Lettere quasi mancate

By solicomeabologna

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Era un normale pomeriggio di metà Maggio quando Cesare ricevette la prima lettera. Poteva considerarla tale? ... More

Capitolo 1.
Capitolo 2.
Capitolo 3.
Capitolo 4.
Capitolo 5.
Capitolo 6.
Capitolo 7.
Capitolo 8.
Capitolo 9.
Capitolo 10.
Capitolo 12.

Capitolo 11.

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By solicomeabologna

Il treno macinava chilometri sotto il suo sguardo, mentre la campagna verde piemontese scorreva veloce.

Cesare appoggiò la testa contro il finestrino, mentre nelle sue cuffie New York dei Snow Patrol era al massimo volume.

"If you were here beside me, instead of in New York
If the curve of you was curved on me
I'd tell you that I loved you, before I even knew you
'Cause I loved the simple thought of you
If our hearts are never broken and there's no joy in the mending
There's so much this hurt can teach us both,
And there's distance and there's silence, your words have never left me,
They're the prayer that I say every day"

Si stupiva sempre del fatto che riuscisse a trovare la canzone perfetta per ogni momento della sua vita.

Se solo Chiara non fosse partita, avrebbero potuto iniziare un nuovo percorso insieme.

Allo stesso tempo però, come diceva la canzone, quel dolore, che entrambi avevano provato, gli aveva sicuramente insegnato qualcosa.
Erano cresciuti, erano persone diverse.
Chiara era, come lei gli aveva ripetuto più volte, diversa da prima che quel misterioso dolore la colpisse, così come Cesare era diverso da quando l'aveva incontrata.
Perché lei era stata gioia e dolore allo stesso tempo, e lui ormai aveva capito che questo non era qualcosa di negativo.

Il dolore faceva crescere, il dolore obbligava, forse con crudezza, a vedere le loro vite per quelle che erano, li aiutava a migliorare, a rialzarsi, a cambiare.

"The lone neon lights and the ache of the ocean,
And the fire that was starting to spark
I miss it all from the love to the lightning
And the lack of it snaps me in two
Just give me a sign, there's an end with a beginning
To the quiet chaos driving me back
The lone neon lights and the warmth of the ocean
And the fire that was starting to go out"

Erano passate solo due settimane, eppure, di Chiara, gli mancava ogni cosa.
Per questo non ci aveva pensato due volte a salire su quel treno, quella mattina stessa di inizio Marzo.
Ormai era quasi arrivato; l'ansia e la voglia di vederla lo stavano attanagliando.

Chiuse Spotify e arrotolò con cura le cuffie, mentre l'autoparlante del treno annunciava con la solita voce metallica pre registrata: "Prossima fermata, Torino".

Cesare si alzò, con una strana calma che pervadeva il corpo, ma non lo spirito, e tirò giù, dallo scomparto sopra il suo sedile, il suo zaino verde e arancio della North Face.

Se lo caricò in spalla, mentre il suo cuore iniziava a battere all'impazzata e sentiva il treno rallentare, ormai prossimo alla stazione.

Si spostò verso la porta scorrevole più vicina, insieme a tutte le persone rimasta sul treno: Torino era capolinea.

Davanti a lui un signore sulla cinquantina in giacca e cravatta controllava l'orologio.

Si, il treno era stranamente in orario: erano le 10:05 del 2 Marzo.
Si fermarono improvvisamente tutti: il treno, il cinquantenne davanti a lui e lui stesso, ma non il suo cuore.

Quello continuava a correre, come se volesse uscire da quel treno, ansioso di raggiungere qualcosa.

O qualcuno.

Le porte si aprirono e ogni rumore fu ovattato.
Il signore in giacca e cravatta raccolse da terra la sua valigetta ventiquattr'ore e scese, un gradino alla volta.

Fu il suo turno.
Respirò.
Mise la gamba destra sul primo scalino.
La sinistra sul secondo.
Gli occhi chiusi, nessun suono intorno a lui, come se stesse sbarcando su un altro pianeta.

Poi, improvvisamente, toccò terra e sentí abbaiare.
Non era familiare come quello di Chewbe, ma sicuro gli scaldava il cuore.

Aprí gli occhi esattamente due secondi prima di trovarsi travolto da Nala, che ormai non più piccola come qualche mese prima quando era appena stata adottata, si ergeva sulle zampe posteriori, appoggiandogli le anteriori sul petto e leccandogli la faccia, felice.

"Anche io sono felice di vederti Nala" Disse Cesare, abbracciandola.

"Nala, torna qui" Urlò una voce a Cesare familiare, una voce che sapeva di casa e che non sentiva da settimane.

Si girò di scatto e la vide, mentre si faceva largo tra delle persone sulla banchina della stazione.

Chiara, i soliti capelli ricci sparsi al vento, una sciarpa rossa al collo e una giacca color nocciola.
Era esattamente come la ricordava, anche se qualcosa nel suo sguardo, nei suoi gesti, era diverso.

Non appena i loro sguardi si intrecciarono per la prima volta dopo due settimane, lei inizialmente si fermò, immobile, ad ammirarlo.

Poi, di punto in bianco, si mise a correre verso di lui.

Nala, forse capendo le intenzioni della padrona, si spostò sulla destra nell'esatto momento in cui Chiara si lanciò su Cesare, abbracciandolo stretto.

Gli circondò la vita con le braccia e appoggiò il volto sull'incubo del suo collo, mentre calde lacrime le rigavano il viso.

"Ho avuto paura di aver rovinato tutto, paura che non saresti venuto" Disse, a bassa voce.

E Cesare la strinse forte a se, appoggiando il mento sulla sua testa.

"Ti seguirei in capo al mondo, sempre"

*

Stavano camminando mano nella mano da circa mezz'ora, senza dire una parola.
Erano usciti dalla stazione e Chiara si era ammutolita dopo aver detto: "Prima di spiegarti devo portarti in un posto".

Non aveva aggiunto altro, ma i suoi occhi erano sprofondati nel solito baratro e questa volta non solo quelli.

Era come se tutta se stessa stesse percorrendo un sentiero verso l'inferno, una strada buia senza ritorno.

Cesare non sapeva a cosa stessero andando incontro, eppure le strinse più forte la mano.
Sarebbe stato lì, al suo fianco.

Ad un certo punto, Chiara si fermò.
Avevano di fronte a loro un incrocio, lungo una delle vie più trafficate di Torino.
"Corso Francia" diceva il cartello davanti agli occhi di Cesare.

Lui stava già per chiedere a Chiara perché si fossero fermati lì, in quel punto, quando la vide osservare un mazzo di fiori bianchi, appesi sotto ad un semaforo lì vicino.

Si avvicinò, cauto, e solo allora notò una foto, tra i fiori.

Restò quasi paralizzato, e solo in quel momento, capì.

La foto raffigurava una ragazza identica a Chiara: stessi capelli ricci, stesso naso piccolo e dolce, stesse labbra.
Aveva soltanto gli occhi completamente diversi: non erano neri, come gli occhi che Cesare tanto amava, ma di un azzurro intenso, come il cielo.

Distolse lo sguardo dalla foto, troppi i significati che aveva, troppi per poter realizzare in un momento solo.

Guardò Chiara al suo fianco, quel nero incatenato in quell'azzurro lucente della foto.

"Si chiamava Elena, aveva la tua età"
Disse, questa volta ad alta voce, per sovrastare il rumore del traffico.

"Elena era mia sorella maggiore.
È morta due anni e mezzo va, il 25 di Ottobre: stavamo tornando a casa dopo aver visto un film al cinema insieme quando una macchina non ha rispettato il semaforo rosso e ci ha travolte in pieno.
A me non è successo nulla, nemmeno un graffio, per lei invece non c'è stato niente da fare".

E Cesare capì del tutto.

Capì perché era fuggita la settimana prima della sua laurea, non per il suo bacio, o almeno, non solo per quello: principalmente era l'anniversario della morte di sua sorella.
Capì perché era fuggita da Torino, senza volerci più tornare.
Capì il difficile rapporto con i genitori.
Capì la sua reazione dopo il mancato incidente con lui in auto.

Capì i suoi demoni ed il suo dolore.

Capì, finalmente.

Chiara accarezzò la foto, con delicatezza e un grande amore negli occhi lucidi.
Poi prese Cesare per mano e si voltò, andando via da quell'incrocio che le aveva segnato la vita.

                                          *

Camminarono per un'altra mezz'ora, in silenzio.
Cesare voleva trovare il momento giusto per parlare, per dire quello che pensava e che aveva da dire e sapeva che Chiara doveva trovare il posto giusto: il posto giusto per ascoltarlo, per essere libera dal dolore.

Si fermò davanti ad un piccolo condominio in una zona tranquilla di Torino.

In silenzio, prese le chiavi dalla borsa e se le rigirò in mano.

"Non entro qui dentro da più di due anni" Disse, alzando lo sguardo su Cesare.

"Era casa vostra?"
Chiese lui, prendendola per mano.

"Si; mia, dei miei genitori e di Elena. Io sono partita dopo il suo funerale e non ci ho più messo piede." Disse guardando il portone intensamente.

"I miei invece sono tornati da poco, prima di partire a fine Ottobre. Hanno preso le cose che volevano tenere di Elena e vogliono che io faccia lo stesso: hanno intenzione di vendere la casa" Continuò, inginocchiandosi vicino a Nala per grattarle la testa.

Cesare percepì tutto il dolore che quella ragazza provava, tutto il legame forte che l'aveva unita alla sorella maggiore.

"Non ho mai avuto alcun motivo per tornare, per rivivere tutto questo, per andare avanti. Mai, finché non ti ho trovato, mai finché non ho capito di amarti e di voler costruire qualcosa con te"

Cesare la prese per mano, dandole forza.

"Voglio cercare di superare tutto questo, sapendo che il dolore e la tristezza per averla persa non passeranno mai, ma tornando a vivere. Perché lei avrebbe voluto questo per me, mi avrebbe voluta felice."

Lui le accarezzò il viso, annuendo.

"Sono con te in ogni tua scelta. Sei forte Chiara, più forte di quanto tu possa pensare. Io capisco, ora capisco ogni cosa. Capisco i tuoi demoni, le tue paure, le tue ombre e tutta la tua luce e l'amore che emani. E posso dirtelo pienamente: sono fiero di te".
E Chiara, dopo quelle parole, mise la chiave nella serratura, facendola scattare, un passo più avanti verso la sua rinascita.

                                         *

Cesare era seduto sul letto della riccia, dalla trapunta color magenta, con Nala appisolata sulle sue gambe, da circa un'ora.

Aveva voluto lasciare a Chiara tutta la privacy di cui aveva bisogno, così l'aveva incoraggiata ma poi non era entrata nella stanza di Elena, com'era giusto che fosse.

Non voleva rovinare quel momento che doveva essere solo suo e di sua sorella, un ritorno nei ricordi più dolci e dolorosi allo stesso tempo.
Lui l'avrebbe aspettata lì fuori, orgoglioso di lei per avercela fatta e pronto a consolarla nel bisogno.

Si guardò intorno, notando quanto quella stanza, quasi del tutto vuota, raffigurasse una Chiara che lui non era riuscito a conoscere.
Lo capiva solo dai colori: rosa confetto e magenta, colori che mai avrebbe associato a Chiara.

Sulla scrivania però c'era un oggetto che indubbiamente apparteneva a lei: una vecchia macchina da scrivere.

Sorrise al pensiero di Chiara e Luce, la faccia diversa della stessa persona.

Si alzò, andando verso la scrivania, lasciando una Nala contrariata sul letto, quando vicino alla macchina da scrivere vide diverse pile di fogli, tutti scritti da cima a fondo.

Prese il primo blocco in mano e capì: erano pagine e pagine di poesie scritte da Chiara.
Probabilmente si perse nel leggerle, scoprendo quella che era la Chiara prima di quell'evento orribile che cambiasse la sua vita, scoprendo quella parte di lei che poche volte faceva vedere: quella più serena e felice.

Si riscosse solo quando sentì un tocco leggero sul braccio: al suo fianco Chiara aveva uno scatolone in mano e gli sorrideva.

"Hai trovato le mie poesie" Disse solo, sedendosi sul letto vicino a Nala, la scatola stretta tra le braccia.

"Già e sono bellissime: potresti portare a casa questa macchina da scrivere, non credi?"

Chiara sembrò pensarci molto, come se quell'oggetto le portasse alla mente svariati ricordi volutamente dimenticati.

"Si" Disse alla fine.
"Lo porto a Bologna, a casa"

Cesare sorrise al suono di quella frase è andò a sedersi vicino a Chiara.

"Sai, me l'ha regalata Elena. L'avevamo vista in un mercatino dell'usato e io me ne ero innamorata follemente: scrivere è sempre stata la mia più grande passione".

Disse, gli occhi che guardavano un passato lontano.

"Me la regalò per il nostro ultimo Natale passato insieme, facendomi promettere che avrei scritto qualcosa anche per lei. Se non ricordo male, tra quelle poesie, c'è ne una che parla dell'azzurro intenso dei suoi occhi: mi ha sempre affascinato perché erano forse l'unica cosa che io e lei avevamo di diverso"

Cesare la strinse forte a se, facendo aderire i loro corpi.

Restarono un po' in silenzio, poi, facendosi forza, Chiara tirò fuori dalla scatola che aveva portato con se dalla stanza di Elena, un piccolo raccoglitore pieno zeppo di fotografie analogiche, tutte in bianco e nero, e lo diede a Cesare.

Lui le guardò in silenzio, una ad una, ammirandole; erano bellissime, ma diverse dallo stile di Chiara.

"Le ha fatte lei" Disse Chiara, rispondendo alla sua domanda silenziosa.

"La fotografia era il suo hobby, non il mio. Quando è morta ho voluto portarla sempre con me, nell'unico modo che la rappresentasse di più.
Mi sono quindi informata, ho seguito dei corsi, e ho iniziato a scattare foto, tutte in bianco e nero, come faceva lei, per sentirla ancora con me. Per fare questo ho trascurato un po' la scrittura, forse anche perché non avevo altro da dire: nessuna parola poteva descrivere il mio dolore, le foto invece si.
Ho riniziare a scrivere con te, con Luce".

Mentre parlava, lasciando un segno indelebile nel cuore di Cesare, conscio di averla aiutata a ritrovare se stessa nel dolore, lui arrivò all'ultima sezione del raccoglitore, e notò subito che era piena zeppa di colori.

Guardò Chiara dubbioso, senza capire, ma la vide sorridere mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

"Elena usava i colori solo per me" Disse, la voce rotta da un singhiozzo.

Così Cesare guardò bene le foto e notò che in quelle era Chiara il soggetto.

Chiara che rideva mentre cucinava una torta, Chiara di spalle, Chiara con un cappello buffo in testa, Chiara con in mano un piccolo gatto completamente bianco.
Chiara, Chiara e solo Chiara.

Arrivò all'ultima pagina, dove trovò una foto delle due sorelle abbracciate, mentre sorridevano, i colori accesi e sotto una dedica.
La lesse, commuovendosi.

"Sarai sempre il più bel colore di tutta la mia vita. Buon compleanno Chiara, ti voglio bene, sono fiera di te, tua Elena".

Cesare appoggiò il raccoglitore, avvicinandosi alla ragazza ormai in lacrime.

Le prese le mani tra le sue e disse solo:

"Tua sorella è fiera di te, di quello che sei, e ti vuole bene"

Chiara annuì.

"Lo so, lo so.
Solo che mi manca, mi manca da impazzire"

Lui le asciugò una lacrima solitaria che le solcava il volto.

"Una volta Luce mi ha raccontato la storia del vento, di quello che il vento è per lei. Il vento le ricordava una persona cara".

Chiara, ancora una volta, annuì, guardandolo curiosa.

Era la prima volta che lui nominava Luce in sua presenza.

"Visto che tu e Luce siete la stessa persona la storia è la tua, giusto? Il vento ti ricorda Elena, quindi sai cosa dobbiamo fare ora, cosa devi fare prima di partire e lasciare questa città."

Chiara lasció sul letto la scatola, contenente tutti i ricordi della sua vita con sua sorella, prese per mano Cesare e decisa, lo portò verso delle scale, vicino all'ingresso, scale che Cesare scoprí portare al tetto.

Quando finalmenre uscirono una folata di vento li investí con forza e lui la vide sorridere.

Gli lasciò la mano e la vide camminare fino al parapetto e fermarsi, le braccia aperte, i capelli ricci smossi da un forte vento.
Restò in silenzio, dietro di lei, a guardarla, mentre il vento le portava via quelle lacrime di tristezza, lacrime che racchiudevano una vita che era finita, e la abbracciava, ricordandole invece ogni istante di quei momenti che, nonostante tutto, sarebbero vissuti per semrpe in lei.

Era un momento magico, un momento pieno di sentimento, e nessuno dei due seppe dire quanto durò.
Ma Cesare rimase lì, a guardarle le spalle, mentre dopo due anni Chiara affrontava i suoi demoni, li scacciava, abbracciando forte il ricordo di sua sorella, non più nella tristezza, ma in una felicità malinconica, di quello che era e non sara più, accettandolo.

Dopo un tempo indefinito, Chiara si girò a guardarlo, mentre il vento piano piano scemava.

"Grazie Cesare, grazie di avermi capita, grazie per avermi aspettata"
E detto questo gli prese il viso tra le mani, baciandolo delicatamente.

Non dissero altro mentre tornavano in casa, non dissero altro mentre Cesare scendeva le scale con la macchina da scrivere dentro ad uno scatolone con le infinite poesie della ragazza che amava e Chiara portava tra le mani l'altra scatola dei ricordi e il guinzaglio di Nala, non dissero altro nemmeno quando arrivarono in stazione, a pomeriggio inoltrato, pronti per tornare a Bologna, per tornare a casa insieme.

Cesare la strinse forte nel momento in cui misero piede sul treno e una folata di vento accarezzò ad entrambi il volto, come a salutarli, come ad incoraggiarli in questo nuovo cammino che avrebbero percorso insieme.

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