Mio genero - 2

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Crescita. Responsabilità. Fiducia. C'aveva messo in mezzo pure l'indipendenza, fin da subito, con una faccia tosta che m'aveva fatto alzare gli occhi al cielo. Come se trasferirsi nella casa in cui sono cresciuta lo traghettasse di diritto nell'età adulta. Sì, d'accordo, aveva già vent'anni e non era più un bambino... Ma ai miei occhi, in fondo, lo resterà per sempre.

Perfino se - e quando, ma soprattutto se - ne avesse di suoi. Sinceramente, vi dirò, vivo benissimo anche senza diventare nonna. Nina, con cui sono rimasta amica nonostante i nostri figli si siano lasciati ormai più di un decennio fa, fatica a crederci. Mi mostra continuamente le foto di Maddi e della sua nipotina, sperando di cogliermi in fallo ed esclamare "AH-HA! Lo sapevo che era tutta invidia e ne vuoi anche tu!"
Ma anche no, seppure io sia sicura che Niccolò sarebbe un ottimo padre.

Comunque, torniamo al discorso convivenza.
L'ho sempre saputo, che erano bei paroloni e il fine ultimo è sempre stato portarci anche Martino. Fin dagli inizi, l'aveva coinvolto nel trasloco e nell'ammodernamento dei locali così tanto da rendermi impossibile non sospettare che puntassero ad andarci a vivere insieme.
Non mi sorpresi affatto, quindi, quando uscì la questione.
Non credevo che fossero pronti a compiere quel passo - e mi sbagliavo: tengo incrociate le dita che sia lo stesso per questo matrimonio, di cui io non capisco assolutamente la necessità - ma era pur vero che esprimere la mia opinione non sarebbe servito a nulla: non ci avrebbe ripensato, anzi. Rischiavo soltanto di venir accusata di non comprendere la profondità dei sentimenti che lo legano al suo ragazzo. Esattamente come ora mi direbbe che è molto triste che io veda il matrimonio soltanto come un contratto tra due persone, da stipulare soltanto quando c'è di mezzo la prole. Altrimenti, di alternative per essere considerato un parente prossimo senza sposarsi ormai ce ne sono... e potrei aver chiesto a Gioele di illustrarle a nostro figlio. Un buco nell'acqua, visto che siamo qui a sentirli scambiarsi le promesse. Vabbè, peccato. Valeva la pena tentare, no?

"Ne sei proprio sicuro?" Gli domandai quella sera, proprio come avevo fatto quando gli ho consegnato le chiavi dell'appartamento, cercando di non far trasparire né la mia preoccupazione né tantomeno il mio scetticismo. L'aveva visto partire sull'onda dell'entusiasmo tante di quelle volte, da essere perfettamente conscia che i miei tentativi di essere realista sarebbero stati interpretati come cinismo. Se non altro, spesso c'era il suo ragazzo a tenerlo ancorato a terra... Ovviamente, tuttavia, pure lui era ancora poco più che adolescente e non mi potevo certo aspettare che non volesse coronare il sogno di non avere genitori tra i piedi.

"Sicurissimo." Ribadì, con fermezza, stringendo la mano di Martino. "Ce la posso fare, ma'... Ce la possiamo fare."

Improvvisamente, mi tornò in mente quello che spesso sentivo mia madre dire quando chiacchierava con la gente e si toccava l'argomento figli 'ehhh, quant'è difficile vederli fare i tuoi stessi sbagli e rassegnarti che finché non ci sbattono la faccia non imparano...'
Allora ero convinta che no, quando avrei avuto un figlio o una figlia miei, la mia esperienza di vita sarebbe servita a qualcosa. Che illusa.

Stava a Niccolò e Martino, a loro soltanto, capire se un passo del genere fosse prematuro o meno. E se si fosse trattato di un errore di valutazione, avrebbero evitato di trascinare avanti per cinque o dieci anni una storia che funzionava proprio perché ognuno continuava ad avere i suoi spazi e ci si vedeva nei ritagli di tempo. Non li contavo neanche più, i fidanzamenti che erano finiti nel giro di qualche mese di convivenza...

A convincermi definitivamente, comunque, furono mio marito e una mia collega.
Lui, facendomi giustamente notare che non se poteva più di 'sti due che stavano attaccati come ventose l'uno all'altro tutte le volte che ti giravi.
E la mia collega che se n'era uscita con un 'non dovresti assecondare tutte le pazzie di tuo figlio', quando non era manco con lei che stavo parlando.
Proprio non l'era andata giù che non l'avessi ringraziata per quel 'magari è solo confuso, così non lo aiuti' quando m'era capitato di chiedere consiglio alle mie amiche - e quella maledetta s'era infiltrata al nostro aperitivo, come tendeva a fare spesso: puntava un collega e ci stava appiccicata peggio di una cozza allo scoglio, e in quel periodo aveva preso di mira me - su come far tornare Nico a concentrarsi su qualcosa che esulasse dalla sfera amorosa. Sì, lo so che ci sarebbe anche quell'altra ma permettete che io preferisca non immaginarmi mio figlio in certi contesti...sebbene sia stata io stessa a sedermi sul divano con lui e spiegargli l'importanza di essere un amante gentile e attento, a insistere forse un po' troppo sulla "sacralità" dell'atto, spaventata com'ero da quella 'promiscuità' che avevo letto tra i possibili sintomi della sua malattia.
Ne ho fatti di errori, a tal proposito. Psicoanalizzare Niccolò ogni minuto, cercando sempre avvisaglie di una crisi. Invalidare ciò che provava, come se l'ingigantire i sentimenti li rendesse meno reali. Caricare un peso troppo grande sulle spalle di Maddalena.
Fortunatamente, Martino si è opposto con decisione al diventare il guardiano di Nico. O peggio, il suo badante. Anche a costo di darmi l'impressione che del mio bambino non gliene importasse niente.

Yourselves through my eyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora