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La trovò presto. Le ninfe delle foreste e dei ruscelli - per quanto spaventate dall'aura che emanava - le dissero che la Dea della Caccia si trovava ad Amarynthos, nel santuario a lei consacrato e, quando Afrodite si precipitò nel tempio la notizia dell'imminente parto si era ormai diffusa in tutta l'Ellade. La venuta alla luce di un Dio Olimpico suscitava sempre la curiosità di Dei e mortali, ma se ad affacciarsi alla vita era un essere potenzialmente pericoloso il mondo tremava e tratteneva il fiato fino al momento di comprendere la reale portata dei suoi poteri. E che nel ventre della cipriota si celasse qualcosa di feroce era ormai una verità evidente agli occhi di chiunque, soprattutto a quelli di Artemide, che in quanto Protettrice delle Partorienti capì immediatamente, dall'espressione sconvolta di lei, che nulla di buono stava per uscire dal suo grembo.
«Afrodite!» La cacciatrice scattò in piedi e lo stesso fecero le sue seguaci, riempiendo la cella del tempio di gemiti di sorpresa e fruscii di tuniche. «Cosa...?»
«Artemide, ti prego!» Afrodite barcollò verso la Dea, che subito la sorresse, e all'improvviso sentì un fiume d'acqua scorrerle tra le gambe. S'irrigidì. «Aiutami! Sto male! Sto molto male!»
«Va tutto bene!» Artemide la fece sdraiare sul pavimento con decisione, le posò le mani sulla pancia e le ritirò bruscamente, come se il suo ventre l'avesse ustionata. Balbettò a vuoto, colta alla sprovvista dalle immagini orrifiche e le sensazioni d'incubo che l'erano appena esplose nella testa e nel cuore, quindi recuperò il controllo. Ordinò alle seguaci di portarle acqua e mantelle di lino, posò di nuovo le mani sul ventre della cipriota e stavolta fu più forte dei piccoli Dei che si agitavano al suo interno. «Va tutto bene» ripeté, allargandole le gambe. «Tra poco sarà tutto finito.»
«Loro non sono come Eros! Non sono come lui!» Afrodite gridò per il dolore e il suo urlo si sparse sotto la volta di Urano come un temporale di sole folgori, facendo girare e rabbrividire ogni Dio, ogni uomo e donna e bambino. Non conosceva quella sofferenza e non riusciva a sopportarla: il Dio dell'Amore era scivolato dal suo corpo con delicatezza, senza strapparle un solo ansimo di fastidio. Nulla a che vedere con l'orrore che stava vivendo in quel momento. «Sto morendo! Oh, Artemide! Ti prego! Non farmi soffrire!»
Col suo potere la Protettrice delle Partorienti s'impose sui due bimbi con severità, smorzando in parte l'energia malevola che tanto dolore stava causando alla Dea. Quindi afferrò le mantelle di lino, ordinò ad Afrodite di spingere forte e si preparò ad accogliere i neonati, sforzandosi d'ignorare i fiotti di sangue dorato che dal ventre della Dea si stavano riversando sul pavimento. E Afrodite spinse e gridò e pianse e gridò ancora, col corpo che ora le bruciava come una torcia, e a ogni spinta sentì il dolore crescere e la morte farsi più vicina, e tra i singulti urlò ad Artemide che stava soffrendo e che non ce la faceva più, ma Artemide sembrava non sentirla, nessuno sembrava curarsi della sua agonia - nonostante le cacciatrici le stessero sussurrando parole di conforto e le stringessero forte le mani - e Afrodite pensò che quella non poteva essere la realtà, la sua realtà, e gridò e ansimò e spinse con tutta la disperazione che aveva in corpo ed ecco che il pianto di un neonato echeggiò nel santuario.
La cipriota avvertì un leggero sollievo che subito venne schiacciato dal bisogno fisico di spingere ancora: il suo corpo non era ancora libero. Risucchiò aria con la bocca e contrasse tutti i muscoli del corpo, senza più la forza di gridare né di affondare i denti nel labbro, finché finalmente udì il secondo pianto. Allora la colse un piacere nuovo, un meraviglioso senso di liberazione: il suo corpo era di nuovo suo. Solamente suo.
Chiuse gli occhi e si abbandonò al rilassamento, mentre le seguaci di Artemide le passavano pezze umide sulla fronte sudata. Udiva le sue creature piangere chissà dove oltre ai suoi piedi - la figlia di Leto li stava sciacquando con l'acqua, aiutata dalle seguaci - ma non furono i loro strilli a riaprirle gli occhi, quanto un rumore di passi rapidi scanditi da schiocchi metallici: la camminata frettolosa e pesante di un soldato con indosso un'armatura.
Afrodite ruotò il capo e, nella nebbia dei suoi occhi stanchi, vide Ares inginocchiarsi al suo fianco. La sua corazza era spaccata e schizzata di sangue nemico, i capelli velati di fine terriccio, le guance accese per la fatica del combattimento. Il Dio aveva abbandonato il campo di battaglia in tutta fretta, appena aveva udito le sue grida di dolore salire al cielo, e ora la fissava con occhi terrorizzati: non l'aveva mai vista così malridotta ed esausta. E quella gigantesca pozza di sangue tra le sue gambe... Ares la fissò e si sentì sbiancare: le Dee non sanguinano mai così tanto durante il parto.
«A...res...» La cipriota gli prese la mano e gli sorrise sfinita. Lui ricambiò il sorriso e le baciò la mano, poi entrambi si voltarono verso Artemide, che tra le braccia reggeva due fagottini di lino dai quali salivano strilli dolci, come fossero melodie.
«Sono un maschio e una femmina» La cacciatrice s'inginocchiò accanto ad Afrodite, dalla parte opposta rispetto al tracio, e fece per posarle i piccoli sul seno. «Ecco, prendili.»
«No.» Afrodite s'irrigidì e si girò dalla parte opposta. «Non voglio vederli. S-sono malvagi.»
Artemide si bloccò e fissò i neonati, erano tutto l'opposto da come li ha descritti Afrodite, certo avevano due piccoli canini.e un ghigno stampato sul viso, ma alla fine erano graziosi. Alzò gli occhi su Ares, indecisa sul da farsi, e subito il guerriero si fece avanti e prese i figli tra le braccia, e in quell'esatto momento il loro pianto disperato cessò, come se sul petto corazzato del padre avessero trovato qualcosa a loro affine.
« Afrodite sono bellissimi e amabili.» La cacciatrice offrì ad Afrodite una coppa colma d'ambrosia fresca e la invitò a berla.
«Hanno preso tanto dalla madre. Vedrai.» Artemide accarezzò la guancia della Dea, si rialzò e insieme alle sue cacciatrici si fece da parte, lasciando ai due amanti lo spazio e l'intimità necessari per parlare.
Afrodite si mise seduta, bevve tutta l'ambrosia e si sentì un po' meglio. Guardò Ares. Tra i fagottini di lino che stringeva al petto vide agitarsi piedini e manine d'infante, e notò che non erano rosei, ma abbronzati. Un colorito dorato, come quello di Apollo. Eppure Ares sorrideva, mentre guardava dentro quelle stoffe, guardando i bimbi più graziosi del mondo. La Dea si sentì rassicurare dalla sua espressione e improvvisamente avvertì un senso di vuoto interiore che le fece desiderare di stringere a sé quei piccini e di attaccarli al seno per allattarli. E come se le avessero letto nella mente, quelli incominciarono ad agitarsi, mugolare, stringere i pugnetti.
La Dea allungò le braccia e si fece consegnare entrambi i figlioletti. Loro la guardarono e, occhi negli occhi col sangue del suo sangue, Afrodite sentì un'inaspettata commozione scaldarle le guance.
I gemellini erano bellissimi, più di quanto aveva immaginato.
La loro pelle era abbronzata e le bocche già dotate di due minuscoli canini. Il ragazzo alla sua sinistra aveva i capelli rossi e arancioni come il fuoco e la ragazza d'un corvino nero pece. Le loro iridi splendevano come oboli d'oro, i loro sguardi erano inchiodati su di lei e ardevano come quelli dei leoni pronti ad attaccare. La piccola coi capelli di carbone, in particolare, aveva occhi caleidoscopici, varianti dal blu elettrico al verde mare che si adattavano perfettamente ai suoi capelli, la Dea rimase incantata a fissarla in quegli occhi magnifici, il maschietto invece aveva occhi color azzurro cielo come la sorella, ma con un'accenno di rosso. Afrodite li accettò e posò la guancia ora su una testolina, ora sull'altra, respirando il profumo di neonato che saliva dai fagotti. I piccoli sembrarono interdetti da quei gesti d'affetto, come non riuscissero a coglierne il significato, ma poco dopo allungarono le manine verso il suo viso.
«Deimos e Adrestia.» Inginocchiato accanto all'amata, Ares indicò con un cenno del capo prima il bimbo rosso, poi la piccola corvina. «Voglio chiamarli così.»
Afrodite non rispose. Raccolse tutto il suo coraggio e avvicinò i figli al seno, pronta a ricevere i loro canini nella carne. Ma i piccoli, si attaccarono ai suoi capezzoli senza farle male e cominciarono a succhiare il latte. La Dea li lasciò fare e, per la prima volta dopo 9 mesi si sentì amata dai quei piccoli demonietti, che suscitò un sorriso da parte del padre. Quei piccoli si stavano nutrendo un insana lentezza come se non volessero più staccarsi da lei. A dirla tutta, un simile scenario sarebbe stato improbabile: appena nata, Artemide aveva aiutato sua madre a partorire Apollo, e che dire di Hermes, che in meno d'un giorno di vita aveva inventato la lira e rubato al Dio del Sole il suo prezioso bestiame? Se spinti dalla necessità o dal mero desiderio, gli Dei non perdono mai tempo, ma così non fecero i gemellini
Sazi di latte, tesero le braccine verso la madre e cominciarono a ridere. Afrodite però pensò che quel caldo corpo di Dea non serviva più e volevano allontanarsene.
«Portali con te.» Afrodite allungò i figli ad Ares, che li riprese in braccio. «Io non ho nulla da offrire loro.»
Il guerriero aggrottò la fronte, stupito. << Che sati dicendo?» domandò.
«Guardali. Non è di me che hanno bisogno.»
Ares notò che i figli erano contrari a questa decisione.
Mordevano la pelle del dio tentando invano di uscire da quelle braccia e scappare dalla madre. Per un momento, Deimos riuscì addirittura a uscire dalla presa ma Ares lo riprese e lo strinse più forte tra le braccia e sorrise. «Afrodite, guardali, non hanno bisogno di me, in tutti i modi cercano di tornare tra le tue braccia» disse, "m-m-mamma!!" la piccola urlò e deimos si unì all'urlo.
Afrodite si commosse vedendo Ares che li lasciava a lei «amori miei» disse più volte, tranquillizzando i bambini ormai attaccati alla madre. I dolori del parto erano ormai svaniti, la fiacchezza quasi del tutto scomparsa. Accarezzò e baciò le testoline dei figlioletti e quest'ultimi risero «Portali con te» ripeté Ares.
Il guerriero la baciò sulla bocca e i quattro si voltarono e s'incamminarono verso l'uscita del tempio. Afrodite rise alla vista dei bambini che tentavano di sfilare l'elmo dalla testa del guerriero e tutti quattro uscirono dal tempio, scomparendo nella luce del mattino.
Sì, pensò Afrodite, farli nascere è stata lo sbaglio migliore che potesse prendere.

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⏰ Last updated: Mar 19, 2021 ⏰

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