Capitolo 1: Giudizio Rivelatore

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TICK TOCK, TICK TOCK. Ogni ticchettio sull'orologio era come una martellata su un'incudine.

TICK TOCK, TICK TOCK. «Allora, la Corte è arrivata a un verdetto?» chiese il giudice con aria risolutrice.

TICK TOCK. Le lancette erano come se rallentassero ad ogni colpo, ma allo stesso tempo il suono era sempre più assordante.

«Si, signor giudice. La Corte è arrivata ad un verdetto finale.» rispose una voce dall'altra parte dell'aula, con tono risoluto e perentorio.

TICK TOCK. Marienne non ce la faceva più a resistere a tale tortura psicologica: ormai le sua mani, fredde e sudate, non riuscivano più smettere di tremare.

«Alla luce delle prove...» TICK TOCK «E delle testimonianze, la Corte considera l'imputato...» TICK TOCK, TICK . Il tempo sembrò fermarsi per un istante. «Colpevole, di tutti i reati a lui ascritti.» TOCK. Sentenziò l'orologio, quasi all'unisono con la voce dell'oratore.

Colpevole. Colpevole. COLPEVOLE. La parola tuonava nella testa di Marienne, mentre lo straniante silenzio veniva lentamente riempito dal brusio delle persone presenti nell'aula.

Non poteva crederci. Malgrado le testimonianze, le accuse e tutti i discorsi che aveva sentito in precedenza, Marienne si era rifiutata di metabolizzare tale concetto. Colpevole. Come poteva esserlo? Lui. Quel ragazzo, quasi trentenne, che non l'aveva mai persa di vista per tutta la durata del processo. "Quel corpicino gracile, seduto su quella sedia in legno, come poteva essere il responsabile di tutti quei crimini così violenti? Come avrebbe potuto fare tutto quello, il suo bambino?" pensava ossessivamente.

«Alzati!» gli intimò la guardia. Mark prima di rispondere, si chinò per terra e si sistemò le catene che gli avvolgevano le caviglie, al di sopra dei pantaloni arancioni.

«Arrivo subito, come potrei scappare?» disse indicando le catene e sogghignando rumorosamente. Quindi prese i neri occhiali tondeggianti che aveva sempre con sé, li portò all'altezza della maglia e li pulì delicatamente.

Nonostante l'echeggiare nella sua testa, Marienne non si lasciò sfuggire neanche il più piccolo movimento di quella scena surreale, così estraniante dal contesto in cui si stava svolgendo.

Una volta alzatosi, infilò gli occhiali e socchiuse le palpebre per mettere a fuoco un'immagine in lontananza. La guardia, spazientita dalla lentezza nei movimenti dell'uomo, prese Mark sotto braccio e con forza lo condusse verso l'uscita senza nessuna difficoltà. Anche se non era in grado mettere a fuoco cosa le accadesse intorno, Marienne non si lasciava scappare neanche il più piccolo movimento di Mark, il quale, barcollante a causa delle catene, veniva spinto fuori dall'aula.

All'improvviso l'esile uomo si girò e, malgrado la lontananza e le persone che si muovevano da una parte all'altra della stanza, riuscì a incrociare lo sguardo di Marienne. Strattonandosi dalla presa della guardia, gridò con un urlo inumano verso la donna: «Madre, aspettami! Tornerò presto!»

***

La pioggia batteva violentemente contro il vetro. L'insegna al neon non funzionava correttamente e alcune lettere non erano illuminate. Si poteva leggere solo: "JOE'S – SNA K B R". Malgrado questo, vi erano molte macchine che occupavano il parcheggio dell'unica tavola calda della piccola cittadina. 

Gli ordini venivano eseguiti rapidamente. Anche fin troppo rapidamente per i gusti dell'anziana cameriera Betsy che ormai, in quel locale, ci aveva lavorato per diverse primavere. Lei, che fino a quel momento era più che sufficiente per gestire le esigue ordinazioni abituali, quella sera si trovava in seria difficoltà nel dover gestire lo sproposito di commesse causate da quell'inaspettata affluenza di clienti.

«E lei? Cosa ha risposto?» chiese l'uomo aprendo una bustina di zucchero e versando il contenuto all'interno della tazza fumante di caffè.

«Cosa avrei dovuto rispondere?!» intimò Marienne al suo interlocutore. «Nulla. Sono rimasta in silenzio con gli occhi delle persone che mi fissavano, come se si aspettassero che dovessi fare o rispondere qualcosa.»

«Quindi è rimasta lì, immobile, mentre suo figlio...» si interruppe di colpo alla vista della cameriera che si avvicinava al loro tavolo.

«Altro caffè, signori?» chiese con aria stanca, ma gentile, l'anziana cameriera indicando la caraffa piena del liquido nero.

«No grazie, signora. Va bene così.» rispose Markus alla donna che, intanto, si era fermata appoggiandosi al tavolo dei due clienti.

«Anche voi siete qui in città per il processo, non è vero?»

«C'è qualcuno qui dentro che si trova qui per un motivo diverso da questo, signora?» fece notare Markus alla donna che, nel frattempo, stava prestando attenzione ad un altro cliente che la chiamava dal fondo della sala. «Adesso che ci penso, potrebbe portarmi il dolce della casa.» chiese Markus per cambiare discorso e cercando di far allontanare dal loro tavolo quelle orecchie indiscrete.

«Le posso portare quello che facciamo da da circa venti anni: torta di mele. Che faccio, gliene porto una fetta?» disse con voce ironica la cameriera.

«N-no grazie... fa niente. Meglio che rimanga leggero per stasera!» l'uomo sorrise ironicamente alla signora di mezz'età, la quale, nel frattempo, si era già passata ad un altro tavolo.

«Ehm... come dicevo, è rimasta lì immobile mentre suo figlio veniva portato via così?» ribadì Markus, ruotando in senso orario il cucchiaino nella tazza piena per metà.

«Senta, è qui per farmi altre stupide domande come mi hanno già fatto quelli lì...» Marienne indicò i tavoli più avanti, dove gli anchorman di tutta la nazione e le loro troupe erano seduti, «oppure è qui per aiutarmi?»

«Naturalmente sono qui per lei, signora Collins.» disse Markus sorseggiando il caffè ancora bollente.

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