Isa

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Era stato il primo fiore a sbocciare e il primo a cadere. Si sentiva terribilmente oppressa ma gli era sconosciuta la causa. Era come se il buio del cielo avesse inondato il suo corpo e incupito il suo cuore. Era diventata lei stessa la sua cella, contro le cui mura la sua anima sbatteva ripetutamente. Si guardava allo specchio e infilava le sue mani nei folti capelli neri. Era sola in quella casa così come si è soli nell'angoscia.

Isabella era un'adolescente strana, a volte sembrava la ragazza più forte della terra, altre volte era fragile come un cubetto di ghiaccio. Amava scrivere romanzi ma si sentiva troppo insicura per farli leggere a qualcuno. Dentro il suo petto batteva un cuore talmente grande da far rimanere senza fiato tutti coloro che avevano avuto il privilegio di starle accanto ma chi la vedeva da lontano la trovava scorbutica, altezzosa, quasi maleducata. Ogni volta che camminava era come se fosse circondata da una luce strana, una luce che veniva percepita in modo completamente diverso in base a chi la guardava. Per le sue compagne di scuola la luce si trasformava in ombra tenebrosa, non riuscivano a vedere la vera lei, forse perché Isabella non credeva fossero degne di ricevere il suo grande cuore. Si sentiva sola ma non percepiva la solita sensazione che provano le ragazze a quell'età, la sua solitudine era immensa, si sentiva non capita, si sentiva troppo particolare per gli animi che la circondavano, troppo attaccati all'apparenza e poco alla verità.

"A 16 anni senti che il mondo ti sta schiacciando e, mentre ti trasformi in piccoli granelli di polvere, percepisci che il vento ti trascina via, verso strade mai viste, porti sconosciuti e angoli cupi. A 16 anni senti che nessuno ti capisce e, osservando le vie che circondano il tuo cammino, ti rendi conto che i mille volti che credevi amici, camminano a testa bassa, non girando la testa verso i tuoi occhi languidi, e, quando notano il tuo dolore, ti fanno un cenno con la mano come per salutarti per poi continuare a camminare, senza neanche fermarsi per chiedere come stai. Ti guardano, apparentemente forte e bella, ma non cercano di abbattere la maschera che indossi ormai da anni per conoscere la vera te. A loro non interessa chi sei, come stai, cosa fai, a loro interessa solamente come appari. Giudicano, pensando di non ferirti perché la maschera che ti copre il volto non piange mai, ma in realtà, dietro il superfluo strato di menzogna che ormai fa parte di te, le lacrime ti inondano il viso, non lasciando neanche un minuscolo pezzo di pelle asciutta. A 16 anni credi che nessuno ti apprezzi, senti che non troverai mai chi ti capisce, chi non vede l'ora di ascoltare i tuoi pensieri contorti e bizzarri, pensi che non troverai mai l'amore, che non conoscerai mai la sensazione di serenità e spensieratezza che sogni quando guardi i film. Capisci che non sarai mai quella ragazza che, non curante delle opinioni altrui, sale sul tetto della macchina in movimento, cantando a squarcia gola la sua canzone preferita. Non sarai mai quel ragazzo che sale sulla scogliera piùalta per gridare al mondo le sue paure e le sue incertezze e, anche se vorresti gridare chi sei veramente, cosa vuoi dalla vita, di che cosa hai timore, senti che non potrai mai farlo. Sai che queste sensazioni rimarranno dentro di te fino a quando non scoppierai, fino a quando il piccolo scrigno che racchiude la vera te, non si trasformerà in minuscoli pezzi di vetro e tu in piccoli granelli di polvere, dei quali, non importa a nessuno".

Questa era la lettera che la madre di Isabella aveva trovato sotto il suo cuscino. Ed era cosìche lei si sentiva, circondata da volti spenti e menefreghisti, convinta che non avrebbe trovato mai la sua anima gemella, convinta che nessuno l'avrebbe mai sopportata.

Isabella aveva un ragazzo di nome Giovanni. Era un suo compagno di classe fin dalla terza media ma quando Isabella era crescita e pian piano, diventata più consapevole di chi lei fosse e di come fosse diversa dagli altri, lui si era allontanato. Le ripeteva sempre che era troppo complicata. "Io sono un ragazzo tranquillo, ho bisogno di qualcuna che sia serena e che non mi chiami la notte per paura di sprofondare nella noia che la porterebbe ad essere inondata di pensieri". Queste furono le ultime parole che le disse, prima di abbandonarla nel parchetto sotto casa sua, solo perché lei era lei, facendola sentire sbagliata per questo mondo. L'aveva trascinata, appena bimba, nel fango di una donna e l'aveva abbandonata, appena donna, nella solitudine della sua immensa vita. Dopo che si era lasciata con Giovanni era stata mesi a pensare. Si era resa conto che durante la loro relazione, nonostante fossero ancora dei ragazzini, lui l'aveva completamente annullata. Lo amava così tanto da non rendersi conto di ciò che le stava accadendo. Non si rendeva conto di tutte le volte che lui la spingeva e che le mancava di rispetto. Anzi, lo difendeva, lo giustificava, pensando che suo comportamento fosse dovuto al troppo amore che provava per lei. Ma adesso aveva capito, adesso l'effetto della pozione d'amore stava svanendo e la sua vista si faceva sempre più nitida.

"Il profumo di vernice fresca e l'assordante rumore delle sedie che vengono mosse svelte sul vecchio pavimento. Il morbido movimento con cui la tua mano adagia il gesso sulla lavagna e l'inebriante essenza di un libro appena aperto. Era il primo giorno di scuola e a scuola, c'eri tu. Ma in realtà non c'eri. Nonostante avessi intravisto il rosso della manica della tua polo nel momento in cui ti hanno chiamato, per me, eri assente. Eri assente nella mia mente, nel mio cuore, sulle mie labbra. Le tue mani non sfioravano le mie, il tuo dolce respiro non mi avvolgeva. Eri così assente nonostante fossi presente. Era strano averti lì, ad un passo da me, ma non volerti avere. Era strano ma bello sai. Io, nella tua assenza, avevo ritrovato la mia presenza. Avevo ritrovato in dei vecchi cassetti un diario. Sfogliando le pagine avevo letto ciòche avevo scritto poco tempo fa. Sai come mi sentivo? Come un prigioniero chiuso in un carcere ad alta sicurezza, come un uccello che non riusciva a volare, come un uomo che aveva perso tutto d'un tratto la vista. Credevo non ci fosse più un modo per uscire dalla bolla di vetro dentro cui avevo vissuto per due anni. Pensavo di essere sola. E forse se ci penso è così. Sono sola. Noi tutti siamo soli. Il mondo è un insieme di anime solitarie che vagano seguendo sentieri e strade proprie. È così. Mi avevi distrutta e leggendo le pagine di quel vecchio diario, segnate da lacrime ormai asciutte da tempo, mi rendevo conto di tutto questo. Mi rendevo conto, finalmente, che la notte piangevo invano, perché le mie lacrime bagnavano candide lenzuola e profumati cuscini per te. Per te che non mi facevi mai sentire abbastanza, per te che mi umiliavi giorno e notte. Ma anche per te, che nonostante tutto, mi avevi rubato il cuore".

Questo aveva scritto Isabella, in una pagina del suo diario rosa e luccicante, mentre la professoressa di matematica spiegava le equazioni di secondo grado. Non saprei descrivere esattamente il rapporto che Isabella aveva con la sua scuola. Frequentava il liceo classico e da quando aveva messo piede in quell'edificio la sua autostima, un tempo forte, aveva iniziato una ripida discesa che l'avrebbe portata a raggiungere lo zero. Isabella studiava giorno e notte, ci metteva tutto il suo cuore e quando leggeva le poesie si commuoveva. Si sentiva parte di loro e del mondo che raccontavano. Riusciva a immaginarsi l'autore nel momento in cui le componeva, cercava di immergersi nel suo animo, nel paesaggio che veniva descritto e di guardare la vita attraverso i suoi occhi. Questo l'aiutava, la consolava, la faceva sentire meno sola.

"In questa sera, apparentemente tranquilla, che profuma di pioggia, mi sento cadere nel buio della vita. Non ho mai capito perché, in alcuni momenti, non riesco a vedere il bicchiere mezzo pieno. Ci sono volte, nell'arco della mia giornata, in cui, con gli occhi di una neonata, mi soffermo su particolari. Il particolare delle goccioline di pioggia sopra i vetri delle macchine o del corridoio della mia scuola, in cui tutti gli alunni sembrano sereni. Ma chissà cosa nascondono davvero i loro sorrisi. Magari, dietro ogni volto, se ne nasconde un secondo e forse, per alcuni, anche un terzo e un quarto. È Natale e camminando per strada riesco a percepire l'essenza della felicità. Famiglie, coppie innamorata che bevono cioccolata calda, bambini che sognano di vedere, la notte del 24, babbo natale che beve il latte e mangia il biscotto lasciato per lui sul tavolo della sala da pranzo. Amore, spensieratezza, serenità. Ma perché io non riesco a provare niente di tutto questo? Non riesco a sentirmi accettata, sentirmi voluta, penso sempre che ci sia qualcosa che non va. Sai, caro diario..."

Questa era una pagina del diario segreto di Isabella, lasciata così, senza una conclusione. L'aveva trovata sempre la madre, mentre raccoglieva dei fogli di carta stropicciati che la ragazza aveva accumulato sotto la scrivania. Forse aveva strappato la pagina perché aveva paura di continuare a scrivere. Solo scrivendo lei scavava infondo alla sua essenza capendo realmente ciò viveva dentro di lei e, probabilmente, aveva paura di rendersi conto di essere finita, pazza, troppo paranoica, depressa...

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 16, 2021 ⏰

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