Let Me Get Lost In You [TaeKo...

By Hananami77

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''«Taehyung non può sposare il figlio di Jeon. Ho sentito troppe cose poco rassicuranti sul suo conto, non po... More

Personaggi+Introduzione
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#Special: [Biscotti in incognito]
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[Special 3#] Buon compleanno, hyung!
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~Epilogo~
LMGLIY - FAQ

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By Hananami77

Stretto nella pesante giacca invernale non troppo alla moda ma che aveva trovato a fortuna nella tenda di Jungkook, Taehyung camminò con passo spedito ma silenzioso sul terreno brullo dell'accampamento. Ricordava molto una marea scoscesa e spoglia, scura quanto una macchia d'olio che si estendeva in un'infinito manto dall'aria triste ed abbandonata. 

Camminando con le spalle vagamente ricurve e reggendosi ad oggetti che trovava sparsi per l'accampamento -quali tizzoni ormai spenti, tronchi mozzati utilizzati come tavolini e sostegni delle tende- stringeva tra le mani due lettere perfettamente sigillate con la ceralacca viola della casata Jeon e relativo timbro.

Le stringeva come se da quelle dipendesse la sua vita e, a dire il vero, era veramente così. Dall'arrivo di quelle due lettere ne valeva del suo intero matrimonio e del suo futuro, e sperò che JK continuasse ad essere impegnato ad urlare ai soldati di muovere il culo per il tempo necessario a spedirle. Se l'avesse visto zoppicare con il rischio di farsi riaprire la ferita, probabilmente lo avrebbe legato alla brandina con le bende fino all'arrivo a palazzo.

Si continuava a sentire un vero schifo e le gambe non lo reggevano molto, ma ormai mancava poco all'arrivo al palazzo ed aveva passato fin troppo tempo a vegetare senza fare nulla. Doveva sistemare la faccenda del re e cercare di salvare almeno il salvabile -ed anche la veridicità di re Namjoon, che aveva acconsentito a tale piano sperando in una sua perfetta riuscita. 

Di perfetto, invece, non c'era stato proprio niente, e Taehyung stava cercando di convincersi che qualsiasi cosa re Jeon gli avesse imposto per punizione l'avrebbe accettata senza osare aggiungere niente, sicuro che almeno quel colpo sarebbe riuscito a reggerlo. 

In gioco non c'era solamente lui ma anche e soprattutto Yoongi, che non godeva di uno status autorevole abbastanza da potersi salvare da eventuali dolorose ripercussioni dovute ad una sua sfortunata negligenza.

Strinse gli occhi alla ricerca delle sentinelle di ronda e ne vide due che, a pochi metri di distanza, stavano parlottando concitatamente. Ridacchiavano di tanto in tanto su qualcosa di sicuramente futile ma necessario a mantenere la loro sanità mentale intatta, ignari della sua presenza. La presa sul paletto di legno di una tenda divenne ferrea e strinse i denti per darsi lo slancio necessario a fare qualche passo verso di loro; i punti tiravano terribilmente e con molta probabilità avrebbe per sempre portato su di sè il segno di quella battaglia non voluta e neanche troppo necessaria. 

«Ehi tu!» chiamò poco dopo, arrendendosi al fatto che non avrebbe potuto mai raggiungerli con il suo passo da lumaca e il suo precario equilibrio. Si guardò intorno e si sedette su un tronco secco riverso al suolo, respirando lentamente per evitare che i polmoni si espandessero troppo ed il petto cercasse di dilatarsi; le fasce che lo avvolgevano gli stavano portando un'irritazione sulla piega del collo e per questo si passò le mani fredde su quel punto mentre attendeva che lo scalpitio tintinnante di una delle due sentinelle non fosse abbastanza vicino da potergli parlare senza urlare.

La guardia fece un inchino con il pugno posato sul petto e si chinò per sincerarsi che stesse bene. «Vostra altezza, cosa ci fate qui?» sussurrò sorpreso, alzandosi l'elmetto per vedere meglio il principe guardarsi intorno con aria circospetta.

Ispezionata la zona e assicuratosi che non ci fossero altri occhi indiscreti a guardarli, Taehyung gli afferrò l'avambraccio per intimargli di avvicinarsi ancora. La guardia cadde sul ginocchio e alzò le sopracciglia, sorpreso e confuso dall'atteggiamento del principe.

«Queste lettere devono essere recapitate il prima possibile al re Kim Namjoon e al consigliere della casata Jeon, Sir Min Yoongi. Devono essere recapitate solo ed esclusivamente a loro, non a messaggeri né ad intermediari; dì che a mandarti è Kim Taehyung e capiranno». Lo sibilò con fare serioso scandendo le parole mentre lo guardava dritto negli occhi per fargli capire l'importanza di quell'incarico.

Il soldato annuì velocemente. «Sarà fatto. Porterò con me una seconda guardia, in questo modo potremo dividerci ed arriveremo anche più in fretta» gli rispose con voce affabile. 

Un moto di tenerezza lo colpì come, adesso che lo guardava bene, la giovane età di quel soldato spiccasse in quel campo semi deserto. Il volto era ancora leggermente tondeggiante, la barba solo un miraggio, gli occhi azzurri erano grandi e contornati da ciglia chiarissime almeno quanto le ciocche di capelli dorati appicciate alla fronte. Era un ragazzino di neanche vent'anni eppure si trovava a far parte di un esercito per combattere una guerra non sua per qualcuno che non si meritava la vita di nessuno di loro.

Era triste pensare che, come lui, centinaia di migliaia di ragazzi non riuscivano a crescere abbastanza da poter realizzare i loro sogni o portare a termine i loro progetti. Ognuno di loro aveva una famiglia pronta ad accoglierli come vincitori a prescindere dal risultato del conflitto, e non osò immaginare il dolore che una loro perdita avrebbe comportato ad ogni madre rimasta con il cuore vuoto dalla mancanza.

«Non fatevi scoprire, prendete tutto ciò che vi è necessario per il viaggio, vi prego di avanzare lestamente. Per favore, è importante» rispose Taehyung, e il ragazzino annuì nuovamente facendo per alzarsi se solo non fosse stato trattenuto dal principe.  

«Come ti chiami?». Il soldato fu sorpreso della domanda e per lui fu impossibile non mostrare il suo stupore, che si palesò con un battere lento delle palpebre durato qualche secondo.

«Soomin, Vostra altezza».

«Ascoltami attentamente Soomin: se dovesse succedere qualcosa, qualsiasi cosa che possa minacciare la tua vita o quella dei tuoi compagni, lasciate perdere le lettere e pensate a salvarvi la vita. Intesi?». La serietà con cui glielo disse spiazzò il soldato che però annuì un assenso e gli fece un piccolo sorriso, afferrando subito dopo le due lettere con la mano guantata.

Taehyung guardò con una punta di apprensione quel ragazzino correre velocemente via e sperò vivamente che le lettere potessero non solamente arrivare per tempo, ma anche che quei soldati non incontrassero intoppi lungo il cammino.

Rimasto da solo nel silenzio della notte e nel buio che essa comportava, sospirò profondamente e si issò, trascinandosi quel tanto che bastava per potersi accomodare sul terreno ed essere inghiottito dal buio. 

Dal punto in cui si trovava bastò alzare appena gli occhi per poter incontrare una distesa tanto scura quanto luminosa. Punteggiata da una miriade di lucenti stelle, quello era un momento che amava ed odiava da un'intera vita: guardare il cielo notturno e specchiarsi nel buio dei suoi segreti era un pò come guardare in un vuoto infinito in cui i sogni umani brillavano, accattivanti.

E anche se era una delle visioni più belle che avesse mai avuto l'onore di osservare, un grande e opprimente senso di inadeguatezza gli pervase le viscere -come accadeva spesso, d'altronde. 

Per qualche motivo, Taehyung si sentiva fuori posto. 

Non che fossero pensieri tanto strani o recenti, si era sempre sentito un pò diverso dagli altri. Non sentiva di appartenere alla sua epoca, alla società, alla visione del mondo proclamata da molti. Diverso non era sbagliato, ma tutti lo rendevano tale. 

Non che gliene fosse mai importato più di tanto ma, anche se diventava un'abitudine ignorare le parole forti e sconcertanti che gli venivano vomitate addosso, non era altrettanto facile non far crepare il suo scudo di ostentata indifferenza. 

La vita andava avanti comunque, ed era questa la parte peggiore della sua esistenza. L'andare avanti era diventato sempre più difficoltoso, vivere e farsi spazio tra la marasma di corpi senza nomi e volti senza espressione era diventato estremamente difficoltoso. Richiedeva un coraggio ed una forza di volontà che lui aveva sempre trovato nella consapevolezza di voler andare avanti, di proseguire il cammino della sua vita in attesa che il futuro lo accogliesse a braccia aperte per mostrargli quanto di buono avesse da offrirgli.

Ma quanto si poteva andare avanti quando si perdeva la voglia di farlo? Aveva rischiato di morire...eppure, pensandoci, se fosse successo non se ne sarebbe fatto troppo un problema. Era arrivato all'amara quanto cruda consapevolezza che peggiore della morte stessa c'era il morire mentre si era ancora in vita.

Un lento appassirsi come una rosa recisa, i petali sarebbero sfioriti poco per volta fino a lasciarsi andare, uno per uno, arresi all'idea di non poter sopravvivere ancora. 

E lui si sentiva un pò come quella rosa.

Non era nel suo carattere perdersi d'animo così facilmente, non era da lui pensare che la morte fosse la migliore delle scelte e il più grande dei doni, e si rendeva conto che ad una persona sana di mente il suo pensiero sarebbe risultato addirittura disturbante. Era un insulto a chi una vita non poteva viverla, ma sentiva di star lentamente lasciando perdere.

Una voragine -purtroppo non solo metaforica- gli si era aperta al centro del petto per quanto si sentisse solo; era da solo che avrebbe dovuto affrontare le faccende che lo attendevano una volta ritornato a palazzo -da cui sarebbe voluto scappare senza guardarsi indietro, fuggire da tutte quelle situazioni rimaste in sospeso fino a vedere il castello diventare un puntino invisibile.

Un sorriso malinconico gli incurvò le labbra e rimase nel segreto della sera; con fare istintivo si strinse le braccia attorno al busto in un abbraccio che fungeva da magra consolazione al momento di assoluta e totale malinconia che lo aveva colto. 

Un abbraccio era ciò che gli mancava. 

Desiderava un abbraccio che riuscisse a rispondere a delle domande che neanche lui conosceva, di quelli che sottintendeva un conforto che le parole non riuscivano a dare.

Uno di quelli alla Kookie. 

Era buffo, ogni volta che si sentiva triste o solo, era Kookie colui a cui pensava come soluzione a tutti i suoi tormenti. 

Il suo piccolo Kookie, quello dal sorrisone ampio, dagli occhi strizzati e dal naso arricciato; quello che lo stritolava in abbracci soffocanti, che giocherellava con le dita delle mani e che usava i cuscini come scudi al solletico. Erano i suoi abbracci che agognava. 

Quelli sinceri e semplici, fatti con spensieratezza e che duravano un'eternità. 

Abbassando gli occhi per potersi guardare intorno, si rese conto che -anche per quella volta- non poteva chiedere di avere Kookie tutto per sè per almeno qualche ora. Erano in un accampamento militare e lui era gravemente ferito, non poteva rischiare di traumatizzarlo. 

Ma racchiuso nell'oscurità della notte e perso in un silenzio assordante, i suoi pensieri virarono su un altro soggetto di cui agognava la presenza: Jungkook. 

Con la stessa lentezza della dolce risacca della marea, la confessione di Jungkook gli ritornò alla mente e lo fece sorridere appena. 

Jungkook gli aveva detto che lo amava.

Anzi, si erano detti che si amavano.

Un rossore diffuso gli colorò le guance al ricordo di quanto avesse sentito la necessità di dirgli quelle parole per paura di non avere più il tempo per dirgliele. Chissà quando si sarebbe presentata l'occasione di rivederlo...sperava che Jungkook tirasse fuori il "coraggio" di riapparire per regalargli ancora una volta la sua preziosa e dolce compagnia.

Si ritrovò a domandarsi come sarebbe stato rivederlo, in che occasione sarebbero tornati a guardarsi negli occhi e cosa sarebbe successo dopo la loro piccola confessione al romantico lume di morte. Ricordava perfettamente le lacrime di Jungkook, quanto gli avesse fatto male sentirlo implorare di non essere abbandonato; ricordava ancora la sensazione di quelle stille salate bagnargli la pelle, delle sue mani premute sulla sua ferita e dei suoi singhiozzi perforanti che mozzavano le sue parole e le sue suppliche.

Ma, attualmente, doveva avere a che fare con JK.

JK era con loro da molti giorni, molto più di quanto gli avesse visto fare in passato e Taehyung aveva avuto modo di notare che non una singola dissociazione era avvenuta in quel lungo lasso di tempo. Non gli aveva accennato nulla a proposito una possibile coscienza condivisa con Jungkook nè era riuscito a tirargli fuori delle informazioni circa lo stress mentale che aveva portato il suo principe a "nascondersi" nella sua mente.

Nonostante apparisse quasi allettante poter sfuggire dalla realtà, Taehyung non la invidiava. Nonostante tutti desiderassero avere un posto dove rintanarsi per poter attendere che le cose migliorassero, Taehyung non avrebbe voluto che qualcun altro soffrisse al posto suo. 

Ma ciò non toglieva che ormai, in tutta quella baraonda di pensieri confusi ed accavallati, Taehyung non riusciva a ritrovare sè stesso. Non si sentiva più Kim Taehyung, era diventato semplicemente qualcuno.

Un individuo di cui osservava la vita e le azioni con fare critico e rassegnato.

Aveva dimenticato cosa significasse avere qualche attimo di pace senza strani medici ad osservarlo, re curiosi ed ambigui a scrutarlo e consiglieri reali pronti a consigliare male. Non rimpiangeva mai, neanche per un singolo istante, di aver sposato Jungkook o di essersene innamorato, ma rimpiangeva di non essere riuscito nel suo intento di mostrargli che non era da solo.

Che poteva non dover prendere delle decisioni da solo, che avesse una spalla su cui piangere. 

Se Jungkook voleva proteggerlo, perché non poteva a sua volta lasciarsi proteggere da lui? Perché non gli permetteva di dimostrargli a sua volta quanto ci tenesse?

A maggior ragione che quelle sette, piccole lettere erano sgusciate fuori dalle loro labbra e si erano fuse in un grande ed unico sentimento radicato negli animi, perchè continuava a non vedere la sua disponibilità nell'esserci?

Quella era un'altra occasione che la vita aveva colto per mostrargli di non essere abbastanza?

«Perché piangi?».

Taehyung sussultò e si voltò di scatto ad occhi sgranati verso il quasi soggetto dei suoi pensieri, le cui uniche differenze risiedevano nella durezza dei lineamenti, nel tono di voce -decisamente più profondo e baritono-, nel modo di articolare i discorsi e nel portamento fiero e sicuro.

Aggrottò le sopracciglia e si toccò le guance, stupendosi di sentirle bagnate. Merda, stava davvero piangendo. Non se ne era neanche accorto e detestò che JK lo avesse colto a frignare ancora, quindi tentò di spazzarle via tamponandosi le guance con i palmi ed asciugandosi gli stessi su pantaloni. 

Sicuramente, era una visione un pò patetica. Notando come JK tenesse in mano una piccola lanterna e che lo continuava a scrutare in viso, capì che stava davvero aspettando una risposta alla sua domanda.

«Nessun motivo, non mi ero neanche accorto di star piangendo, quindi probabilmente erano solamente lacrime transitorie» fu il sussurro terribilmente sincero di Taehyung. Spostò di nuovo lo sguardo sul cielo notturno, incapace di spezzare quella specie di incantesimo che erano gli occhi di JK. In realtà, si aspettava di rimanere di nuovo da solo e di avere ancora del tempo per potersi autocommiserare -era una cosa che faceva da un pò troppo- ma, ancora una volta, venne colto di sorpresa.

Guardò con sgomento JK avvicinarsi e sedersi di fianco a lui, ponendo la lanterna tra i loro corpi ma lontana abbastanza da non essere accidentalmente urtata. Si voltò verso di lui e grazie alla tremula e flebile luce giallastra della candela riuscì a scorgere per intero la posizione di JK: aveva poggiato i gomiti sulle ginocchia piegate, il mantello pesante gli copriva parte del corpo lasciando scoperte le mani, gli stivali che gli abbracciavano i polpacci ed il volto. 

In silenzio, aveva rivolto lo sguardo al cielo.

Proprio come lui.

Taehyung sentì un sentore di disagio passargli lungo la schiena che lo portò a strisciare con discrezione appena poco lontano, sperando che l'altro non lo notasse.

«Principessa, non voglio farti nulla. Ti ho detto di non avere paura».

Taehyung trasalì e deglutì sonoramente, colto in flagrante. Gli venne automatico abbassare gli occhi sulle sue mani poggiate fiaccamente sulle cosce e guardarle per intensi, silenziosi attimi.

«Non è questo, è solo che...».

Già.

Solo che...cosa?

Cos'era?

Cosa poteva dirgli?

JK scosse appena la testa puntando gli occhi sulla tremolante fiammella racchiusa tra quelle quattro pareti in vetro, ritrovando in questa una versione metaforica di sè stesso

La osservò oscillare, tremolare, poi ritornare dritta e poi venire quasi spenta dalla brezza notturna, in un flebile ondeggiare per resistere.

«So già cosa vuoi dirmi, non c'è bisogno che gli dia voce».

Ok, adesso Taehyung aveva la certezza quasi matematica che ci fosse qualcosa sotto che non stava cogliendo.

Da quando JK era così comprensivo?

Da quando JK gli parlava in quel modo?

Da quando potevano fare un discorso normale senza che volassero insulti?

«Davvero? Beato tu, io invece non lo so» sussurrò Taehyung con una punta di ironia scacciata dalle sopracciglia aggrottate e lo sguardo concentrato sulle sue dita vagamente tremanti. Gli orecchini che stava indossando JK tintinnarono appena al suo movimento del capo, l'oggetto del suo interesse era lui e gli stava dedicando la sua più completa attenzione. 

«Se certe cose si devono dire a voce, è solo perchè stai parlando con qualcuno di poco intelligente come il dottore».

Ah, se gli occhi di JK avessero potuto toccarlo, Taehyung fu certo che lo stessero stringendo. Stretto. 

Tuttavia, la rinnovata fiamma della curiosità di sapere cosa stesse succedendo portò Taehyung a rialzare gli occhi su di lui per guardarlo intensamente. Proprio come quel giorno al fiume, le iridi scure brillavano come mai prima di allora. 

Come mai avevano fatto quelli di nessuno.

«JK...Perché ti comporti così?».

Doveva saperlo, il non sapere lo stava uccidendo dall'interno, i dubbi lo stava distruggendo, il mondo si stava sfaldando e lui doveva sapere.

Doveva fottutamente sapere cosa passasse per la testa di JK.

«Perché mi va di farlo». Semplice e concisa, quella frase ebbe il potere di spiazzarlo prima di irritarlo oltremodo, inducendolo ad alzare gli occhi al cielo e sbuffare dalle narici. 

«Ti aspetti che io ti creda o che ceda così facilmente?».

JK fece un mezzo sorriso che non contagiò i suoi occhi e negò con la testa, come se si aspettasse una risposta del genere. «In realtà no, ti ho osservato e parlato abbastanza da sapere quanto diamine sia testardo, ma non c'è niente di diverso di ciò che ti ho detto: mi va di comportarmi così».

Lo vide sminuire il tutto con una scrollata di spalle ed un'espressione neutra, quasi assente da ogni emozione. Taehyung si ritrovò a contemplare che, sotto alcuni aspetti, JK agiva come lui. La maschera che JK stava indossando era la stessa che indossava lui quando fronteggiava qualcuno o qualcosa, e la associazione della sua persona e quella personalità lo stupì.

Tuttavia, le sue risposte erano ben lontane dall'essere soddisfacenti, e tale motivazione lo portò ad arricciare il naso per il fastidio.

«Hai già provato a darmi questa risposta e non ne hai ricavato nulla. Per convincermi che sia davvero così devi impegnarti un pò di più, magari dicendomi perchè lo stai facendo e cosa vuoi in cambio...oppure cosa è cambiato in questo lasso di tempo. E vedi di essere convincente» sentenziò Taehyung, gesticolando appena per avvalorare il suo discorso. Le lunghe dita danzarono nel buio della notte con un lieve sfarfallare, si spostò una ciocca di capelli dalla fronte e massaggiò le palpebre per qualche istante. 

Vista la mancanza di risposta, Taehyung posò gli occhi su JK e sperò di non averlo mai fatto.

Gli occhi scuri come l'oblio si puntarono nei suoi con tale potenza da bloccargli il respiro e far morire in gola le parole che avrebbe voluto rivolgergli; lo scrutavano con profonda concentrazione fino ad arrivargli dentro, frugavano nei meandri della sua anima accessibile solo dagli occhi e... li lasciò fare.

Non aveva le forze di rialzare le barriere che giacevano un pò incrinate ai suoi piedi.

Intensi e silenziosi minuti scanditi solamente dal battere delle palpebre di entrambi scorsero tra loro, dando spazio alla più antica forma d'arte che esistesse: il contatto visivo.

Quei tenebrosi occhi onice contenevano milioni di frammenti di fatti passati e presenti che erano troppi e troppo per essere processati e distinti. Tutti legati da un unico filo conduttore, nella loro finezza danzavano nelle iridi di JK innescando un soave quanto melodico tormento interiore.

Nel loro silenzioso scrutarsi e studiarsi, Taehyung ebbe modo di credere che non si stessero solamente confrontando silenziosamente. Quei milioni di frammenti erano la vera voce di una piccola parte di anima di Jungkook che portava il nome di JK. Ed era così incrinata, sgretolata e sfaldata che probabilmente niente e nessuno sarebbe mai stato in grado di ricrearla per portarla al suo originale splendore.

«Io sono fatto così» proruppe dal nulla JK, aggrottando leggermente le sopracciglia -un pò come se non sapesse nemmeno lui perché avesse parlato. Ma, incredibilmente, fu lui il primo a distogliere lo sguardo per portare l'attenzione sulle sue labbra e sulla curva del suo collo.

«Quell'incapace del medico si ostina a volerci vedere altro, ma io sono così. Io faccio le cose perchè mi va di farle, se mi sento di farle e perchè voglio farle. Non mi importa se qualcuno ci possa rimanere male, se ne rimane ferito o se è pronto a tirare le testate contro il muro pur di farsi ascoltare, io farò sempre e solo ciò che mi sentirò di fare». 

Come iniziò a parlare di Hoseok, un campanello trillò nella mente di Taehyung. Decise di cogliere l'occasionale apertura al dialogo di JK per potersi spiegare con la speranza che non ci fossero ripercussioni future. 

«A proposito di Hoseok...quel giorno che tu hai interrotto un dialogo piuttosto acceso—non gli ho detto nulla. Prima che tu possa trarre qualsiasi conclusione da ciò che hai sentito o che possa arrabbiarti di nuovo, io non ho detto nulla di voi. Volevo solo capire cosa stesse succedendo ed aiutarvi, se possibile» chiarì, schiarendosi la voce per evitare che questa tremasse ancora. Le mani gli tremarono velatamente mentre diceva quelle cose ed il cuore gli batteva veloce per l'ansia di ciò che sarebbe avvenuto subito dopo. 

«Lo so, ho sentito». 

Taehyung fece un'espressione tra il confuso e l'interdetto. «Sei arrivato solo alla fine del discorso, quindi v—».

«Ho sentito tutto il discorso. Quando ho visto che sei andato a parlare con il dottore, ammetto di aver desiderato di prenderti a cazzotti fino a farti sputare i denti, ma poi ho assistito al tuo exploit che, principessa, un pò meno teatrale la prossima volta» fece JK, spiegando le labbra in una smorfia che ricordava vagamente un sorriso.

Taehyung deglutì sonoramente e abbassò lo sguardo sulla tremante e fioca lanterna vicino i suoi piedi, sospirando di frustrazione ed anche di imbarazzo.

«E...?» sussurrò senza voce, stringendosi maggiormente nella giacca che lo avvolgeva. 

JK arcuò un sopracciglio e posò il mento sugli avambracci.

«Ascolta principessa, vedrò di essere chiaro visto che non mi sembri un tipo troppo sveglio: io mi chiamo JK, vero, ma io so che esisto perché Jungkook mi ha creato. Purtroppo, aggiungerei. Io merito di vivere molto più di Jungkook ma mi è toccato il ruolo del protettore. Un ruolo di merda in cui le parole chiavi sono: cattivo, maleducato, rude. Sinceramente? Non me ne fotte un cazzo, perchè l'unico ruolo che mi importa avere è quello dello hyung». JK fece un piccolo sorrisetto che morì subito dopo per lasciare posto al cruccio.

«Lo hyung di Kookie?».

Taehyung lasciò volontariamente in sospeso la prima parte del discorso, sperando che JK non si addentrasse troppo in discorsi che lo avrebbero portato a minacciarlo per farlo stare in silenzio. 

«Potenzialmente, potrei essere lo hyung di tutti. Ma di base, solo quel biscottino combina guai può chiamarmi così» gli rispose con una nota completamente diversa nella voce. Era...dolce?

Nuova, sicuramente.

Diversa.

«Di tutti? Quanti anni hai?» domandò con perplessità Taehyung, avendo un deja vu di quella volta di molti mesi prima in cui aveva posto la stessa identica domanda a Kookie.

«Ventinove».

Quella semplice risposta gli mise addosso un'inquietudine che non capì ma che Taehyung attribuì alla suggestione del momento. Il corpo era sempre quello di Jungkook, era la mente che si era letteralmente divisa in più parti che, come tali, avevano sviluppato una propria indipendenza. Si ritrovò ad ammettere che la sua mente trovava più difficile processare il fatto che avessero età diverse che il vero e proprio disturbo di Jungkook.

«Jungkook continua a comportarsi come un emerito coglione, proprio come quando era solamente uno stupido ragazzino. Aish, la mia vita è decisamente più avvincente della sua, lo è sempre stata ma sono io quello che deve farsi strada per avere qualche sprazzo di esistenza. Proprio una vita di merda» JK arricciò il naso, arrabbiato, e successivamente passò una mano tra i capelli per portarseli all'indietro con un gesto secco.

Il tutto era avvenuto sotto lo sguardo attonito e allibito di Taehyung, ancora esitante sulla veridicità di quel momento o meno. 

JK gli stava davvero parlando di lui? Di loro? 

Che si stesse cominciando a fidare? Che stesse finalmente vedendo che lui non intendeva in alcun modo essere una minaccia per nessuno di loro tre? Che avesse capito che Taehyung -nonostante facesse fatica ad ammetterlo- apprezzasse un pò anche lui?

«Non guardarmi in quel modo o ti tiro un pugno» sbottò poi JK, schioccando la lingua sul palato.

Taehyung battè un paio di volte le palpebre come uscito da una sorta di trance e poi sospirò pesantemente. Il suo discorso non lo aveva lasciato indifferente -anche se c'era da domandarsi quale discorso fatto da JK lo avesse lasciato indifferente prima. Infatti, ciò che gli aveva detto a proposito del 'ruolo' capitatogli nella vita non aveva abbandonato una parte della sua mente. 

Aveva sempre avuto una teoria tutta sua sui protettori dei sistemi come quello di Jungkook, e nonostante i suoi trascorsi, andare al cuore delle cose era necessario per poter trovare la verità. E lui, forse, l'aveva già trovata e gli era stata appena confermata da JK.

«I protettori non sono poi così male» rispose infine con tono leggero. JK arcuò un sopracciglio come se stesse sentendo la stronzata più grossa di tutte e fece per parlare, ma Taehyung lo guardò con gli occhi di chi ti prega di non interrompere quello slancio di sincerità.

«In qualche modo hai salvato la vita a Jungkook ed hai protetto Kookie. Li hai sempre difesi ed hai fatto in modo che i loro confini e spazi venissero rispettati nonostante abbia sempre avuto attorno persone che ti hanno detto che eri sbagliato o fatto credere di essere un problema. In qualche modo, ti stavano implicitamente dicendo che non era giusto che qualcuno tentasse di proteggere sé stesso da una serie di violenze che, altrimenti, vi avrebbero solo annientati».

«Maleducato, violento, rude e scostante—purtroppo con me lo sei stato, ma è innegabile che hai avuto e continui ad avere un grande ruolo nella vita di Jungkook. Sei una parte di lui che non potrà mai essergli sottratta...e che io ho accettato».

JK si immobilizzò. 

Un qualcosa di troppo grande e sconosciuto gli si agitò dentro, una sorta di stretta allo stomaco glielo serrò e risalì fino alla gola, che si chiuse così tanto da non permettergli di rispondere.

Non era una sensazione positiva né negativa, era solo dannatamente presente e fastidiosamente invadente. Non capiva cosa fosse o perché le parole di Taehyung gli avessero provocato quell'agitazione mista ad ansia mista ad una punta di —che cazzo era?

Commozione? 

Sollievo? 

Conforto? 

Contentezza?

Taehyung distese le gambe e allisciò una delle pieghe che stava deformando il tessuto, pronto a chiudere quanto prima quel discorso. «Però ciò non esclude che tu mi abbia letteralmente annientato, JK. Mi hai strappato un brandello di anima per volta, non per stringerlo ma per bruciarlo tra le fiamme della rabbia e della furia senza pensare che io potessi anche cedere, che io potessi cessare di esistere, che io potessi mollare tutto. L'hai fatto, e mi hai guardato con soddisfazione crollare».

Taehyung rialzò gli occhi lucidi su quelli di JK e li trovò quasi persi.

Anzi, completamente smarriti.

«E non so se riuscirò mai a perdonarti per questo».

Un silenzio pesante, assordante e quasi soffocante cadde tra di loro come se il mondo avesse appena mostrato il suo lato peggiore, come se avesse appena rivelato le crudeltà che lo affliggevano mostrandosi a nudo nella sua spoglia veridicità.

Taehyung sentì il peso delle parole che aveva appena pronunciato ma JK sembrava -ed era, effettivamente- quello più toccato. Non sapeva come interpretare quel peso sul petto che aveva sentito, né aveva capito perché le sue mani tremassero come se fosse quello stupido perdente di Jungkook, perché il suo cuore pulsasse con fare doloroso e perché quella stretta alla gola fosse più forte.

Non aveva mai provato quelle cose, neanche quando aveva deciso di farsi Woosung.

«Avevi detto di non odiarmi» soffiò, incerto.

Taehyung si issò e obbligò il suo corpo a mettersi dritto, sospirando dalle narici per ricomporre le sue emozioni strettamente collegate a quelle di JK in un modo troppo stretto per poterle accettare.

JK fece per alzarsi ma Taehyung lo bloccò scuotendo la testa. Solo quando gli diede le spalle, ebbe il coraggio di sussurrargli «Infatti non ti odio».


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Gli ultimi due giorni di viaggio erano stati silenziosi quanto lo potevano essere due mondi che, apparentemente, non erano destinati ad incontrarsi. Alla volta del palazzo, JK e Taehyung erano rimasti vicini fisicamente -precisamente uno contro l'altro per via delle ferite di Taehyung- ma così come i loro occhi, anche le loro menti erano ben lontane tra loro. 

E se per Taehyung la "chiacchierata" era servita per arrendersi ad una verità più grande di lui che richiedeva di essere accettata con un coraggio che ancora stentava a trovare, per JK era invece stato motivo di confusione.

Era spiazzato. 

Spiazzato e totalmente incapace di gestire quella nuova situazione.

Ogni volta che ripensava al cambio di attitudine di Taehyung nei suoi confronti -perchè era visibilmente cambiato, e neanche troppo in positivo- era inevitabile considerare che avrebbe preferito che l'altro gli avesse urlato contro, che lo avesse colpito, distrutto o annientato piuttosto che...quello. 

Quell'atteggiamento piatto, quegli occhi che sembravano vedergli attraverso, spenti ed opachi senza alcuna scintilla arrabbiata, furiosa, irritata o sospetta erano...disturbanti. 

Tutto sarebbe andato bene, qualsiasi cosa purchè ci fosse una qualche tipo di emozione.

Per lui, Taehyung era sempre stato un libro di emozioni nonostante la facciata reale imperscrutabile; nei suoi occhi e nel suo viso si riuscivano a leggere cose così nuove e singolari da renderlo strano -in un certo senso-. Così tanto che per lui quelle emozioni erano state la causa del suo apparire sempre più spesso.

Il motivo per cui lui riuscisse ad interfacciarsi maggiormente con la realtà da quando c'era Taehyung era stato rivelato dal quell'idiota del dottore a Jungkook: essendo lui una personalità fortemente guidata dalle sensazioni e dalle voglie, la scintilla di rabbia o di ostilità che provava per Taehyung era un fattore scatenante per poter rimanere in giro e farsi un po' i fatti suoi.

Ma quando quel libro di emozioni si era chiuso, appiattito e sigillato per non mostrarsi, allora aveva provato a capire cosa fosse successo e cosa non fosse andato come aveva creduto andasse.

Le parole che gli aveva rivolto bruciavano ancora più di quanto gradisse, ed erano ancora lì perchè non si capacitava di come Taehyung potesse pensare di lui come una sorta di "salvatore" di Jungkook e Kookie. Lui era nato per gestire i mostri degli altri, glielo aveva detto espressamente quindi perchè...?

«Taehyung, siamo quasi arrivati» pronunciò improvvisamente, scuotendo il diretto interessato per la spalla.

Taehyung, profondamente addormentato con la schiena contro il suo petto e la testa sulla sua spalla, si lamentò appena e mosse lievemente la testa. Il naso sfiorò il collo di JK ed il respiro cadenzato e leggero gli sfiorò la pelle così leggiadramente che lo scosse di nuovo con più veemenza.

Non gli era piaciuto il vuoto allo stomaco. 

 Taehyung emise un piccolo sbuffo ed un lamento, decidendo però di schiudere gli occhi e strofinarseli con le dita. 

«Siamo quasi arrivati?» ripetè con un piccolo sussurro. Jk fece un mugugno di assenso guardando dritto davanti a sè mentre Taehyung si issò appena dal suo petto e si guardò intorno con l'intento di mettere a fuoco l'ambiente circostante.

Non gli risultò molto semplice visto che la luce del giorno era andata via già da un pezzo. Ma anche senza riconoscere il panorama, le budella gli si attorcigliarono perchè quel posto non gli era mancato. E con lui, non gli era mancata nemmeno la sensazione claustrofobica che lo prendeva ogni volta che si ritrovava dentro quel palazzo tenebroso.

«Non sembri contento di tornare» commentò JK al suo orecchio. Il tono roco era accompagnato dalla solita stretta attorno alla sua vita per evitare cadesse da cavallo nel sonno.

«Infatti non lo sono, ma quantomeno dormirò su un vero letto» fece un po' d'ironia Taehyung. 

«Sì, che cazzo! Ho la schiena che mi sta cadendo a pezzi per quelle brandine di merda» sibilò JK facendo una smorfia al ricordo della scomodità patita in quelle notti.

Gli angoli della bocca di Taehyung si sollevarono. «Hai ragione, io ho ancora il torcicollo».

«Vorrei ben vedere, è scomodo dormirci da soli, figurarsi in due» sbottò di rimando JK, riferendosi alle notti in cui lui e Taehyung avevano dormito sulla stessa brandina. 

Taehyung non sapeva perché JK dovesse per forza dormire con lui,  e chiederglielo non era stato granchè di aiuto perchè era stato messo a tacere con un laconico «Perché non sei morto per una coltellata, non credo sia il caso di morire per una fottuta caduta dal letto» a cui Taehyung aveva risposto con un'alzata di occhi al cielo.

Effettivamente, JK lo aveva svegliato appena in tempo per superare le mura del regno Jeon ed entrare nella città, svegliandola con lo scalpitio dei cavalli e il tintinnare delle armature. 

Come i cancelli del palazzo vennero spalancati, a Taehyung sembrò tanto che a spalancarsi fossero i cancelli dell'inferno. Inconsapevolmente, aveva portato la mano sull'avambraccio di JK per stringerlo forte mentre le budella gli si attorcigliavano dentro per la assoluta consapevolezza che il suo "colpo di testa" non sarebbe rimasto impunito.

Nel suo infernale mondo dorato, tutto aveva una conseguenza -soprattutto la disubbidienza nei confronti di un ordine emanato da re in persona. 

Non sperava troppo nella clemenza del destino, anche se innegabile era stata la fortuna che aveva accompagnato la sua spedizione. 

L'unica cosa che lo rincuorò almeno un pò, fu vedere Yoongi attenderlo davanti il portone d'ingresso del palazzo, in piedi e con una figura alle sue spalle che gli fece immediatamente arricciare il naso.

Hoseok.

Sinceramente, la faccia del dottore era ciò che gli fece crescere dentro una smisurata voglia di fare dietrofront e lasciarsi alle spalle quel palazzo degli incubi; infatti, palesò il suo più totale sgomento facendo un piccolo sbuffò che solo JK notò.

«Il dottore è sempre a cagare il cazzo. Seriamente, ma ce l'ha una vita?» ringhiò infastidito, accompagnando il tutto con un'occhiata gelida verso il medico.

Odiava almeno quanto Taehyung sentire addosso quello sguardo da "ti sto scrutando così posso riferire tutto al re" e infatti palesò il suo fastidio facendo fermare bruscamente il cavallo in modo che si alzasse un polverone sufficiente a far tossire il dottore -che fu costretto a rientrare dentro per il fastidio agli occhi.

Yoongi, spostatosi provvidenzialmente sul lato opposto, mascherò una risata dietro un colpo di tosse.

«JK» alzò gli occhi al cielo Taehyung.

«Principessa, alza un'altra volta gli occhi al cielo e mi assicurerò di darti un piacevole motivo per farlo» gli sussurrò JK, pizzicandogli il fianco per poi lasciarlo libero di muoversi. Taehyung scosse la testa e spostò con fare casuale il braccio di JK per poter scendere da cavallo, fulminando il principe con lo sguardo come questo gli aveva strizzato il culo con la scusa di aiutarlo nella manovra.

«Principe Taehyung, vostra altezza; sono sinceramente contento di rivedervi. Apprendere che nonostante vi siano stati diversi intoppi siate riusciti a ritornare a palazzo sani e salvi è una vera gioia» si inchinò Yoongi, indugiando per qualche attimo su Taehyung con sguardo sinceramente sollevato. 

JK diede un bacio sul muso al cavallo e gli carezzò il collo prima di affidarlo allo stalliere ed avanzare velocemente verso Taehyung e Yoongi che, notato il colorito non troppo salubre del principe, si era proteso per aiutarlo.

«Dov'è il re?» domandò con un'attitudine tutta nuova che fece sussultare Taehyung.

Nessun tono derisorio, nessun tono costernato, nessuna emozione a danzare nelle iridi scure:  freddo ed impassibile, la domanda era stata una vocalizzazione monocorde dei suoi doveri. Incontrare il re dopo una spedizione, infatti, era un obbligo.

«Mi duole informarvi che non è ancora rientrato dal suo viaggio di affari. Avrete modo di confrontarvi con lui quanto prima, vostra altezza. Posso però assicurarvi che i report spediti sono giunti tempestivamente e che sono stati esaminati con soddisfazione da sua Maestà».

JK scrollò le spalle e avvolse un braccio attorno alla vita di Taehyung, mentre questi portò il suo sulle spalle del principe con fare automatico.

Era diventata una sorta di abitudine quel gesto, poichè era l'unico modo che aveva Taehyung di muoversi e andare in giro senza rischiare che i punti gli si aprissero o che svenisse per i capogiri.

Non credeva che quella sorta di tregua sarebbe mai servita a qualcosa, ma se anche si fosse sbagliato, di passi insieme ne dovevano ancora fare e la strada da percorrere era fin troppo lunga e tortuosa per essere appianata in pochi giorni. 

Yoongi fece un'espressione completamente attonita e stupita davanti a quel comportamento ma non osò farlo notare neanche avesse paura che tutto svanisse come una bolla di sapone.

«Beh? Non avete altro da fare che guardarci?» quasi ringhiò JK, apprezzando poco e niente le occhiate incredule che la servitù gli stava rivolgendo. Neanche avesse uscito il cazzo in pubblica piazza.

«Vostra altezza, la vostra stanza matrimoniale è già stata preposta per il vostro arrivo, il medico di corte verrà a visitare il principe Taehyung e la servitù ha pronto per voi un bagno caldo e ristoratore» informò in consigliere, osservando con malcelato divertimento JK trasportare via Taehyung. 

«Puoi lasciarmi adesso, lo sai? So camminare da solo, il muro è sufficiente per reggermi». Soli nel corridoio che li avrebbe condotti alle loro stanze, Taehyung lanciò un'occhiata di sottecchi a JK, che schioccò la lingua sul palato dal disappunto. 

«Ormai siamo quasi arrivati».

Intercettò la direzione che stavano prendendo e puntò i piedi per terra, stringendo la spalla di JK per attirare la sua attenzione. «Portami nelle mie stanze JK, per favore». JK si arrestò e di conseguenza anche lui, quindi si guardarono per un attimo. Sul volto del principe un'espressione interdetta e poco incline a rispettare quella volontà.

«Perché? Hai sempre dormito nell'altra stanza, perché adesso vuoi andare nella tua?».

Taehyung fece un profondo respiro, a corto di pazienza. «Lo preferisco. JK, non chiedermi il perché di ogni cosa che faccio, ti costa così tanto fare ciò che ti chiedo senza doverlo contestare?» rispose con fare afflitto, la voce velata da esasperazione.

JK imprecò sottovoce contro di lui senza che l'altro capisse cosa avesse detto, ma come fece ingresso nella sua stanza fu quasi costretto a mandarlo via a calci per quanto scocciante fosse diventato la sua insistenza nel dormire nell'altra stanza.

Non capiva quell'insistenza nel voler per forza condividere la stanza e la cosa lo irritava, perchè non voleva che le speranze che JK avesse cambiato atteggiamento lo portassero a fidarsi ancora. JK gli aveva lasciato addosso un profondo disappunto ma la sua mente stanca, debole e spossata non si era minimamente accorta di quanto JK avesse faticato a non dissociarsi in quegli ultimi giorni al fine di riportarli quantomeno a palazzo.

Perchè adesso che tutto ritornava ad essere familiare, se Taehyung stava scivolando in un sonno profondo dopo un bagno ristoratore ed una visita medica...

Qualcun altro stava ritornando dopo tanto tempo con un unico pensiero a divorarlo.

Taehyung è morto.


















NDA:  Bentrovati! <3

JK 29enne? A quanto pare (ㆁωㆁ*)

Lui è più grande di Jungkook, ed il motivo per cui l'ho fatto più grande è molto semplice: nel momento in cui Jungkook "crea" JK, desidera che qualcuno di adulto -che sia un padre, un fratello maggiore, un amico o chiunque altro di familiare- lo salvi, quindi ecco che c'è JK, che è idealmente il suo hyung. 

Il discorso di Taehyung sul protettore è basato su una testimonianza di una donna affetta da DID, di mio c'è l'adattamento delle sue parole al contesto e l'interpretazione delle stesse, ma il concetto di base è il suo (metterei la fonte se non fosse che me la sono appuntata su un post it durante le mie ricerche prima di scrivere la storia :') ).

Da adesso in poi ci addentreremo in un'altra parte di storia, perchè con il ritorno a casa di Taehyung e JK si aprirà "idealmente" l'ultima parte di LMG -non fatevi ingannare dalla parola ultima perchè dobbiamo ancora fare un bel pò di strada :')

Grazie per aver letto/commentato e/o votato, ci vediamo martedì <3 <3







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