Capitolo 2.

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La musica era alta, assordante.

Non andavano in una discoteca da anni probabilmente e lui normalmente le odiava.
Non si poteva parlare, tutti stavano addosso, appiccicati, nessuno gli lasciava spazio per respirare.
Senza contare il sudore ed il tipico odore di corpi accatastati l'uno all'altro.

No, a Cesare la discoteca non piaceva minimamente.
Eppure, quella sera, dovette cedere.

Nelson e Tonno si erano davvero impuntati: doveva trovarsi una ragazza, svagarsi un po', rientrare in pista.
Aveva accettato solo per far smettere quelle lamentele che da settimane andavano avanti.

Probabilmente invece, aveva solo bisogno di tranquillità.
Non cercava qualcosa di superficiale, qualcosa di effimero, qualcosa che placasse il suo lato più istintivo.

Voleva davvero trovare qualcuno con cui condividere passioni, momenti, esperienze, qualcuno che lo capisse e restasse al suo fianco.
Era davvero difficile trovare quel qualcuno lì, in quella discoteca poco fuori Bologna, anzi, probabilmente impossibile.

Nelson gli passo il suo Gin Tonic, ruotando la spalla, stretto tra due persone davanti al bancone.

Era riuscito ad intrufolarsi per pura fortuna ed era subito stato accerchiato.
Non fu proprio una buona idea quella di andare in discoteca a metà Luglio, le scuole chiuse, gli esami universitari quasi alla fine. Era pieno di giovani, di ragazzi che si distraevano dalla sessione estiva quasi finita, ballerini occasionali del sabato sera, insomma, sembrava proprio che tutta Bologna fosse lì, in quel posto.

Nelson passò i drink a Tonno e Nicolas poi, urló:
"Ma Dario e Frank?"

Cesare li aveva persi di vista non appena entrati nel locale.
Alzò le spalle, non sapendo che dire.
Voleva uscire da quel posto, prendere una boccata d'aria: avevano già bevuto qualcosa prima di entrare, e la testa gli girava abbastanza.

Tonno gli tirò una gomitata, notando quanto fosse assorto.

"Lasciati andare Cesi, almeno per oggi, almeno stasera".
Così, senza preavviso, bevve tutto d'un sorso il suo drink.

"Sóccia, vai così, prenditi anche il mio" Disse il biondo, passandoglielo.

Bevve anche quello, velocemente, e la classica sensazione di leggerezza si impossessò di lui.
Forse doveva lasciarsi andare, almeno per quella sera, almeno lì.

Mise i bicchieri in mano a Tonno e disse:
"Ok, mi butto".

L'amico gli diede una pacca sulla spalla mentre lui si avviava a passo deciso verso una ragazza che, da quando era entrato quella sera, non gli aveva tolto gli occhi di dosso.

Era oggettivamente bella, ma non era assolutamente il suo tipo: bassina, molto magra, capelli a caschetto lisci e biondi.
Decisamente l'antitesi di quello che cercava, ma era meglio così; dopotutto doveva essere qualcosa di effimero, momentaneo, non era importante.

Si mise a ballare vicino alla ragazza, prendendola per mano, facendola girare.
Non era l'unica, anche la sua testa girava come una trottola, in modo incessante.
Non capiva più niente e non seppe come, ma si ritrovò fuori dalla discoteca, le labbra della bionda addosso, fameliche, la lingua di lei che cercava frenetica la sua.

E fu solo istinto, solo necessità.

Lei aprì l'auto, una piccola Fiat 500 rosso fiamma, nel parcheggio sul retro della discoteca.
La bionda non si staccava un attimo da lui, le labbra premute sulle sue, le mani che toccavano ogni centimetro della sua pelle.

Cesare aprì la portiera posteriore e appoggiò la ragazza sui sedili dei passeggeri, chiudendosi la portiera alle spalle.

Lei si tirò su, di scatto, sbottonandogli la camicia, la mente di lui lontana, i pensieri un vortice unico, sconnesso, in testa solo un bisogno primario e antico come il mondo stesso.

Lettere quasi mancateWhere stories live. Discover now