P R O L O G U E

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In principio...

L'uomo potrebbe aspirare ad essere felice se si limitasse ad abbandonarsi al presente e non si sforzasse tanto di rivivere il passato. Luce sapeva che bastava farlo per porre fine alle sue sofferenze, ma nonostante ne fosse cosciente non ci riusciva.

Era quasi riuscita a convincersi che fosse stato tutto un brutto sogno, un inganno della sua crudele immaginazione, ma gli incubi e i ricordi che la tormentavano erano reali come i tatuaggi con cui aveva nascosto i lividi sulla propria pelle. Le era stata violata l'anima due anni e mezzo prima, o forse poco più, e da allora aveva fatto un ottimo lavoro nel far credere agli altri, ma soprattutto a se stessa, di stare bene.

Anche lo psicologo difronte a lei cercava di rassicurarla della medesima cosa.

<Con estrema sincerità, quanto sei sicura di provare felicità su una scala da uno a dieci?> Chiese lentamente lui certo che, come al solito, non avrebbe ricevuto alcuna risposta, mentre lasciava lentamente cadere il blocco degli appunti sul tavolino di vetro con fare annoiato.

Chissà quali deduzioni riposavano su quelle pagine, aspetti della sua personalità che persino lei stessa ignorava, magari era riportato che fosse una persona instabile, complicata, riservata o schiva, in ogni caso sarebbero state conclusioni sbagliate perché lei non era altro che una ragazza dall'aspetto eccentrico con un carattere duro e una rabbia infinita.

<Che cazzo di domanda sarebbe?>Sbottò alzando gli occhi al cielo.<Che ne dice se per oggi faccio io le domande e lei si limita a rispondere?>Lo sfidò Luce. Se ne stava scompostamente seduta a fissarlo vestire i panni di qualcuno che le prometteva un futuro migliore dove dimenticare il passato fosse possibile, e faceva di tutto per fargli capire quanto quelle sedute per lei fossero insignificanti.

L'idea di andare dallo strizzacervelli era stata di sua madre, aveva guardato la figlia distruggersi a poco a poco e aveva ritenuto opportuno farla parlare di ciò che l'attanagliava senza rendersi conto però che Luce non sapeva parlarne, infatti era conosciuta per il totale cambiamento del carattere che negli ultimi anni era passato dall'essere dolce come un agnellino a feroce come il lupo che lo divora senza ritegno né rimorso, eppure lei al sentirsi ripetere di non essere più la stessa, si limitava a scuotere la testa e ad allontanarsi. Evitava tutti senza la preoccupazione di apparire sgarbata e forse l'aver perso la maggior parte degli amici era uno dei motivi principali per cui aveva deciso di lasciare la città per iniziare una nuova vita lontano.

<Perché? C'è qualcosa che vuoi chiedermi?> L'uomo si sporse in avanti visibilmente interessato dal suo inaspettato coinvolgimento.

<Forse>

<Avanti...>La esortò incuriosito.

Lei si strinse nelle spalle guardandosi intorno, vide la strana statuina di legno che, come le aveva spiegato lo psicologo, proveniva dal Perù e il quadro che ritraeva una donna dagli occhi troppo chiari in contrasto con la pelle scura, poi però, dritta difronte a sé, proprio sopra le spalle dell'uomo, fissò l'enorme fotografia di lui e la sua famiglia. Si lasciò annegare negli occhi azzurri della primogenita immaginando come quella ragazza sarebbe potuta diventare una donna importante e realizzata e chiedendosi come sarebbe stato avere tra le mani la possibilità di rubarle una prospettiva tanto felice. Non era la prima volta che desiderava essere al suo posto ma, di certo, sarebbe stata l'ultima.

Sentì l'impulso di fargli la sua stessa domanda per sentirlo raccontare di quanto fosse felice di avere una famiglia dalla quale tornare la sera e del suo lavoro appagante, ma più guardava quella foto più sentiva l'invidia montarle nel petto, aveva tollerato mesi di sedute colme di occhiate pietose e continue frasi motivazionali che avevano soltanto alimentato il dolore dentro di lei e non riuscendo più a contenere la rabbia repressa con tanta cura fino ad allora, sibilò piena di veleno. <Cosa farebbe se ci fosse sua figlia al mio posto? Le chiederebbe quanto è felice su una scala da uno a dieci?>

L'uomo, inizialmente rimasto in silenzio, assunse un'espressione addolorata perché probabilmente l'immagine di sua figlia in preda allo stesso tormento di Luce gli stava invadendo la mente, si mosse sulla sedia colto da un nervosismo crescente. <Luce non ci provare!>L'avvertì.

Lei si lasciò sfuggire un risolino divertito, non sarebbe mai stato capace di capire il dolore che le squarciava il petto ma almeno era riuscita a farlo immedesimare nella parte di genitore distrutto per la situazione della figlia.

<È facile parlare quando non ci sei tu nella merda, vero?>Lo attaccò.

< Tutti hanno toccato il fondo almeno una volta nella vita Luce... Non è importante quanto sia profondo ma quanto impegno ci metti per risalire! So quanto dolore provi> Aggiunse poi con un ultimo sguardo penoso.

< Ah davvero? E cosa provo?> Nessuno riusciva ad immaginare il suo profondo supplizio e quei suoi finti modi gentili nel tentativo di farla aprire le davano il volta stomaco.

<Dolore>Mormorò come fosse un segreto ormai svelato che aveva perso ogni traccia di mistero.

<Questo non è semplice dolore! Questo è odio! Rabbia! Pentimento! E anche rimpianto! Questa è la massima forma di dolore che un individuo può provare! Ogni volta che mi chiede di descriverle come mi sento mi viene voglia di strapparmi la pelle via dal corpo> S'interruppe un secondo per riprendere fiato <Perché in realtà non sento nulla!> L'uomo sgranò gli occhi e Luce trasalì rendendosi conto di aver dato voce a dei pensieri che non sapeva di avere.

<È stato un piacere farmi psicanalizzare da lei, mi saluti sua figlia> Si mosse con più velocità del solito e solo dopo avergli mostrato con sfacciataggine il dito medio uscì ancor prima di sentirlo borbottare qualcosa

<È stato un piacere farmi psicanalizzare da lei, mi saluti sua figlia> Si mosse con più velocità del solito e solo dopo avergli mostrato con sfacciataggine il dito medio uscì ancor prima di sentirlo borbottare qualcosa

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