Ariminum Circus Stagione 1...

By FedericoDFellini

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Ariminum Circus è il titolo di una esposizione che ospiterà le creazioni del Maestro (un guru, scienziato e... More

Test d'Ammissione
Stagione 1 - Who Is Who. Episodio 1: Lo Scrittore e la Sua Ombra
Stagione 1 - Who Is Who. Episodio 2 : Il Roc
Stagione 1 - Who Is Who. Episodio 3: (Amarcord) Jay e Daisy
Stagione 1 - Who Is Who. Episodio 4: Il Maestro
Stagione 1 - Who Is Who. Episodio 5: Il Capitano e il JubJub
Stagione 1 - Who Is Who. E 6: Earnest il Pescivendolo (non È un Pescivendolo)
S1 E7 : Il Custode dell'Asilo d'Infanzia Kandinskij: Tim "Nanny" O'Nan
Stagione 1 - Who Is Who. Episodio 8: La Ciurma (The Sportsmen)
Stagione 1 - Who Is Who. Episodio 9: Il Piccolo Ed
S1 E10: Cacciatrici di Alimenti a Terra, Sirene Lesbiche in Volo
Stagione 1 - Who Is Who. Episodio 11: «Chi È Quella Ragazza?»
Stagione 1 - Who is Who. Episodio 12: I Nottambuli
Stagione 1 - Who Is Who. Episodio 13: Morte di un Commesso Pulitore
Stagione 1 - Who is Who. Bonus Track: Recensione della Martin Eden Review

Interludio. Mondrian e Miró Discutono Passeggiando sulla Spiaggia Iperurania

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By FedericoDFellini

Mondrian era inginocchiato sulla riva. Tracciava righe verticali e orizzontali sulla sabbia usando una canna di bambù. Lavorava calmo, distaccato, senza fretta. Intensificava la tensione di una linea, frantumava una figura geometrica, ricomponeva un angolo da una nuova prospettiva. Si fermava poi per qualche minuto a osservare il mare, il Cielo e le stelle, fino a che un'altra intuizione su possibili equilibri di forma e spazio lo spingeva a disegnare solchi ortogonali con una diversa armonia – in un modo razionale ma non calcolato. Un'improvvisazione jazzistica, un processo di creazione metodico eppure immediato.

"Esiste una forma d'Arte giapponese – scrive Bill Evans nelle note di copertina di A kind of blue, il capolavoro in cui suona con Miles Davis – che costringe l'artista a essere spontaneo. Deve dipingere su un foglio di pergamena sottile e teso, con una tempera nera e un pennello speciale, tanto che basterebbe una pennellata innaturale o discontinua per interrompere la linea o lacerare il foglio. Correzioni e cancellazioni sono impossibili. Questi Artisti devono esercitarsi in una disciplina particolare, quella di lasciare che l'idea si esprima attraverso le mani, in modo talmente diretto da escludere l'intervento della volontà".

Così procedeva anche il pittore olandese. Il risultato era una collezione di piani rettangolari variamente intrecciati, infinitamente ricomponibili, ma sempre nitidi, certi, precisi, equanimi, veritieri, dai rapporti equivalenti – un giardino zen in un'aiuola di sabbia.

Mondrian sobbalzò quando Miró, giunto silenzioso da dietro, con una voce squillante disse: «Sai, giovane S'truppen, a volte penso che solo Chuck Jones sia andato oltre il Cubismo».
Il catalano ridacchiò alla reazione scomposta dell'altro. Gli era sempre piaciuto fare scherzi. Una signora anziana, qualche giorno prima, era capitata dinnanzi a una scultura astratta che lui stava componendo nei pressi dell'ospizio di Ariminum con olio, terra, catrame, caseina, sabbia e sassi tenuti insieme da un impasto di calcestruzzo, gigli e capelli. La tizia aveva commentato, incauta: «Questo lo saprebbe fare anche mio nipote di tre anni».

Lui, senza voltarsi né smettere di lavorare, aveva replicato: «Non credo che suo nipote abbia gli attributi per stuprare la scultura in questo modo». La ficcanaso scappò inorridita. Miró le gridò dietro: «Vorrei deporre uno stronzo nero e luccicante sul panorama bianco della tua conformità! Hai sentito? La tua schifosa conformità, conformità, conformità!».

Miró indossava una divisa da postino, che gli dava un'aria vangoghiana, alla Joseph Roulin. Si sentiva depositario di messaggi fondamentali per l'umanità.

Mondrian alzò il viso, lo riconobbe e sospirò prima di chiedere: «Chi?».
Quindi si rimise in piedi, scuotendo un velo di quarzi, feldspati, miche e minerali vari dalle ginocchia dei pantaloni: bianchi con una riga nera verticale, semplicissimi. 

I due s'incamminarono in direzione del porto restando sulla riva e tenendo le scarpe in mano. La lingua salata del mare d'inverno leccava i piedi nudi e la risacca mordeva le caviglie.
«Chuck Jones, giovane S'truppen, l'inventore della saga di Wile E. Coyote». Alle loro spalle, una folata fece piroettare le Falkland appese al patio della Fortezza Bastiani – il Garbino stava cedendo il campo al più umido Euro – e trasformò ciò che Mondrian aveva appena disegnato. Alcune linee sparirono, altre assunsero inclinazioni diverse.

«Sai cosa succede» proseguì Miró. «Wile E. Coyote si affanna dietro a Bip Bip in un paesaggio essenziale: i punti della sabbia, il piano del deserto, le linee geometriche dei canyon e delle montagne. È sconvolgente, sì, sconvolgente: seguire quei due è sconvolgente come vedere la falce della Luna che si alza nel Cielo e il Sole che la rincorre e la rincorre e la rincorre». Aveva la tendenza nevrotica a ripetere le parole, dimenando le braccia in una modesta imitazione di Rocky.

«Per kvesto in tuoi kvadri dipingi minuskole figure che si muofono in krandi spazi fuoti». Mondrian non era mai riuscito a perdere il pesante accento olandese. Parlava come la parodia di un fumetto di Bonvi. Per questo l'amico lo chiamava S'truppen. E il "giovane" era per distinguerlo dall'altro olandese, il "Feldmaresciallo" Vincent.

«Già. Già. Già». Miró, sorpreso dall'acutezza dell'osservazione del compagno, s'interruppe per qualche secondo, ma presto si riprese. «Perché, capisci, capisci bene, che lo spettacolo della volta celeste fa sentire noi umani irrisori, insignificanti, inutili. Così il deserto disegnato da Chuck Jones mette in risalto la relatività delle vite melodrammatiche dei suoi personaggi – con tutto l'apparato di idee geniali e flop clamorosi, grottesche ritorsioni e vendette autolesionistiche, lanci di macigni con catapulte in precario equilibrio sulla punta acuminata di montagne altissime e cavalcate a dorso di razzi che esplodono, corse folli nella prateria e rovinose cadute in canyon abissali, precedute da patetici addii al mondo vergati su cartelli cui si rimane abbarbicati restando sospesi sul baratro per qualche ultimo, impossibile – impossibile! Impossibile! – istante».

Miró, continuando a camminare, mimava come un tarantolato ogni gesto degli eroi di cartone che evocava, sotto lo sguardo freddo di Mondrian. Esausto, dovette fermarsi. Si sbottonò la giubba blu e la gettò sulla sabbia bagnata, facendo tintinnare gli alamari gialli. Cominciò quindi una serie di esercizi con il diaframma che aveva appreso guardando un video di Silvester Stallone sul Ramble Box Channel di Ariminum Tv. La sosta durò appena il tempo necessario a riattivare una respirazione quasi normale.

«Ma è lo scenario, quell'orizzonte immenso» riprese a dire Miró sferrando un potente jab a un refolo che gli aveva sollevato il fazzoletto intorno al collo «su quella pianura silente (un diretto, preciso, venne piazzato ai fianchi dell'impertinente fantasma), quell'immutabile desolazione (ancora un jab) – in cui si scatena questa agitazione scambiata per azione a impressionarmi, come tutto quello che è fermo, fisso, inalterabile (saltelli nei pressi dell'avversario a terra)».

«Ya, è un puon modo per superare l'Arte tradizionale, ke si limita a kopiare natura». Mondrian sembrava indifferente al fatto che Miró stesse salutando un pubblico fittizio con le braccia levate al Cielo, in segno di vittoria, urlava sottovoce: «Adriana!!!».

«Le karatteristike degli oggetti, il ritmo degli esseri viventi e le relazioni delle singole parti tra loro esprimono un senso ke può essere kolto solo andando oltre il fisibile» continuò nel suo stile laconico, ma con il rigore di una logica inappuntabile.
«Proprio così. Proprio così. Proprioooo.... così, mio caro S'truppen!». Il catalano tirò ancora un paio di colpi all'aria sempre più vorticosa, prima di concludere: «Il punto è questo, sì questo, questo: la realtà pura che viene espressa da Chuck Jones, riducendo la molteplicità dell'universo alle figure geometriche fondamentali e i colori a poche sfumature di quelli primari, è la sintesi della Grande Epopea americana, l'immaginario mitico western: ne esprime l'intima Verità».

Miró doveva ancora riprendere fiato. Mondrian si sedette sulla spiaggia, a gambe incrociate. Contemplò il rinfrangersi delle onde e tratteggiò qualche striscia sulla battigia, finché il compagno l'obbligò a riprendere la passeggiata. Quella sera era più iperattivo del solito. Mondrian si voltò per dare un'ultima occhiata al disegno: il Grecale, che aveva soppiantato l'Euro, lo aveva già cancellato. La vendetta dell'intelligenza naturale contro la ragion pura.
«Assistere a un'opera di Jones equivale a essere davanti a un palcoscenico dove si recita sempre il medesimo, medesimo, medesimo dramma, in bilico fra Beckett e Ionesco, di cui la fantomatica ACME è l'inetto deus ex machina. Ricordi? ACME è l'azienda che rifornisce di congegni improbabili il Coyote. Un nome buffo – sì proprio buffo! – poiché la parola acme deriva dall'antico ariminense akmé, che significa "eccellenza", benché produca strumenti con la tendenza a funzionare male o a non funzionare per niente: ma per niente, per niente, per niente!» ricominciò a dire Miró. Anche le braccia tornarono a fendere l'aria per dare più enfasi a ogni parola.

«Kvello abitato dal Coyote è un luogo mentale, dofe le leggi di Aristotele, Newton o Einstein non falgono. Bip Bip è l'allucinazione di una mente malata».
Miró roteò la testa. «Appunto, appunto, appunto! Vedi, S'truppen, il Coyote insegue Bip Bip quasi che dubiti dell'effettiva realtà dell'oggetto desiderato e cerchi di afferrarlo per dimostrarne l'esistenza...».
«Kome Amleto kon fantasma di padre!».
«O Alice all'inseguimento del Bianconiglio, se preferisci. O Don Chisciotte alla carica dei giganti che mulinano le loro spade per spaventarlo. O il cattivo genio di Cartesio, che lo perseguita con diabolici inganni... Ma i fallimenti del Coyote, i fallimenti che eternamente tornano e tornano e tornano... confermano che lui inseguirà invano Bip Bip fino a quando non capirà che è un miraggio. Così noi porteremo alla luce l'intima realtà del mondo solo se arriveremo a spogliarlo di tutte – ma tutte, tutte! – le forme esteriori».

Fu il turno di Mondrian a fare un cenno affermativo con la testa, muovendola dall'alto in basso lungo un'ideale linea retta: «Kapisco. Jones fa passo lasciato inkompiuto da Kubismo, ke non ha tratto la logica konseguenza di sue skoperte: portare astrazione a exprimere pura realtà».
«L'Arte astratta affonda le radici nell'esperienza del mondo reale: estrae l'essenza di un oggetto da un insieme più complicato e difficile, molto, molto, molto difficile da comprendere. Ha un occhio diverso da quello del contadino che in una mucca vede un animale da latte o da quello del macellaio, per cui è solo un insieme di chili di carne, grasso e ossa. Per il pittore questi sono dettagli apparenti, che velano la reale essenza della mucca».
«I kubisti infece cercano di katturare qvesta essenza ricomponendo i dettagli in maniera difersa da kome appaiono, ma non fanno feramente oltre i dettagli stessi».
«D'altro canto... oh, siamo arrivati».
La spiaggia si allargava in uno spiazzo progettato da Giotto. Era tagliato da una corda tridimensionale di pixel: un enorme quadrilatero che fluttuava a tre metri da terra più etereo dello Stregatto di Alice – eppure solidissimo, come il monolite di 2001 Odissea nello spazio.
«Un rettangolo di luce: magnifìko!».

«È una televisione ologrammatica, S'truppen. Attento, attento, attento: sta per iniziare lo spettacolo».
Venne trasmesso un episodio della serie Yo Yo di Ugo Nespolo. Sette minuti in cui si susseguirono affabulazioni di visioni sgargianti, iperboliche, dense di rinvii alle costruzioni letterarie di Calvino e alle iconografie di Boccioni. Dopodiché il visore tornò a essere un vago spettro di luminescenza euclidea.

«Che cartoni animati meravigliosi, meravigliosi, meravigliosi!». Miró corricchiava qua e là, agitato come le falde della giacca alzate dalle raffiche – il vento aveva rinforzato tanto che persino le lancette dell'orologio sul campanile si rincorrevano impazzite.

«Dimostrano ke più a lungo tu osservi un oggetto, più diventa astratto e, ironikamente, più reale».
«Sì sì sì: più perfezioni lo sguardo, più il mondo ti appare in forma di cerchi, di curve, di angoli concavi e convessi». Miró girava su se stesso, incapace di fermarsi.
Mondrian si irrigidì. «Io direi di rette inkrociate fra loro; al massimo, di qvadrati e di rettangoli».
«E cosa mi dici di quella, S'truppen?».
«Di kvella?».
«Di quella, di quella, di quella!» gridò Miró.
I due si concentrarono sulla Luna piena incombente sopra lo schermo. Gli Artisti Dannati raccolsero quindi dei bambù, che una mareggiata scatenata dal Maestrale di qualche ora prima aveva trascinato a riva, si ripararono dietro una duna e la disegnarono sull'arenile.
Per Mondrian fu un rombo appoggiato a una linea obliqua. Sullo sfondo, un reticolo di righe ortogonali come gli ombrelloni sulla spiaggia.

Per Miró fu un'ellisse con linee sghembe e spezzettate che puntavano verso l'esterno –sopracciglia lunghissime, orientali: un piccolo cerchio sembrava muoversi all'interno, seguendo chi lo osservava. Si aveva l'impressione di essere fissati dall'occhio di una sensualissima donna giapponese – l'eroina di un manga, forse.

O di un implacabile Vampiro assetato di sangue.

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