Lettere quasi mancate

Da solicomeabologna

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Era un normale pomeriggio di metà Maggio quando Cesare ricevette la prima lettera. Poteva considerarla tale? ... Altro

Capitolo 1.
Capitolo 2.
Capitolo 3.
Capitolo 4.
Capitolo 6.
Capitolo 7.
Capitolo 8.
Capitolo 9.
Capitolo 10.
Capitolo 11.
Capitolo 12.

Capitolo 5.

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Da solicomeabologna

Ringo Star era al massimo volume mentre tutti gli invitati si divertivano, sereni, un bicchiere in una mano e una tartina, delle patatine o un qualsiasi tipo di cibo nell'altra.

La festa procedeva bene: tutti sembravano divertisti, tra i drink, il cibo, la musica, la piscina e la compagnia.

Cesare era sereno, seduto su una sdraio davanti alla piscina del padre di Nelson, con indosso solo un costume rosso e una maglia nera a maniche corte che gli fasciava il petto.

Nonostante fosse il 5 Settembre, lì a Bologna, faceva ancora un gran caldo.
Non c'era più l'afa torrida di metà Agosto, non quel caldo che prosciugava.

Era un caldo diverso, più lieve, persistente ma non sfiancante.

Cesare bevette un sorso del suo drink, mentre vicino a lui Tonno e Nelson parlavano di qualcosa a lui non noto.

Era distratto.
Prese un altro sorso mentre si guardava intorno.

Non avevano invitato troppe persone: i regaz di space valley e rispettive ragazze, quelli dei rovere, i cugini di Nels e suoi, vecchi amici secolari di entrambi.
Poca gente ma buona e tutti si divertivano, contenti.

Dario si era appena lanciato in piscina, ridendo, mentre la musica era altissima. Dopotutto erano in piena campagna, la casa più vicina a circa un chilometro: la musica alta non avrebbe causato problemi.

"PISCINAAAA" Urló Nelson al suo fianco, alzandosi e prendendo in braccio Beatrice, pronto a lanciarsi in acqua.

Cesare si guardò bene in torno, sorseggiando ancora il suo drink, ormai quasi finito.
C'erano tutti, dal primo all'ultimo, tranne lei.
La stava cercando da un po', ormai era circa un'ora che l'aveva persa di vista.

"Entro un secondo" Disse a Tonno, mentre questo si levava la maglia, pronto per tuffarsi anche lui in piscina.

Annuì, con un sorriso e seguí l'esempio di Nelson.

Cesare si alzò, mettendosi le infradito e scompigliandosi i capelli.
Aveva bevuto, eppure si sentiva stranamente lucido, come se la sua mente lo obbligasse a non perdere la testa se non si fosse accertato che lei fosse al sicuro.

Che poi, perché era in ansia per lei? Perché non doveva essere al sicuro?

Entrò in cucina, cercando di mettere a tacere quella sensazione, e salì le scale, diretto verso le stanze del piano di sopra, sperando di trovarla lì.

Non dovette cercare molto: dalla prima stanza del corridoio usciva una fievole luce.

Si appoggiò allo stipite della porta, il cuore leggermente più sereno, vedendola lì, davanti ad uno specchio a muro, mentre si osservava.

Lei indossava un paio di pantaloncini corti di jeans e un cardigan bianco, da cui sotto si vedeva un costume colorato, di un giallo accesso.
Non si tranquillizzò del tutto però: il viso di lei non era sereno, anzi, era il contrario, molto tormentato.

Gli occhi erano due pozzi neri, un abisso oscuro, che mai aveva visto così profondo, intenso e senza via di ritorno.

In quel momento, da fuori, rimbombò una nuova canzone.
"Ad undici anni quando eri piccola
Aspettavi una lettera da Hogwarts
Per dimostrare a tutti i tuoi compagni che eri tu quella diversa da loro
Sì ma non arrivò
E la bimba più dolce pianse lacrime amare
A volte però
Sembra quasi tu sia ancora lì ad aspettare
E non so cosa, non so dove non so chi"

A ritmo di Antartide dei Pinguini Tattici Nucleari, la vide nel suo momento più intimo e delicato, nel suo momento più buio.

La mano destra di Chiara si posò sulla sua coscia destra, toccandola, l'abisso dei suoi occhi fissi su quel gesto.

La mano si spostò poi, piano piano, sulla pancia.
Arrivata, prese tra pollice e indice una porzione di pelle sotto l'ombelico e la schiacciò forte, con rabbia, mentre gli occhi neri diventavano lucidi.

Ripetè lo stesso gesto per le braccia, e a quel punto lacrime calde le solcarono il viso.

In quel momento molti tasselli delle ultime settimane andarono a posto: i pasti inesistenti, le merende saltate, le insalate per cena, addirittura il primo apputamente fatto nel pomeriggio invece che a pranzo per non mangiare fuori casa qualcosa che lei non potesse controllare.

L'abisso di Chiara diventò per Cesare meno buio, meno misterioso, ma molto più terrificante.

Il primo istinto fu quello di buttarsi su di lei, ricordarle quanto fosse bella, incredibile.

Ma qualcosa gli disse che quella non sarebbe stata la mossa migliore.
Probabilmente una reazione del genere l'avrebbe portata a chiudersi in se stessa.

Si schiarì la voce quindi, facendo prima dei rumori col piede, facendole credere che fosse appena arrivato.

"Sei pronta?" Disse, entrando in stanza, con un grande sorriso.

"Non so, devo proprio tuffarmi in piscina?" Disse lei, seria, dandogli le spalle, probabilmente per nascondere le lacrime.

"Non sai nuotare? Ti tengo io, non ti preoccupare" Disse Cesare, deciso a non intraprendere il discorso in quel momento, deciso a far sì che fosse lei a parlargliene quando sentirà l'arrivo del momento giusto.

"Ci sono acque più profonde in cui annegare" Disse girandosi verso di lui, gli occhi neri.

Cesare fece un passo in avanti, fino a che non si trovò vicinissimo a lei, così vicino da sentire il suo profumo delicato alla lavanda.
Le sfiorò i capelli con le dita, leggermente.

"Per fortuna che sono un gran nuotatore allora" Disse lui, a bassa voce, guardandola dritto negli occhi.

Vide quell' abissò farsi meno tetro, meno profondo.
Chiara sorrise, abbracciandolo, la testa appoggiata al petto di lui.

E Cesare si stupì di quel gesto fatto da lei, sempre così attenta al contatto fisico, quasi terrorizzata di bruciarsi come se lui fosse fatto di fuoco incandescente.

In quel momento la paura era stata completamente dimenticata.
Lo stringeva forte, un piccolo sorriso sul volto.

"Andiamo" Disse poi staccandosi dall'abbraccio e trascinandolo giù, verso la piscina.
Intanto, mentre scendevano le scale, Antartide stava finendo, rimandando quella strofa e l'ultimo ritornello, che Cesare sentì così vero e giusto per quella ragazza dai capelli ricci che gli teneva la mano.
"E pagheresti tutti i tuoi giorni di sole per un singolo giorno di pioggia
Ai ai ai ai
Ma giuri che tra un po' te ne andrai
Ai ai ai ai
Alla fine però non lo fai mai
Ai ai ai ai
Provo a rompere il ghiaccio con te
Ai ai ai ai
Lo sanno che tu sei l'Antartide".

                                          *

Sarebbe potuta finire decisamente meglio.
Cesare si mise una mano nei capelli, mentre si sedeva su una sdraio a bordo piscina, Nicolas e Dario al suo fianco, una fetta della sua torta in mano.

Chiara era in piscina, intenta a compiere una gara di schizzi d'acqua sulle spalle di Tonno, mentre combattevano contro Nelson e Bea, Paga e Stiva.
Era finalmente in costume: dopo quasi un'ora da quando era scesa con lui aveva trovato il coraggio di abbandonare i vestiti a bordo piscina e far vedere quel corpo che tanto odiava .

Peccato però che il coraggio non lo trovò in se stessa.

All'inizio Cesare l'aveva osservata; parlava con Beatrice e Martina, guardandosi in torno, tenendosi una mano sulla coscia, stringendo forte, quasi come per restare ancorata alla realtà, timorosa di quello che di lì a poco avrebbe dovuto fare.

Beatrice infatti era già in costume, Martina anche: era consapevole che di lì a poco le avrebbero chiesto di farsi un tuffo in piscina con loro.

Ogni tanto il loro sguardo si intrecciava e le rivolgeva un piccolo sorriso, per farla sentire al sicuro, protetta.
Lei sorrideva piano, un sorriso che non si estendeva del tutto agli occhi.

E poi, Martina, di punto in bianco, si tuffò e Beatrice la seguì a ruota.

"Vieni Chiara, l'acqua e calda, si sta bene".
Cesare lo vide subito il panico irradiarsi in lei: non era ancora pronta.

Si guardò in giro, persa e disperata, fino a quando dietro di lei non vide il tavolo su cui vi erano appoggiati dei drink.

Si avvicinò, sicura, e tutto d'un fiato finì il primo bicchiere che Matteo, cugino di Cesare, le mise in mano: poi si buttò in piscina.

A quel drink ne seguirono altri due, portatori di grande audacia e coraggio in Chiara.
Non si preoccupava più del suo fisico, di come poteva apparire agli altri: si divertiva, rideva, scherzava, davanti a tutti, senza ansie o timori.

A Cesare quella scena un po' faceva male al cuore; avrebbe tanto voluto che quel coraggio lo trovasse in se stessa, non subito ovviamente, con lavoro e tenacia.
Era certo che non si potesse risolvere in così poco tempo, ma per Chiara voleva il meglio, ed era certo che questo non lo fosse, anzi, l'avrebbe resa meno sicura nei confronti di se stessa.

"Ha fatto delle foto bellissime ieri sai?" Disse Nicolas, con un sorriso, guardando Chiara.

Cesare annuì, non levandole gli occhi di dosso.

"Mi ha fatto vedere degli album di foto analogiche fatte da lei che tiene a casa sua: amo il suo modo di fotografare, è particolare" Disse.

"È fragile vero?" Chiese Nicolas, mangiando l'ultimo boccone di torta.

"In che senso?"

"Lo vedo dal suo modo di fotografare, dalla scelta dei soggetti, dall'inclinazione della camera: sempre delicata, silente, sceglie soggetti che sembra non abbiano niente da dire e invece, nelle sue foto, raccontano storie mai sentite prima" Spiegò, a bassa voce.

"È profonda, estremamente riflessiva. Le sue foto mi lasciano sempre una grande malinconia, come se guardassi un abisso che mai finisce. È strano da una ragazza che sembra così estroversa"

Cesare sorrise, sconsolato.

"Anche a me fa quell'effetto l'abisso dei suoi occhi" Pensò.

"Si è offerta di fare qualche foto per il mio prossimo articolo per Vanity Fair" Disse Dario, all'improvviso.

Nicolas sorrise sincero.

"Sarà perfetto per il tuo tipo di scrittura"
Dario annuì, pensieroso .

"Mi ha detto che le piace scrivere" Continuò.

"Sarebbe interessante leggere qualcosa di suo, scavare un po' più a fondo rispetto alla superficie che lei fa vedere: credo ci siamo molto altro"

"A chi lo dici, Dario" Pensò Cesare, mentre Chiara scoppiava a ridere, tuffandosi dalle spalle di Tonno in acqua.

                                         *

"Un brindisi a noi" Disse Nelson, un bicchiere di spumante in mano.

"Un brindisi ai festeggiati" Urló Tonno di rimando.

Tutti, i capelli completamente fradici dopo i tuffi in piscina, alzarono i bicchieri al cielo, brindando.

Cesare tutto sommato era felice; stava festeggiando il suo compleanno con le persone che più amava e davvero, poteva bastare.
Per quella sera, bastava e il suo cuore era felice.

La musica venne fatta ripartire da Frank subito dopo il brindisi e immediatamente la vide che gli sorrideva: i capelli umidi, un grande sorriso sulle labbra.
Indossava solo il cardigan bianco, i pantaloncini ormai abbandonati chissà dove a bordo piscina.

Chiara gli si avvicinò, sorridendo.

"Balliamo?" Gli chiese, mentre in sottofondo "I Will Wait" dei Mumford & Sons, rimbombava forte nella natura che li circondava.

Cesare sorrise, ormai leggermente brillo anche lui, e le fece un piccolo inchino.

"Con piacere".

Le prese la mano destra e la portò un po' più lontano, sull'erba.
Era come se i loro piedi nudi, a contatto con l'erba verde e soffice, fossero sospesi nel nulla, come se fluttuassero.

Le strinse piano il fianco sinistro e lei tremò leggermente, ma questa volta non si allontanò e non fu pervasa dal solito buio che la allontanava.

Sorrise imbarazzata a Cesare, non allontanandosi di un passo.

Lui le fece fare una giravolta, il cuore in pace, ogni pensiero negativo allontanato.

In quel momento esistevano solo loro.
Non c'era l'abisso di Chiara, non c'erano le sue paure, non c'erano i timori di Cesare.

Erano solo loro: due anime unite da qualcosa di indescrivibile che danzavano a piedi nudi su una soffice e delicata erba verde.

"And I'll kneel down
Wait for now
I'll kneel down
Know my ground
Raise my hands
Paint my spirit gold
And bow my head
Keep my heart slow
'Cause I will wait, I will wait for you
And I will wait, I will wait for you
And I will wait, I will wait for you
And I will wait, I will wait for you"

Inciamparono poi, alla fine della canzone.

Chiara si aggrappò forte, come se Cesare potesse salvarla da ogni dolore e ogni male, ed insieme, caddero a terra, lei sopra di lui.

Restarono così, immobili per qualche secondo, gli occhi di lei limpidi come mai il ragazzo li avesse visti.
Poi Chiara sorrise e si spostò di lato, mettendosi anche a lei a terra, lasciando però la testa sul petto di Cesare.

"Possiamo rimanere così per sempre?" Chiese, quasi in un sussurro, come se si vergognasse di quel desiderio.

Il cuore di lui batteva forte, pieno di felicità.

"Sarebbe perfetto" Disse, iniziando ad accarezzarle i capelli.

Lei non disse più niente, ma piano piano il suo respiro divenne sempre più regolare, il suo cuore sempre più tranquillo e ritmico, finché non si addormentò serena, ogni traccia di negatività ormai allontanata.
Cesare non smise di accarezzarle i ricci che tanto adorava, l'animo in pace, come se avesse trovato finalmente il posto in cui essere se stesso.

La luna, sopra di loro, era piena, grande, di un giallo intenso, quasi arancione.

Sorrise, tirando fuori il telefono dalla tasca destra del costume.

"Pensi mai che la Luna ci guardi?
E se lo fa, ci giudica o avvera i nostri sogni?
Un abbraccio,
Luce, fiera di te"

Rilesse la mail che Luce, si, ormai la sua sconosciuta aveva accettato di farsi chiamare in quel modo, gli aveva mandato quella sera, poco prima della festa.

"Non so se avvera i nostri sogni, ma sicuro non ci giudica. Al massimo ci osserva, misteriosa e silenziosa, custodendo i nostri sogni e segreti più profondi.
Che la Luna ti accompagni stanotte piccola Luce.
Un abbraccio,
Cesare, fiero di te"

Dopo averle risposto, sorrise, mettendo via il telefono e guardando ancora una volta la luna, sopra lui e Chiara, un semplice satellite che continuava ad accompagnare la sua storia con quella ragazza, come se non volesse perdersi ogni momento delle loro vicende dal primo incontro a quella sera particolare.

Cesare alzò leggermente il collo, portandosi in avanti e dando un bacio sulla fronte di Chiara, ormai completamente addormentata.

Il profumo di lavanda gli invase le narici, inebriandogli il cuore.

Stava bene, in quel attimo di tempo, lì, su quel prato con Chiara sotto la luna, stava bene.
E per una sera quello poteva bastare; i problemi riposti in un angolo lontano della mente, celati forse dalla stessa luna che, in gran segreto, voleva proteggere quell'amore che piano piano stava sbocciando.

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