L'ultima settimana era stata una delle più difficili che avessi vissuto negli ultimi anni.
Mirko, il bambino con osteosarcoma, stava peggiorando notevolmente ed io ero ben consapevole che quella volta non c'è l'avremmo fatta.
Erano anni che quel bambino viveva dentro gli ospedali e avevamo fatto tutto il possibile per aiutarlo a sconfiggere ciò che ormai si era impossessato della sua vita, eppure ora sembrava aver vinto lui.
Negli ultimi giorni aveva avuto parecchi collassi con successiva rianimazione ma sia io che Marco, sapevamo che non potevamo continuare semplicemente a rianimarlo.
Avevo già alle spalle un turno di tre ore e mi sentivo psicologicamente distrutta, oltre che stanca fisicamente.
Passavo la maggior parte dei giorni qui in ospedale, tanto che avevo anche rinunciato al mio riposo settimanale per tenere sotto controllo Mirko, quando non ero in ospedale passavo la maggior parte del mio tempo con Niccolò.
Dopo il concerto non ci eravamo visti molto ma nonostante tutto sapevo che Niccolò lo capisse fin troppo bene, anche se lui faceva un lavoro che era praticamente l'opposto del mio.
Avevamo entrambi il massimo rispetto uno per il lavoro dell'altro, sapevamo quanto fosse importante ciò che stavamo facendo, anche se in maniera differente.
"E se provassimo con un pacemaker?" Io e Marco eravamo ancora una volta nel mio studio per valutare attentamente tutte le possibili opzioni che potessero tenere in vita Mirko.
"Il tumore è già in metastasi, se riuscisse a non rigettarlo nel migliore dei casi diventerebbe un vegetale" chiusi per un attimo gli occhi per la disperazione di quel momento, avevamo provato tutte le possibili opzioni e nulla sembrava più funzionare.
"Aspettare un trapianto di organi è da pazzi, non stiamo parlando di un rene, stiamo parlando di metà del suo corpo" io lo guardai sfinita, Marco mi stava riferendo esattamente ciò che sapeva eppure a me sembrava di non sapere più dove sbattere la testa.
"Pensi che non lo sappia? Ma non ho più idea di cosa fare" alzai leggermente la voce con Marco, ma fortunatamente lui non disse nulla capendo perfettamente la situazione. Il nostro cerca persone suono all'unisono, indicando soltanto la stanza numero 16, il che significava che Mirko stava avendo un nuovo collasso.
Uscimmo di corsa dall'ufficio correndo verso la sua camera, nella speranza di arrivare in tempo, speranza che però fu subito vana sin dal momento in cui arrivammo alla soglia della porta della camera e ci bloccammo li, sentendo quella fatidica frase, "ora del decesso, 11.42".
Marco rimase fermo sotto lo stipite della porta mentre io mi avvicinai a Mirko e accarezzai il suo dolce viso per poi uscire dalla stanza e accasciarmi sulla sedia, seguita poi dal biondo.
Mirko era arrivato all'ospedale di Milano più di tre anni fa, la situazione al tempo era abbastanza critica ma non impossibile.
Mi ero presa sulle spalle la salute di quel bambino sin da subito ed era grazie a lui se avevo conosciuto Marco.
Con il tempo avevo anche stretto un rapporto diverso con i genitori, in fondo non puoi dimenticare due volti che per più di tre anni ti supplicano di salvare la vita a suo figlio.
Ma stavolta non potevo farlo, non potevo fare promesse sapendo che non avrei potuto mantenerle, avrei soltanto dovuto guardarli negli occhi e dirgli che il loro piccolo bambino non c'era più e forse in pochi sarebbero riusciti a capire come ci si sentiva.
Mirko aveva combattuto con tutte le sue forze per tre anni, ricordo ancora quando sognava di fare il calciatore e invece ora il mondo aveva perso una piccola stella.
"Devo andare a parlare con i genitori" presi un enorme respiro deglutendo a fatica e queste erano soltanto le uniche parole che fuoriuscirono dalla mia bocca. Per un attimo tornarono alla mia memoria quei momenti in cui io ero al posto dei genitori, appena io e Niccolò avevamo perso Camilla.
"Sà, lo farò io tra poco" Io annuì mentre mi sedetti sulla sedia scoppiando poi a piangere. Sapevo quanto fosse sbagliato legarsi ad un paziente, ma con Mirko era stato inevitabile e in quel momento riuscivo soltanto a chiedermi che cosa avesse fatto quel povero bambino di sei anni per meritarsi tutto ciò che gli era capitato, che cosa avevano fatto i genitori per meritarsi di perdere un figlio così.
"Non è giusto, non meritava tutto ciò" iniziai a singhiozzare lentamente mentre delle lacrime scivolavano lungo il mio viso, che io mi apprestai ad asciugare.
"Non è mai giusto" lui si voltó verso di me e lentamente mi abbracció, stringendomi poi tra le sue braccia. Io mi lasciai andare sfogando tutto quel dolore nel suo abbraccio. Sapevo che non era Niccolò e mai lo sarebbe stato, quella sensazione di sentirmi a casa non l'avrei provata con nessun altro, eppure in quel momento un abbraccio era la cosa di cui avevo bisogno.
"Dottoressa, mi scusi.." Caterina, l'infermiera che era di turno in quel momento, mi richiamò all'attenzione, facendomi d'istinto staccare dalle braccia del biondo.
"Sara, sta male" Adriano era corso verso di me con Lorenzo in braccio, il bambino era completamente sudato e dagli occhi di Gaia e Adriano traspariva soltanto preoccupazione è paura. Gabriele, Priscilla e Niccolò li avevano accompagnato e anche loro non erano del tutto tranquillo, anche se dagli occhi del moro traspariva anche rabbia, ciò significava che mi aveva visto tra le braccia di Marco.
"Ragazzi state calmi, altrimenti non capisco nulla" appoggiai delicatamente la mano sulla fronte di Lorenzo notando quando in realtà fosse caldo. Gaia non riusciva a calmarsi nemmeno per un secondo mentre teneva la mano di suo figlio.
"Caterina, puoi accompagnarli in sala e provare la temperatura? Io arrivo tra un attimo" i ragazzi seguirono l'infermiera fino alla prima sala disponibile, anche se Niccolò rimase un po' indietro non riuscendo a staccare gli occhi da me.
Io mi voltai di nuovo verso Marco ringraziandolo sia per il fatto che, come mi aveva sempre detto, nel momento del bisogno in lui avrei sempre trovato una spalla su cui piangere, sia perché aveva capito la situazione offrendosi di andare lui a parlare con i genitori di Mirko.
"Che cazzo era quello?" Mi diressi verso la sala dove l'infermiera aveva fatto accomodare Lorenzo, raggiungendo Niccolò in pochi passi, che notai essere parecchio infastidito.
"Cosa?" Mi voltai verso di lui confusa anche se non potevo ben percepire il suo sguardo, dato che a causa della sua ipocondria non indossava soltanto gli occhiali da sole ma era parecchio imbacuccato.
"Eri ben stretta tra le sue braccia, o mi sbaglio?" lui si fermó sul posto prendendomi il polso, costringendo così anche me a fermarmi e guardarlo negli occhi, seppur coperti dagli occhiali da sole.
"Che film ti stai facendo? Non hai visto nulla" mi liberai dalla presa del moro che fece un ghigno nervoso. Sapevo che il discorso non era finito lì, quando Niccolò si metteva in testa una cosa ce ne voleva prima di convincerlo del contrario, ma sapevo anche che nella medicina ogni secondo era importante e io non potevo permettermi di fare anche solo uno sbaglio con Lorenzo, solo per delle paranoie di Niccolò.
Entrai nella stanza trovando i ragazzi, con ancora la preoccupazione dipinta sul volto, insieme al piccolo Lorenzo e all'infermiera, che soltanto in quel momento mi porse il termometro che segnava una temperatura di 39.8
"Ditemi che è successo" mi rivolsi maggiormente ad Adriano e Gaia, in quanto loro genitori, mentre gli altri tre ragazzi, compreso Niccolò, erano in disparte osservando ogni mio singolo movimento. Indossai i guanti mentre ascoltavo attentamente ogni singola parola che uscisse dalla bocca della mia migliore amica.
"È stato tre giorni dai nonni e oggi ci hanno chiamato che aveva la febbre alta e vomito. Continuava a dire che gli faceva male la pancia e abbiamo notato avesse un piccolo rigonfiamento a livello dell'ombelico" annuì semplicemente avvertendo poi i due ragazzi che avrei visitato Lorenzo, anche se il bambino non era molto propenso a farsi visitare, tanto che Adriano ci mise un po' a convincerlo. Non potevo dare diagnosi certe senza visitare il paziente, ma se la mia idea era giusta, tutto ciò non sarebbe piaciuto a nessuno.
"Caterina, puoi richiedere un consulto urgente dal dottor Cataldo?" Lei annuì per poi uscire dalla sala intenta a chiamare Marco. Probabilmente, e se non mi sbagliavo, Lorenzo avrebbe avuto bisogno di un intervento urgente e non potevo affidare la vita del piccolo ad una persona di cui non mi fidassi ciecamente.
Alzai la maglietta di Lorenzo vidi proprio quel piccolo rigonfiamento al livello dell'ombelico, di cui mi accennava la bionda.
"Sara, dimmi" proprio in quel momento nella sala vidi entrare Marco che si avvicinò al paziente. Notai dallo sguardo di Niccolò che non fosse del tutto contento della sua presenza, ma data la situazione fortunatamente riuscì a trattenersi. Io lentamente toccai quel piccolo rigonfiamento sentendolo fin troppo duro, così da avere la certezza che la mia diagnosi era certa.
"Febbre alta da tre giorni, ora ha 39.8 e vomito continuo" lui annuì semplicemente senza esporsi fin troppo. La situazione non era del tutto semplice e fortunatamente lui lasció parlare me con Gaia e Adriano, in fondo li conoscevo da una vita, sapevo un po' come prenderli anche se dire ad un genitore che tuo figlio sarebbe dovuto finire sotto i ferri non era mai semplice, nemmeno se erano i tuoi migliori amici. Marco uscì dalla stanza liquidandomi con un semplice "vado a prepararmi" mentre io pensai alle parole più giuste per usare con i due ragazzi.
"Non è niente di eccessivamente preoccupante. È un ernia ombelicale che si sta infiammando, la cosa negativa è che non esiste nessuna terapia farmacologica efficiente e dovremmo intervenire chirurgicamente" I ragazzi da un lato si tranquillizzarono ma dall'altro erano parecchi confusi dalle mie parole. In università ti insegnano qualsiasi cosa, o quasi, dalle procedure base per un l'intervento più semplice a quello più complesso. Eppure non ti dicono come parlare con un paziente, quello lo impari con l'esperienza, quando perdi un paziente, due, tre. Impari che in quel momento non ha importanza chi hai davanti, devi assumere un comportamento apatico, non devi farti coinvolgere e impari che non sempre le parole che pronunci possono essere ben comprese. E assumere un comportamento apatico davanti ai miei migliori amici non era per niente semplice.
"Che significa?" stavolta era stato Niccolò a prendere parola, esprimendo quel concetto che tutti i miei amici stavano pensando. Era palese che il moro fosse abbastanza teso per la situazione, non lo dava molto a vedere ma teneva a quel bambino allo stesso modo a cui teneva ad Adriano. Per un attimo decisi di uscire dai panni di dottoressa ed entrare in quella di amica.
"Che Lorenzo deve essere operato urgentemente, prima che peggiori" Gaia a quelle parole scoppiò a piangere di nuovo, mentre Adriano, non so se guidato dalla razionalità o dalla paura acconsentì subito. Io mi avvicinai lentamente alla mia migliore amica, conoscevo bene quella sensazione di paura per il proprio bambino che stava provando, presi le sue mani tra le mie, facendo in modo che lei alzò lo sguardo verso di me.
"Gà ascoltami, capisco benissimo la sensazione di paura che stai provando in questo momento. Ma è un intervento semplicissimo con rischi quasi inesistenti e purtroppo è necessario, non te lo avrei nemmeno detto se ci fosse stata un altra opzione" Gaia annuì anche se era ancora titubante all'idea che suo figlio sarebbe dovuto finire sotto i ferri. Adriano intanto si era avvicinato a Lorenzo, sussurandogli parole che era destinate a rimanere un loro segreto.
"Ti fidi di lui?" sentivo i suoi occhi perforarmi l'anima mentre traspariva soltanto speranza. non potevo non essere sincera con lei, sopratutto in quel momento in cui in gioco c'era la vita di suo figlio.
"Non ti parlo da medico, ti parlo da migliore amica. Non metterei mai la vita di Lorenzo nelle mani di qualcuno di cui non mi fido. So che a te non va a genio come persona, ma fidati di me quando ti dico che è il migliore nel suo campo'' Gaia fortunatamente si convinse e acconsentì, così Lorenzo venne preparato per l'intervento che si sarebbe tenuto da lì a pochi minuti.
Era stata una giornata pesante e sembrava non avere fine, dato che l'orologio indicava soltanto qualche minuto dopo le quindici. E in quel momento, avrei desiderato davvero qualcuno che mi insegnasse a sopravvivere a quelle giornate in ospedale.
Buonasera.
Capitolo un pò tragico ma ne avevo assolutamente bisogno per il seguito della storia.
Non sono molto esperta di tutto ciò che avviene all'interno dell'ospedale ne delle procedure per curare una qualsiasi malattia, quindi se ho sbagliato qualcosa chiedo scusa e se volete farmelo presente, lo correggerò subito.
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate del capitolo con un commento o una stellina, anche se il commento dovesse essere negativo.