Capitolo 6: "Sai volare, Frank?"

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I tuoni riecheggiavano fragorosi nell'aria, illuminando per pochissimi istanti l'oscurità della notte, quando il Suv nero frenò al lato della strada, fendendo con la luce allo xeno dei grandi fari la fitta pioggia.

«Entro anche io, signore?»

«No, Mitch. Vai pure.» disse Frank aprendo la portiera. «Questa sera voglio stare un po' per conto mio. Per il ritorno prenderò un taxi. Tranquillo, puoi andare.»

L'autista abbassò il finestrino del passeggero. «Almeno prenda l'ombrello, signore.»

«Sei la mia guardia del corpo, Mitch, non mia madre!»

Frank mise la ventiquattrore sopra la testa per ripararsi dalla pioggia penetrante e si diresse verso l'entrata del locale. Appena aprì la vecchia porta in legno, una miriade di odori diversi lo investirono. Il Soul's Pub era uno dei pochi locali rimasti nel paese in cui i clienti potevano liberamente fumarsi una sigaretta e sorseggiare, a ritmo di blues o di jazz, qualsivoglia tipo di liquore o bevanda alcolica.

Le bottiglie più antiche e preziose erano disposte ordinatamente e in bella vista dietro il lungo bancone in mogano scuro. Le poche lampade, poste sopra le teste del clienti, davano all'intero ambiente la tipica colorazione rossastra che rese famoso il locale negli anni. Quando si avvicinò al bancone, anche il viso di Frank si tinse di quella leggera sfumatura porpora.

«Due dita di bourbon, Tedd.»

«Il solito, eh Frank?» rispose il barista che, intanto, stava spillando una birra.

«No, fammelo doppio. E se possibile, questa volta in un bicchiere pulito!» accennò un sorriso ironico.

«Ha-ah, molto divertente, Frank... tranquillo, te lo do subito.»

Frank si girò in cerca di qualche volto familiare, ma le poche persone presenti gli erano sconosciute e questo lo confortò: non voleva che qualcuno lo riconoscesse in quel suo piccolo "paradiso in terra", in cui gli piaceva rintanarsi nei periodi più stressanti.

«Ecco a te Frank.» Il barman gli porse il bicchiere pieno fino a metà di bourbon e ghiaccio. Il sapore di quel liquido scuro aveva un forte potere rilassante sulla sua mente. Dopo una seconda sorsata, Frank osservò con la coda dell'occhio una figura sedersi di fianco a lui. In realtà, era da quando si era alzata dal tavolino in fondo alla sala e si era diretta a quella sedia che Frank non l'aveva persa di vista: una donna di evidenti origini orientali e vestita in maniera così provocante che non poteva certo passare inosservata. Soprattutto a uno come Frank.

«Bellissima... non è vero?»  gli chiese lei, dopo aver ordinato un apple martini. Frank indugiò per un istante su quelle sensuali forme, dimenticandosi di rispondere alla domanda della donna. «La musica, intendo.» ribadì lei.

«Si, è bellissima... anche quella.» Frank sfoderò il suo miglior sorriso. «È uno dei motivi per cui vengo in questo posto e per Freddy, ovviamente!» agitò il bicchiere verso il barman che, intanto, stava servendo alla donna il cocktail verdognolo.

«Lei invece, signora...»

«Signorina, prego. Signorina Jessy Bennet.»

«Piacere signorina Bennet, io sono Frank.» le porse la mano. Le mani di Jessy erano morbide e delicate come petali. Difficilmente Frank si sarebbe separato di sua volontà da quella gradevole stretta.

«Come mai è in questo locale, signorina Bennet?»

«Un appuntamento, ma il tale con cui l'avevo non si è fatto vivo e... per favore, mi chiami Jessy.»

«Un coglione, Jessy. Voglio dire, questo tizio, deve esserlo senz'altro, considerando quello che si è perso!» disse muovendo il dito in senso orario verso la donna. Jessy sorrise a quella lusinga mascherata da battuta e, delicatamente, si portò alle labbra il cocktail cosparso sul bordo di sale. Frank non perse neanche il più piccolo gesto di quella suadente visione. Dopodiché, si fece coraggio e, buttando giù l'ultimo sorso di bourbon rimasto nel bicchiere, si avvicinò maggiormente alla donna, incrociando i suoi suadenti occhi a mandorla.

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