Winter song

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Dentro quel treno in corsa, gli sembrò di sfrecciare fra le montagne altissime e ricoperte di neve che i suoi occhioni blu non lasciavano in pace nemmeno un attimo. Poteva voltarsi dall'altro lato per intravedere, oltre un paio di teste quiete, il mare gelido con le sue onde blu cobalto. Tenne per tutto il tempo la fronte poggiata sul finestrino, gli occhi immersi in quelle scene magiche. Sollevando la macchina fotografica per l'ennesima volta, con un click il binario vicino al suo e l'enorme monte innevato sotto quel cielo limpido e senza nuvole furono immortalati per sempre. Tastò fra le labbra carnose quella parola, immortalare, l'arte di rendere senza tempo e senza fine ciò che, inevitabilmente, è destinato a precipitare dentro al baratro del nulla ma che, per sempre, rimarrà in una foto, un dipinto, un romanzo o la dolce musica che risuona nelle sue orecchie attraverso le cuffie enormi.

Socchiuse gli occhi, ripensando alla collezione di cieli grigi, tersi, limpidi o nuvolosi che riempivano la testata sopra al suo letto. Al centro, un bellissimo dipinto, le mille sfumature degli acquarelli che formavano il suo nome con l'azzurro, l'indaco, il verde e il viola, un'esplosione di colori dal titolo "È la tua aura che ti parla", un'aura che aveva già la sua melodia: Skyler.
Sorrise, con ancora gli occhi chiusi, a leggere con la mente quel nome scribacchiato quasi per caso dietro la tela, nell'angolo destro. Dan.

Riaprendo gli occhi, prese immediatamente il cellulare. Non vedo l'ora di vederti, scrisse col sorriso sulle labbra.
Attese qualche secondo, prima che un bip illuminasse lo schermo: Come sta andando il viaggio? Io sono ancora a lavoro, non so per che ora finirò.
Fece per rispondergli, ma la chiamata della madre lo interruppe bruscamente.
Aveva dovuto lottare coi denti per convincerli. La mostra di Polanier a Glisgolm era caduta a pennello come scusa -purché a nessuno dei due venisse in mente di guardarne i quadri macabri!- così che, fingendosi euforico per quell'evento irripetibile, aveva chiesto ogni singolo giorno, iniziando dal mattino e finendo alla sera, se gli avessero permesso di parteciparvi. Quando il padre propose di andar lì con Adam, il fratello maggiore, a Skyler quasi non prese un colpo. Fortuna volle che il ragazzo non era affatto interessato a quel genere di eventi.
«Parto al pomeriggio con il treno, vedo la mostra di sera e il giorno dopo, prima delle quattro, sarò già a casa, promesso!»
Mischiando l'ingegno alla fortuna, la sera del suo diciassettesimo compleanno, solo qualche settimana prima, aveva barattato il nuovo laptop per quel viaggio. Un'occhiata fugace e i due genitori si convinsero che, in fin dei conti, il figlio voleva solo partecipare a una mostra d'arte... avrebbero dovuto esserne felici.
Ma quel treno diretto a Uneke l'avrebbe condotto da tutt'altra parte che da quel folle pittore.

Solo un paio di ore separavano Uneke da Solelka. Aveva camminato fino alla stazione, con lo zainetto colmo di ogni genere di cosa: dagli snack alle mappe della città, insieme a tutti gli accessori per la macchina fotografica, i documenti e quella cornice cui spigolo non smetteva di pizzicargli il fianco. Col cappellino chinato fino alle sopracciglia e la sciarpa ben stretta, la gelida Solelka l'aveva salutato strizzandogli l'occhio, fingendo di non essersi resa conto di quel cuoricino che martellava dentro al petto.
Solo una parola riecheggiava nella sua mente: quel fatidico che Daniel gli aveva dato; il permesso per poterlo andare a trovare.
Era iniziato tutto a quel concerto del al Saint Bouchard, ai tre minuti e tredici secondi che Hervé Bossuet gli aveva concesso come assolo per il suo violino. Le mani tremavano all'impazzata sotto ai riflettori di quell'immenso teatro, mentre gli altri studenti e musicisti attendevano quell'ultima nota per ripartire. Aveva troneggiato al centro del palco per tutto il brano, cercando di mascherare le gambe che tremavano all'impazzata scrutando i volti silenziosi e mischiati alla penombra della platea. Un sussulto, e si sollevò in piedi prima di iniziare. L'adrenalina non aveva mancato una sola nota, facendo sorridere perfino il viso burbero del maestro Bossuet. Nel lungo applauso che seguì, non poté fare a meno di sentire le lacrime bollenti scendere lungo le guance. Con disinvoltura cercò di asciugarle, ma quando un secondo applauso tuonò nella sala, dovette voltarsi per non mostrare quegli occhioni gonfi di lacrime.
Era passato un anno circa da quel giorno. Tornando verso i camerini aveva visto un ragazzo chinato di fronte alla porta dei loro camerini che, voltandosi rapidamente, era fuggito via senza dire una parola.
«Skyler, è per te!» mormorò qualcuno sollevando un bigliettino.

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