THE LOVING ONE (BTS FanFictio...

By SilviaVancini

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Jimin ha ventidue anni e sogna di fare il cantante. Quando gli viene proposto di partire in tour coi J-EY, un... More

PRIMA DI COMINCIARE
ALL OUT OF LOVE
HUNGRY HEART
QUATTRO MENO UNO
BAFFI DA LATTE
BUCHI NELL'ACQUA
AREA FUMATORI
MIN YOONGI: L'INNAMORATO INCOMPRESO
UN METRO DI PIZZA
DALL'OBLO' DELLA CUCINA
IL NOME D'ARTE
IL BARBRA'S TALKING SHOW
BIRRA DELLA PACE
ITALIAN TIRAMISU'
LA ROUTINE
A BERE UNA COSA
TRENTOTTO E SETTE
JIMIN MANIA
BUDINO ALLA CREMA
SUPERMERCATO NOTTURNO
PERHAPS PERHAPS PERHAPS
BODY LANGUAGE
I FIDANZATINI D'AMERICA
IN TILT
FILADELFIA
L'ULTIMA DATA
DOLCEVITA GRIGIO
SOLISTA
HOUSE PARTY
BANSHEE
TENNESSEE
NEW LOVER - LATO A
NEW LOVER - LATO B
CLACSON
FRECCIA A DESTRA
CAPODANNO
MEZZANOTTE
EPILOGO
RINGRAZIAMENTI

GLI AMERICAN MUSIC AWARDS

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By SilviaVancini


Sei mesi dopo il mio ultimo concerto coi J-EY e tre mesi dopo l’uscita del mio album da solista, mi svegliai il ventotto febbraio del Duemilaventuno, in un albergo di Las Vegas, con un unico pensiero per la testa: quel giorno avrei rivisto Yoongi.

Era da settimane che mi preparavo psicologicamente al grande evento, ma nella mia immaginazione era ancora tutto molto surreale. Un incontro fra me e Yoongi sembrava qualcosa di fantascientifico, come se fossimo diventati i personaggi di due universi paralleli, per questo avevo passato i giorni precedenti a distrarmi, bello tranquillo. Poi arrivava la sera e la realizzazione mi investiva in pieno. Non riuscivo più a dormire e passavo la notte sul divano, a piangermi addosso. Sprecavo così tanto tempo ad evitare gli stessi locali di Yoongi, le strade di Filadelfia che frequentava più spesso e le zone vicine a casa sua, che essere improvvisamente costretto ad interagire con lui sembrava un’offesa alla mia buona volontà.

Anche se i J-EY non avessero vinto il premio come Miglior Band dell’anno, rischiavo comunque di imbattermi in Yoongi. Potevo incontrarlo durante il red carpet, dietro le quinte dello spettacolo o in platea, nei posti riservati alle celebrità… Dovevo stare attento anche ai fotografi. Alle riviste di gossip bastava che io Yoongi respirassimo nella stessa direzione per inventare un articolo. Non avevano pietà di me, se avessero immortalato degli sguardi più sentimentali del dovuto, potevo essere certo che l’indomani avrei trovato la mia faccia stampata sotto un titolo suggestivo. Ed io ci sarei stato male. Avrei letto ogni parola di ogni articolo ed avrei buttato le riviste, poi le avrei salvate dalla spazzatura per riguardare le foto.

Quando venne il pomeriggio, mi recai alla stanza d’albergo che mi aveva segnalato Gary. Lui, la mia truccatrice, la mia parrucchiera e la mia stylist avevano già preparato tutto il necessario per farmi bello e mi spedirono a fare una doccia fredda quando videro la mia faccia tirata.

Io mi lavai senza fretta. Sentivo le loro voci dall’altra parte della parete, ma lo scrosciare dell’acqua attutiva ogni cosa e i miei pensieri si misero a navigare fra i peggiori scenari possibili e dei ricordi così dolci che facevano male. Dopo qualche minuto non mi stavo nemmeno più insaponando, ero fermo sotto il getto con lo sguardo perso nel vuoto. Fu così che mi beccò Gary quando fece irruzione nel bagno. Bussò contro il vetro della doccia ed io mi spaventai a morte, oltre a diventare rosso di vergogna.

Fui vestito, truccato e pettinato, dopodiché salimmo tutti in macchina. Le mie guardie del corpo restarono impassibili davanti al mio outfit di Gucci, un trionfo di rosa antico e linee pulite, ed entro una manciata di minuti mi ritrovai a sfilare sul red carpet. Salutai qualche faccia familiare e risposi a un paio di domande, ma drizzai le orecchie quando arrivò l’ennesima limousine.

Era quella dei J-EY. Emmett Bay fu il primo ad uscirne e ci fu subito una cascata di flash. Non esitai un altro istante, mi congedai dalla giornalista che mi stava intervistando e mi allontanai il più velocemente possibile.

Pensavo di trovare un po’ di pace nel camerino che mi era stato riservato all’interno del Microsoft Theater, il teatro che ospitava gli American Music Awards, ma non fu così. Lo trovai pieno di fiori. I miei fan si erano accordati per farmi una sorpresa, ma io non potei fare a meno di sospirare quando vidi che tutti i biglietti erano dedicati “al ragazzo innamorato.”

Decisi, nonostante Gary fosse contrario, che non sarei andato a sedermi in platea. Pazienza se mi perdevo il primo grande spettacolo a cui ero stato invitato, sarei rimasto nel mio camerino finché non mi avrebbero chiamato per annunciare quella maledetta categoria. Era l’unico modo che avevo per tornare a casa con il cuore tutto di un pezzo e non volli cambiare idea.

Fu così che mi ritrovai da solo nel mio camerino per delle ore intere. Il tempo non passava più, ma ogni volta che lanciavo un’occhiata all’orologio, sembrava che i minuti stessero correndo troppo in fretta. Io non ero ancora pronto. Io non sarei mai stato pronto. Cominciai a camminare per la stanza e provai il discorso che avrei tenuto sul palcoscenico per annunciare la Miglior Band dell’anno. Serviva a calmarmi, ma più ripetevo le stesse frasi, più mi mangiavo le parole e mi innervosivo. Quando incrociai il mio sguardo allo specchio, mi guardai con un tale fastidio che mi tirai la bottiglietta che stavo usando come microfono. Mi sedetti su uno sgabello e mi presi la testa fra le mani.

Qualcuno bussò. Alzai la testa e fissai la porta come se dietro ci fosse la cosa di cui avevo più paura al mondo.

Bussarono di nuovo. A parlare fu una voce monotona che non conoscevo.

“Signor Park. Tocca a lei.”

“Eccomi.”

Scesi dallo sgabello e uscii dal camerino. Feci un sorriso di cortesia all’ometto che mi stava aspettando fuori dalla porta, un dipendente degli AMA con una cartellina sottobraccio, ma lui non era così lieto di fare la mia conoscenza. Iniziò a camminare di buona lena ed io gli andai dietro. Non controllava mai che lo stessi seguendo, si limitava a darmi delle istruzioni precise mentre comunicava i nostri spostamenti nel suo auricolare. La mia celebrità non lo metteva in soggezione, ma nemmeno il panico che avevo negli occhi lo spingeva ad essere un po’ più socievole.

Più ci avvicinavamo al palcoscenico, più la musica diventava forte. Riconoscevo la voce della cantante che si stava esibendo e realizzai con un brivido che, secondo la scaletta, dopo toccava a me. Il momento che avevo tanto temuto era arrivato. Cercai di fare un bel respiro, ma andai in apnea non appena smisi di concentrarmi sulla mia respirazione.

“Aspetta qui il tuo segnale.” mi disse l’ometto dello staff. Se ne andò ed io mi guardai intorno. Ero davanti all’entrata laterale del palcoscenico. Dalla platea non mi si vedeva, ma le luci colorate dei riflettori mi colpivano in pieno e avevo uno scorcio sullo spettacolo.

Il palcoscenico di quest’anno aveva un design accattivante. Il pavimento e lo sfondo erano interamente ricoperti di schermi, c’era una quantità spropositata di telecamere e gli schermi su cui leggere i testi che passava la regia erano troppo lontani, ma a mettermi in soggezione fu la vista del pubblico. La platea sotto al palco era riservata agli artisti, dei pezzi grossi a cui io potevo soltanto lucidare le scarpe, e dietro di loro c’era la gente vera e propria, ammassata nelle loro poltroncine mentre tifava, urlava e sventolava dei lightstick usa e getta.

L’esibizione della cantante finì. Ci fu uno scoppiettio di fuochi artificiali e il pubblico strillò mente lei e i suoi ballerini correvano in massa verso l’uscita del palco.

Il cuore iniziò a battermi all’impazzata. Un ragazzo dello staff venne a consegnarmi la busta con il nome del vincitore, una busta leggerissima che nelle mie mani pesava come un fardello, poi mi tenne per un gomito finché il palcoscenico non venne ripulito.

“Vai.” mi disse.

“Vado?”

“Vai.”

Andai.

I riflettori mi accecarono quando uscii allo scoperto. I fan iniziarono ad urlare non appena il mio profilo comparve sui grandi schermi e l’aria si riempì di: Jimiiiiiin!” “Jimin, ti amo!” “Jimin!”

Sorrisi e feci un cenno al pubblico. Le telecamere stavano seguendo ogni mio passo ed io continuai a camminare finché non raggiunsi il microfono che era stato preparato per me. Puntai lo sguardo nel punto più alto e lontano possibile, poi mi rigirai la busta del vincitore fra le mani.

Yoongi mi stava guardando. Non sapevo dov’era seduto, stavo evitando di guardare la platea apposta, ma ovunque lui fosse, i suoi occhi erano su di me.

“Eleggere la band migliore dell’anno non è mai stato così difficile.” dissi, chinandomi sul microfono. “Negli ultimi dodici mesi abbiamo conosciuto facce nuove e abbiamo assistito a dei grandi comeback, ma vi è stato chiesto di votare e ho qui il risultato finale. Questi sono gli artisti in gara.”

Negli schermi alle mie spalle partì l’elenco degli artisti nominati. Fra spezzoni di video musicali, effetti sonori che pompavano l’adrenalina e grafiche a caratteri cubitali, comparvero anche le facce dei J-EY. Le grida del pubblico diventarono ancora più forti ed io mi sentii strizzare il petto.

Il video terminò e sul Microsoft Theater calò il silenzio dell’attesa. Non so come feci a tenere la voce ferma. Le mani mi tremavano come se il risultato delle votazioni volesse uscire dalla busta di cattiveria.

“E il premio come Miglior Band dell’anno va a...”

Aprii la busta e ne tirai fuori un cartoncino. Dopo averlo letto, lo voltai verso le telecamere e deglutii.

“I J-EY.”

Il palcoscenico si riempì di colori e dalle casse venne sparato a tutto volume l’ultimo singolo dei J-EY. Il pubblico urlava, le celebrità in platea applaudivano, ma la mia attenzione venne calamitata dalle quattro sagome che si alzarono in piedi. I J-EY si strinsero in un abbraccio di gruppo, poi iniziarono a farsi largo per salire sul palcoscenico.

Io ero teso come una corda di violino. Per poco non caddi dallo spavento quando sentii una mano sulla schiena, ma bastò girarmi per trovarmi faccia a faccia con Barbra. Mi ero dimenticato il trofeo da consegnare alla band vincitrice e lei era venuta in mio soccorso. Era venuta in mio soccorso in tutti i sensi, restò alla mia destra finché non arrivarono i J-EY, continuando ad applaudire.

Il primo a salire sul palco fu Emmett Bay, ovviamente. Venne verso di noi con un sorriso enorme e baciò entrambe le guance di Barbra, poi baciò anche le mie. Io gli misi in mano il trofeo e lui si girò verso il pubblico, alzandolo al cielo.

Tyler venne subito dopo. Era una favola. Si era lasciato crescere i capelli per farsi le treccine e ora aveva una zazzera colorata che gli pendeva davanti agli occhi. Salutò Barbra, poi mi prese entrambe le mani e ci diede un bacio veloce prima di baciarmi anche le guance. Non potendo indugiare troppo, andò ad affiancare Emmett dopo avermi sorriso, ma io non ebbi il tempo di dispiacermi.

Simon mi assalì senza alcun preavviso. Non considerò minimamente Barbra, mi strinse fra le sue braccia muscolose e mi sollevò da terra come se fosse salito sul palco per rapirmi. Io risi e lui mi rifilò un bacio umido su una guancia, poi mi mise giù e raggiunse i suoi colleghi. Simon aveva spezzato la tensione che stavo accumulando da settimane, ma nel momento in cui mi lasciò solo tornai a sentire freddo.

Dopo Emmett, Tyler e Simon, c’era solo una persona che mancava all’appello. Una persona che era già salita sul palco e che stava salutando Barbra con due bacetti schizzinosi.

Dopo sei mesi che non lo vedevo, Yoongi non era più Yoongi.

Gli avevano tagliato i capelli. La frangetta era ancora al suo posto, ma il suo mullet anni ottanta era sparito e il suo collo era più delineato e sottile che mai. Indossava una giacca rossa e una quantità spropositata di orecchini, ma la cosa che me lo faceva sentire estraneo era il profumo che si era messo. Era pungente e il calore soffocante del Microsoft Theater non lo rendeva più piacevole.

Dov’era la pelle di Yoongi, dov’era l’odore di nicotina?

Non feci in tempo a chiederlo. Yoongi si voltò verso di me ed i miei occhi piombarono verso il basso. Mi dissi di sollevare la testa e di fingere, almeno per le telecamere, ma era più forte di me.

Parlami, fu il mio primo pensiero. Dimmi qualsiasi cosa. Insultami e iniziamo a litigare qui, davanti a tutti, rinfacciami quello che mi hai detto sin dall’inizio: non ti piacevo, non ti piaccio, non ti piacerò mai. Tanto vale dirmelo in faccia, no? Almeno mi metterei il cuore in pace. Smetterei di difenderti tutte le volte che qualcuno prova a difendermi da te.

Ma Yoongi non disse niente. Mi sorpassò senza nemmeno sfiorarmi e andò ad allinearsi a Tyler, Simon ed Emmett. Quest’ultimo tenne un discorso di ringraziamento a nome di tutti e quattro, poi baciò il trofeo e lo alzò al cielo per l’ultima volta.

I J-EY iniziarono a scendere la scalinata da cui erano saliti. Io continuai a guardarli, imbambolato, ma Barbra mi appoggiò una mano sul braccio e mi segnalò la mia uscita.

Così come mi ero agitato all’idea di rivedere Yoongi, ora mi disperai all’idea di separarmene. Mi voltai per lanciargli un’ultima occhiata, l’ultima per chissà quanto tempo, chissà quanti mesi, ma lui non se ne accorse. Tornò ad inoltrarsi nella platea e, una volta seduto, chiese subito ad Emmett di fargli vedere il trofeo.

Io mi sentii atterrito. Peggio che atterrito. Tornai nel mio camerino per prendere le cose che ci avevo lasciato e andarmene.

Era fatta. Era finita. Min Yoongi apparteneva ufficialmente al mio passato.

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