Capitolo 1

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Da qualche parte nelle acque, in un tempo indefinito

L'ultimo ricordo che Dianna aveva del padre era la carezza sulla sua guancia e il baluginio di terrore che gli infestava lo sguardo. Egli le aveva ghermito il braccio magro e si era avvicinato al suo volto sussurrandole le istruzioni. La sua voce appariva claustrofobica, tanto era intrisa di timore, e mai i capelli di suo padre erano parsi così canuti come in quell'istante. Il viso appariva improvvisamente raggrinzito, rassettato malamente; sembrava avvolto da un involucro di taglienti schegge di vetro.

Era invecchiato in un baleno. Da giorni, oramai, la paura aveva portato l'uomo a digiunare e, ora, le privazioni lo avevano reso magrissimo.

La sirena si era dispiaciuta per il respiro affaticato del padre e, per quanto aveva desiderato lanciargli un passionale e ultimo addio, non v'era stato più tempo. Perchè lui l'aveva spinta e aveva allungato una mano verso le sue spalle, indicandole la rotta che avrebbe fatto meglio a seguire, qualora sperasse di riuscire nella fuga. Ma la ragazza aveva occhio attento e aveva notato le lacrime che gli gonfiavano gli occhi mare.

"Oh, papà..." aveva mormorato Dianna.

L'uomo aveva scosso il capo e carezzato la sua lunga barba, in apprensione. "Scappa!" aveva ringhiato, mentre una spuma lattea macchiava le sue labbra. Poi si era prodigato in un breve cenno del capo, ammiccando alla cartina che la figlia teneva avvolta tra le mani.

E la sirena era partita nella notte: lo sapeva, perchè i riflessi dell'acqua erano tremendamente corvini, dove non illuminati dalla falce lunare.

Aveva nuotato per un lasso di tempo indefinito: i regni non hanno tempo, vivono l'eternità incalcolabile, come una sfera di cristallo che irradia sempre le stesse luci.

E ora, che si ritrovava a qualche bracciata dai mari dell'ovest, dedusse la verità: non avrebbe mai più fatto ritorno a casa, tra gli scogli, negli abissi marini, dove l'acqua scintillava in una luce radiosa pari alla folgore di Zeus. Dunque decise di gustarsi gli ultimi attimi di agio. Alzò la testa e i suoi lunghi capelli fiammeggianti del vermiglio più vivo mimarono delle onde tra la schiuma, mentre la sua pinna turchese brillò nelle sue sfumature che partivano dal ceruleo più intenso fino a sfociare nel glauco più flebile.

Poseidone, prodigo re dei mari e dei terremoti, aveva deciso di sterminare ogni dinastia di Tritoni, Nereidi e Sirene che da tempo si era rifiutata di continuare a servirlo. Una maggioranza della sua corte aveva notato con occhio dissidente il lusso egoista in cui il dio viveva. Il suo palazzo si stagliava nell'isola Eubea, sormontata dalla limpidezza del Mar Egeo. Esso era decorato con le gemme più preziose e imprigionava i diamanti più rari della Grecia, ma Poseidone voleva di più: la sua superbia non gli consentiva di accontentarsi del dominio di tutte le acque, no. Voleva ogni regno, ogni isola, ogni respiro marino. Non erano certamente in minoranza coloro che azzardavano ad ipotizzare ad una probabile competizione con i suoi fratelli, Zeus e Ade, rispettivamente sovrani del cielo e dell'oltretomba. I suoi servitori, allora, si erano ribellati, scatenando l'ira del dio che meditò vendetta.

Fu così che il tritone Lyenth Cox ordinò a Dianna di fuggire. Il suo amore di padre voleva impedire che la figlia si impegolasse in qualche guaio, perchè non lo avrebbe accettato. Aveva già perso sua moglie, in passato, e non desiderava vivere con il rimorso di non aver tratto in salvo la sua unica figlia.

Avrebbe lottato sino a spargere il suo sangue e a fare del suo respiro un ultimo scroscio accorato, pur di tener lontano il tridente piccante di Poseidone dalla pelle di Dianna.

Le aveva insegnato minuziosamente ogni lingua, per avere la certezza ella non si trovasse sperduta quando fosse approdata nel mondo dei mortali e le aveva donato qualche dracma come sostentamento.

L'inevitabile attrazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora