.

«Si è messo in mezzo alla strada! Si è messo in mezzo e ci ha tirati su per il cofano!» esclamò Solamh con gli occhi sgranati e l'espressione sconvolta.

«Chi?» inveì Rìan, estraendo con una fulminea e fluida mossa la Lancia dal fodero che pendeva al suo fianco.

«Lui» pigolò Saoirse ed indicò con un dito tremante una figura che si sbellicava dalle risate al bordo della strada.

La creatura era alta e longilinea, con una zazzera scomposta di capelli neri e una lunga barba altrettanto scura. Piegata in due dalle risa, si teneva la pancia con due mani e, attraverso il profondo scollo della camicia bianca che indossava, si intravvedevano i pettorali tatuati con spire d'oro e d'argento.

«Rowan, vieni!».

Donegal, scendendo al volo dall'auto che divideva con Neacht, Labhraidh e Daghain, indicò con un gesto eloquente la fata al bordo della strada, e iniziò ad avvicinarvisi con fare guardingo.

Capendo quali fossero le sue intenzioni, feci per andargli dietro, ma le ferree dita di Rìan si agguantarono al mio polso: «Sei sicura, Rowan?» mi domandò piano, fissandomi con le pupille ridotte a due punte di spillo.

Feci spallucce e, con sincerità, ribadii: «Non ho altra scelta».

Le dita dell'uomo indugiarono per qualche altro secondo sulla mia pelle, poi, lasciandomi lentamente andare, egli borbottò: «Sta' attenta».

Cercai di rivolgergli un sorriso incoraggiante, poi corsi dietro a Donegal, il quale era ormai a pochi passi dalla fata.

«Giochiamo, giochiamo!» strillò l'essere e, ghignando nella nostra direzione e mettendo in mostra una dentatura acuminata come quella di uno squalo, si voltò e corse verso il bosco.

Donegal partì all'inseguimento, ed io con lui.

La fata sfrecciava fra le betulle e i pini e, saltellando di tanto in tanto, tirava verso il basso le fronde e ne strappava le foglie e gli aghi, sghignazzando come un folle. Sembrava si stesse divertendo come mai nella vita.

«Mi sono stancato di giocare» sentenziò poco dopo, e si fermò di colpo fra gli alberi.

Si sedette fra i cespugli e incrociò le mani dietro la testa, restando a guardarci con i suoi immensi occhi gialli da gatto. Con un certo sgomento mi resi conto che le sue pupille erano verticali come quelle dei predatori, e notai anche come le sue orecchie fossero lunghe e appuntite, adornate da una decina di anelli d'oro per parte.

Sangue di DiscendenteWhere stories live. Discover now