Prologo

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[Colonna sonora : "Isolated System" - Muse]

Quel video agghiacciante aveva fatto il giro del mondo: ventitre minuti e cinquanta secondi di puro orrore, durante i quali un uomo, apparentemente senza alcun motivo, aveva aggredito un senza tetto azzannandolo al volto ripetutamente, fino a quando un poliziotto gli aveva sparato, uccidendolo.

Vivevo a Miami, in quel periodo. Ricordo il silenzio tombale che era calato nella tavola calda in cui stavo pranzando, durante il passaggio del filmato in tv: eravamo rimasti tutti senza parole, nauseati, sconvolti.

Mia madre mi aveva telefonato per raccomandarmi di non uscire di casa, “che con certi pazzi in giro non si sa mai come va a finire: passeggi per la strada e qualcuno ti aggredisce a morsi; anzi, se torni a casa sono più tranquilla.”

Avevo sorriso, anche se quelle scene mi avevano shoccato: lei non si fidava degli americani e quella era solo una scusa per farmi tornare indietro.

Ammetto di aver trascorso qualche giorno di tensione: ogni volta che uno sconosciuto mi si avvicinava mi ritraevo o mi mettevo sulla difensiva, temendo inconsciamente un attacco di quel tipo e come me, probabilmente, molti altri.

Poi quella storia smise di occupare i notiziari: si indagava, certo, ma non si veniva a capo di nulla. L’aggressore era stato un uomo qualunque, in vita, i suoi amici e la sua fidanzata non riuscivano a capacitarsi di un tale gesto e non sembrava esserci nessun legame con la vittima. La gente cominciava a dimenticare l’orrore e a vivere la vita senza quel timore latente.

Tutto questo fino al giorno in cui si verificò un altro caso analogo.

Un uomo, a New York, viene arrestato con l’accusa di aver ucciso il suo compagno di stanza e averne mangiato i resti.

Casi del genere si verificano di continuo, in ogni parte del mondo, ma questo era avvenuto soltanto cinque giorni dopo l’aggressione del senza tetto e la gente iniziò ad aver davvero paura.

La psicosi crebbe nel momento in cui un altro ragazzo, verso la fine di quello stesso mese e di nuovo a Miami, azzannò il braccio di un amico e ne masticò la carne, proprio come avrebbe fatto uno zombie.

Cominciarono a circolare voci di altri episodi simili: in un ospedale, in un parco, in un vicolo…

Infine, la polizia di Miami diramò un avviso: i casi di cannibalismo erano da imputare all’assunzione di un nuovo tipo di droga, chiamata Cloud Nine, in grado di annullare i freni inibitori e rendere aggressivo l’individuo al punto da spingerlo a cibarsi di altri umani.

Quel comunicato sembrò avere l’effetto di una formula magica: improvvisamente non si sentì più parlare di avvenimenti di quel tipo.

Due mesi dopo il mio periodo di tirocinio era terminato ed ero diventata un medico a tutti gli effetti. Avevo avuto tante cose a cui pensare e la storia del cannibalismo era stata archiviata dal mio cervello nella cartella “stranezze americane che ti fanno sentire dentro a un film” .

Ero pronta a iniziare la mia nuova vita come medico legale, il mio sogno di sempre: ero cresciuta col mito di Kay Scarpetta ed ora potevo seguirne le tracce, anche se ero consapevole del fatto che probabilmente non mi sarebbe mai capitato di diventare una brillante risolutrice di casi come lei.

In effetti, il primo anno di lavoro fu il più noioso di tutta la mia vita. Speravo in qualcosa che desse una scossa alla routine quotidiana, ma se potessi tornare indietro probabilmente mi guarderei bene dal ripetere un desiderio del genere.

Tutto ebbe inizio quando conobbi Tasha, colei che divenne la mia coinquilina: una giovane ambiziosa e amante della mondanità, bellissima, sempre perfetta e piena di vita. Andavamo d’accordo perché entrambe avevamo gli stessi orari strampalati: notti intere trascorse fuori casa – io per lavoro, lei per divertimento – e risvegli difficili.

FleshWhere stories live. Discover now