Come il canto della Sirena

By L3luccia

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~IN CORSO~ *Tutti i diritti riservati* (Certificazione Patamu) 🔞 vietato ai minori. "Possono due melodie op... More

Prologo
2. Puoi farcela

1. Caratteristici

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By L3luccia

«No, no, no!», sbatto un pugno sul volante della mia macchina e poi, sospirando di sconforto, ci appoggio sopra la fronte.

Perché Dio si ostina ad odiarmi tanto? Proprio oggi doveva far morire il mio unico mezzo di trasporto?

Rigiro la chiave: una, due, tre volte. Niente. Il motore è morto.
«Accidenti», mordo il labbro inferiore e prendo la borsa sul sedile accanto per chiamare un taxi.
Devo raggiungere Kelly. Ormai sarà già arrivata e se le dò buca, un'altra volta, come minimo mi uccide.

La conosco fin dai tempi dell'asilo ed è l'unica, oltre al nostro amico comune Lee Burns, a sopportare la mia fobia di non voler socializzare con le persone.
Perché sì, io non amo le feste, mi prende il panico stare in mezzo alla folla e, se potessi, eviterei pure di uscire di casa.

Sono una noia, lo so, ma inspiegabilmente lei mi vuole bene e quindi il fatto che riesco ad arrivare al locale solo quindici minuti dopo, non dovrebbe alterarla più di tanto.
O almeno credo.

Perciò, annaspando, spalanco la porta a vetri del Jhonny's, e cerco subito la mia amica tra i tavoli.

Il locale è in stile anni cinquanta con divanetti in pelle, quadri di Cadillac appesi su tutti muri, e un jukebox autentico dell'epoca. È un luogo molto in voga tra i giovani e per noi è come una seconda casa, tanto che ogni volta il proprietario - per l'appunto Jhonny - implora la mia amica di uscire con suo nipote: lei rifiuta sistematicamente, lui cerca di corromperla con il cibo.

Tutte le fortune alle altre, insomma.

Finalmente intravedo la chioma castana di Kelly, sicché mi sistemo meglio il vestito grigio sulle gambe e ticchetto fino al tavolo in fondo.

Ho una specie di ossessione per gli abiti. Li adoro, però essendo alta fatico a trovarne uno con la gonna abbastanza lunga da coprirmi il sedere come si deve.

«Sei in ritardo», dice lei, non appena mi butto a peso morto sul divanetto.
«Lo so», esalo, «La macchina mi ha abbandonata».
«Di nuovo», ribatte piccata.
«Oh, dai, è successo solo tre volte», mi difendo.
«In due mesi», ci tiene a precisare, trafficando con il suo preziosissimo telefono nuovo.

I capelli mossi fino alle spalle le ricadono in avanti, e resto ad osservare come la sua bocca a forma di cuore, con tanto di neo all'angolo, si arricci nervosamente; ha un trucco impeccabile, davvero, e il colore verde chiaro della sua camicetta contrasta nettamente la sua pelle olivastra.

Kelly sembra a tutti gli effetti una bambolina, ma posso assicurare che il suo carattere turbolento è meno grazioso.

«Dolcezza, te lo devo dire, sei l'unica ragazza di ventitré anni che vive Miami e che guida un'auto decisamente fuori moda», posa il cellulare sul tavolo e punta i suoi occhi blu nei miei.

«Ehi, la mia macchina è vintage!», esclamo, difendendo la povera vettura decennale.
«È un rottame, fidati, devi cambiarla», mi rimbecca, afferrando il menù.
«In questo momento non posso», alzo una mano per salutare Jhonny e lui mi ricambia con un sorriso; poi lancia un'occhiata alla mia amica e le strizza l'occhio indicandole le patatine.
Kelly, di tutta risposta, ticchetta l'indice.

Ordinato dei frullati, io alla vaniglia e la bruna alla fragola, dopodiché lei si alza per andare alla toilette e così, rimasta da sola, mi sfilo la giacchetta di jeans e guardo fuori dalla vetrina.

Le persone passeggiano tranquillamente sui marciapiedi, godendosi questa splendida giornata soleggiata di fine Giugno; c'è chi corre in spiaggia, chi a fare shopping e ammetto che se non fosse per il mio portafogli vuoto, anche io mi concederei la gioia di qualche spesuccia.

Specialmente se si tratta di scarpe, quelle non bastano mai.

Così tamburello le dita sul tavolo e canticchio la canzone "Bad day" di Daniel Powter, che risuona dal jukebox.
Dovrei cercare un lavoro serio, uno che mi permetta di mettere dei soldi da parte e smettere di pesare sulle spalle di zia Lisa.

«A cosa pensi?», Kelly riprende il suo posto, quindi dirotto la mia attenzione su di lei e arriccio il naso.
«Se trovassi un altro impiego da fare nel fine settimana? Dopotutto, in quei giorni sono sempre libera e passo il tempo ad annoiarmi».
«Un altro? Ma non è troppo?», si acciglia.

«Forse, ma dei soldi in più mi farebbero comodo, soprattutto quando porterò la macchina dal meccanico», e nel dirlo sento una fitta al cuore.

Dovrò vendermi un rene, sicuro.

«E sai già da dove cominciare a cercare?», domanda lei, appoggiando una mano sotto al mento.
«No», sospiro, «non ne ho la minima idea».
«Hai provato a chiedere a tuo padre?».
«Sei pazza?», scuoto la testa in senso di diniego. Significherebbe doverci parlare e non voglio.
«Ma così non potrai uscire!», ribatte lei, imbronciandosi.

Perché, di norma lo faccio?

«Cambiamo discorso», borbotto, «al telefono hai detto che dovevi dirmi una cosa importante», infilo in bocca la cannuccia, e non mi sfugge il luccichio che compare nei i suoi occhi.
«Un uccellino mi ha riferito che Josh Donovan è tornato sul mercato», cantilena.

«C-Che cosa?», mi strozzo con il frullato.

«Hai capito bene. Lui e Jenny Lart hanno rotto dopo sole due settimane. Sarà la decima ragazza che lascia nel giro di pochi mesi, giusto?»

«Sei», ringhio, «Sono sei», poi afferro un fazzoletto e ripulisco sia la mia faccia, che il tavolo.

Josh Donovan era il capitano di basket del mio college e da queste parti si è procurato una certa notorietà, portando la sua squadra a vincere il campionato scolastico. Ora lavora con il padre nella concessionaria di famiglia e dando sfoggio dei suoi capelli castani, occhi ambrati e un sorriso da mozzare il fiato, attira parecchia clientela femminile.

Diciamo che è un ragazzo molto ambito... In pratica sbavano tutte.
Pure io.

«Ancora non capisco perché te lo sei lasciato scappare... Ti ha persino chiesto di uscire», dice, ricordandomi l'ultimo favoloso periodo di studio.

Stressante, a dire il vero.

«Non mi ha chiesto di uscire. Solo di aiutarlo con l'esame di chimica», preciso, portandola a sbuffare.

«E allora? Era pur sempre un'occasione d'oro».
«Sì. Certo», borbotto. La verità è che Josh mi piace molto, tuttavia non abbastanza da superare le mie fobie.

Ma all'epoca ancora non lo sapevo, quindi quando siamo rimasti da soli, in biblioteca, per me è stato un vero inferno: ho cominciato a sudare, balbettavo, addirittura mi era venuto un tic all'occhio. Perciò, davanti alla faccia stranita di Josh - che oltretutto mi guardava come se fossi fuggita da un ospedale psichiatrico - mi sono sentita a disagio. Dunque ho radunato tutte le mie cose in fretta e furia, e sono scappata a gambe elevate lasciandolo lì.

Eccessivo? Sicuramente.
Imbarazzante? Oltremodo.
Lo rifarei? Mai.

Da allora ho deciso di evitarlo, optando per un'alternativa più sicura: lo spio.
Controllo tutti i suoi spostamenti sui social, cosa mangia, e persino le serie tv che preferisce. Ogni tanto trasgredisco nascondendomi sotto le tribune del campo da basket, dove lui è solito fare delle partitelle con gli amici, ma è tutto qui, lo giuro.

«Con Lee non hai problemi, ed è un bel ragazzo come lui», mi fa notare, svuotando il suo bicchiere.

«Lee è mio amico, Josh no», mugugno.

«Oh, Santo Faustino!», Kelly ruota gli occhi al cielo, «guarda che se continui a comportarti così, non perderai mai la verginità».

«Kelly!», dilato le pupille, la faccia in fiamme.
«Cosa?», fa spallucce, con quell'aria fintamente innocente.
«Smettila», la intimo, assottigliando gli occhi. Odio quando fa così.

E poi che male c'è ad essere ancora vergine, scusa?

«E tu finiscila di essere così testarda. Rimarrai zitella».
«Ci risiamo...», mi distendo sul divanetto e passo le mani sul viso, esasperata.

È da ben tre anni che cerca di trovarmi un ragazzo, ma non ha ancora capito che il problema è un altro: nessuno cerca la sottoscritta.
Una volta ha persino proposto ad un ragazzo di flirtare con me in cambio di soldi, e se non fosse intervenuto Lee, sarei riuscita a strangolata con le mie stesse mani.

«Sì, ci risiamo, perché sono tua amica e ti voglio bene. Non puoi continuare ad allontanare tutti».
«Io non allontano tutti».
«Lo fai, Mimi. Lo fai», ribatte dura.

Incollo le labbra in una linea retta: «Non ho bisogno di un fidanzato, Kelly», ribadisco, «e poi ho già te che mi stressi tutti i giorni».
«Ma se sono la tua preferita».
«A dire il vero, il mio preferito è Lee», e sorrido, beffarda, davanti alla sua bocca spalancata.

«Come puoi ferirmi così? Sei insensibile!», preme una mano sul petto, oltragiata e offesa. Ma so benissimo che questa scenetta è solo il frutto del suo amato corso di teatro. Lo frequenta da qualche mese e spera, prima o poi, di sfondare nel mondo del cinema.

«Esatto. Ho un cuore di ghiaccio», dico con fierezza e lei schiocca la lingua sotto al palato.
«Troverò il modo di scioglierlo», mi sfida, «A proposito, ti ricordi di Martin?».
«Chi, il tuo vicino?»
«No. Quel ragazzo biondo che segue il mio corso di pilates».

Ah, dimenticavo... c'è pure il corso di pilates.

«Vagamente», e così mentre Kelly esalta le qualità dell'ennesimo tizio che vuole farmi conoscere, fingo di ascoltarla e annuisco di tanto in tanto. Gioco con i ciondoli del braccialetto che ho al polso, e quando i miei occhi verdi incrociano il tatuaggio inchiostrato sotto la mia epidermide, un moto di malinconia prende il sopravvento.

Perché quel dolore c'è sempre, nascosto in una remota parte del mio cuore.
Ma c'è, e alle volte torna a bussare, graffiandomi l'anima e sbattendomi in faccia la realtà delle cose.

"Dimentica, Michelle".

Deglutisco, a fatica, e sfioro delicatamente quella chiave di Violino, tributo di un amore che non tornerà mai indietro.

«Terra chiama Mimi. Mi stai ascoltando?», Kelly schiocca le dita davanti al mio viso, inducendomi a sbattere le ciglia e sollevare il mento.

«Scusami, stavi dicendo?».
«Che devi cominciare ad uscire», continua, «insomma... non puoi smettere di vivere e chiuderti in casa».

«Smettere di vivere?», arriccio amaramente la bocca, «Io, starei smettendo di vivere?», mi indico.

Lei sgrana le palpebre, rendendosi conto ora delle sue parole: «No, aspetta, mi sono espressa male!», allunga in fretta una mano e quest'ultima si posa sulla mia; sussulto e boccheggio, sicché Kelly la ritrae immediatamente.

«P-Perdonami...», balbetta, «lo sai che spesso non collego la bocca al cervello», si agita, con occhi colmi di dispiacere.

Un altro mio problema sono i contatti fisici... Non ci riesco, nemmeno un abbraccio o un bacio sulla guancia. Il mio corpo lo recepisce come una sorta di fastidio, perciò tendo ad evitarli più che posso, persino con zia Lisa. Ed è più forte di me, ragione per cui in questo momento mi sento uno schifo perché, sotto sotto, io qualche abbraccio dalle persone che mi stanno accanto lo vorrei veramente.

«No, scusami tu. Ho reagito male per niente».
«Sono una scema», si schiaffeggia la fronte.
«Lo so, ma manterrò il segreto, promesso», cerco di sdrammatizzare e accenno un sorriso per farle capire che è tutto a posto.

«'fanculo, Mimi», alza il dito medio, sicché alzo gli occhi al cielo e mi lascio sfuggire una risata.

Il nostro rapporto è così: amore et odio.

«Ricordi quando mi hai dato questo soprannome?».
«Sì», annuisce, «Eravamo all'asilo e non riuscivo a pronunciarlo bene. È stato più semplice abbreviarlo»
«Credo di non avertelo mai detto, ma mi piace. Ormai lo usano tutti», constato.
«Meglio, no?».
Annuisco: «Solo mio padre usa ancora Michelle, ed è una cosa che mi dà sui nervi», faccio una smorfia.

«È per questo, che devi concentrare tutte le tue energie su qualcosa di più rilassante... tipo Josh, per esempio», la butta lì.

«Ancora con questa storia? No», sbuffo rimettendomi composta.

«Dai, fallo per me!», implora, sporgendo il labbro inferiore.

«Tanto, anche se volessi, non potrei contattarlo. Non ho nemmeno il suo numero», mi stringo nelle spalle, arrampicandomi sugli specchi.

«Puoi sempre cercarlo sui social, oppure...», si blocca, così, di colpo.

«Oppure?», inarco un sopracciglio, visibilmente confusa.

«Voltati», un sorriso diabolico aleggia sul suo viso e nell'istante in cui mi giro, seguendo la sua traiettoria, la mia mandibola si schianta al suolo.

Avete presente il detto: quando si parla del diavolo? Ecco.

Josh Donovan è fermo davanti all'entrata; su una spalla porta un borsone e i capelli castani sembrano umidi, come se si fosse appena uscito dalla doccia. La tuta blu di una famosa marca fascia il suo corpo e sorride raggiante mentre si dirige a grandi passi, proprio nella nostra direzione.

Perbacco!

«Se questo non è un segno del destino...», dice Kelly, ridacchiando. Boccheggio, sono nel panico, dunque decido di infilarmi come un razzo sotto al tavolo, per sfuggire alla sua vista.

«Ma che ci fa qui? A quest'ora dovrebbe essere al campo da basket», mi agito.

«Sai quando fa gli allenamenti?», Kelly abbassa la testa e mi guarda come se fossi una squilibrata mentale.

«No, certo che no!», mento. La verità è che sono una stalker del cavolo.

«Perché non la pianti di fare la vigliacca, ed esci a salutarlo?»

«Assolutamente no. Anzi, vieni giù anche tu», la tiro per una gamba, ma lei aggrotta la fronte.

«Sotto al tavolo!? Scordatelo!»

«Ti prego», la supplico, unendo le mani.

Kelly ruota gli occhi al cielo, però mi asseconda: «Tu non hai tutte le rotelle a posto», sbuffa infastidita.

«Lo so, scusa... È che mi viene l'ansia!», gesticolo.

«Fatti curare questa cosa, Mimi. Inizi a preoccuparmi», mi fulmina con lo sguardo e annuisco freneticamente, davanti al suo volto arrabbiato.
Ha ragione, devo smetterla di avere paura.

«Che sta facendo?», le chiedo, esortandola ad allungare il collo per controllare.

«Niente, si è seduto con il tizio qui dietro. Chiacchierano»

«Cosa!?», dilato le pupille e spalanco la bocca. Se quel ragazzo è un suo amico, molto probabilmente ci ha sentite.
«Sono fregata», piagnucolo, «Donovan scoprirà tutto e non avrò più il coraggio di guardarlo in faccia. Dovrò cambiare città o forse stato... Sì, sì, andrò in Canada!», mi copro la faccia con le mani e Kelly mi assesta una gomitata sul fianco.

«Ma la pianti? Adesso ci alziamo, e usciamo fingendo di non averli notati»

«Che? Io non mi muovo», sbotto. Piuttosto mi trasferisco qui sul pavimento.

«Mimi, sii ragionevole e comportati da persona matura», dice, mentre nego con il capo.

«Non voglio, ti prego», piagnucolo di nuovo.

Kelly, al culmine della sua pazienza, gonfia le guance prima di spingermi: «Esci!», il mio corpo viene catapultato in avanti e inciampando sul borsone della mia cotta segreta, mi spiaccico esattamente davanti a loro.
Posso dire che la odio?

Tutti i presenti nel locale si voltano, e mentre la bruna finge un colpo di tosse, io mi domando cosa posso aver fatto di male nella vita, a parte essere sua amica.

Cosa che dopo oggi, dovrò seriamente rivalutare...

«Ehi, tutto bene?», i miei occhi si aprono su quelli ambrati di Josh che, sorpreso e spaesato, sbatte le palpebre.
«Nelson? Ti sei fatta male?», scosta delle ciocche ramate dalla mia fronte e deglutisco rumorosamente, mentre la mia faccia diventa di mille colori.
Gesù! È troppo vicino.

«Mi... mi sa che svengo!?», farfuglio e lui inarca un sopracciglio, visibilmente confuso.

«La tua è una domanda o una affermazione?»

«E-Entrambe?», sono nel panico.

Un ragazzo dai capelli corvini si avvicina velocemente a noi e spintona l'ex giocatore di basket, per farsi spazio: «Qualcuno le porti del ghiaccio», borbotta prima di inginocchiarsi difronte alla sottoscritta, ed ho un leggero mancamento quando le pupille si agganciano alle mie.
In un attimo, è come se vedessi il mare.

Iridi chiare come cristalli vengono incorniciate da lunghe ciglia scure, accentuando il taglio felino dell'occhio mentre i capelli neri come la notte, risaltano maggiormente l'incarnato chiaro del suo viso; sul sopracciglio destro porta il classico piercing a sfera e i lineamenti della mandibola sono piuttosto marcati, come il naso pronunciato che sovrasta le sue labbra rosee.

«Riesci a dirmi come ti chiami?», chiede, con un lieve accento inglese e sussulto quando le sue dita cominciano a tastarmi piano la testa.

«Mimi».
«Ti faccio male?».
«No».
«Sicura?», controlla meticolosamente ogni centimetro della mia faccia e la riluttanza al farmi toccare, viene affievolita dal profumo che si insinua nelle narici; è una fragranza leggera, fresca, alpina. Direi muschio bianco.

«Sicurissima», annuisco.

«Bene», il moro toglie le mani e solo adesso riesco a notare la vistosa pietra color pece, incastonata su un anello che porta all'anulare. «Però sei pallida... Forse sarebbe il caso di chiamare un'ambulanza?», consiglia.
Solo l'idea di andare in ospedale, mi fa tremare le vertebre.

«Non serve!», scatto sul posto.

«Ma hai preso una bella botta. Credo che-»
«Ho detto che non serve», sbotto bruscamente.

Io lì non ci vado. Non esiste.

Il moro storce il naso e Donovan si avvicina con un'aria affranta: «Perdonami. Ho lasciato il borsone per terra, senza pensare che qualcuno potesse caderci sopra», mormora dispiaciuto.

«Non preoccuparti, la colpa è mia. Dovevo guardare dove mettevo i piedi», sorrido a denti stretti, imprecando mentalmente contro Kelly.
Questa me la paga.
Eccome se me la paga.

«Posso almeno offrirti qualcosa da bere? Mi sento una merda...»

«Non è necessario, davvero. E poi adesso devo andare», lo saluto in modo impacciato, ma l'ex giocatore non demorde.

«Facciamo Venerdì sera? Tu e Sunders siete libere?»

«Come?», sbatto le palpebre più volte e Josh arriccia le labbra, grattandosi il collo.

«Beh, ecco, io...», sembra in imbarazzo, eppure non mi ha mai dato l'impressione di essere un tipo timido. O almeno, non al college.

«Cosa mi sono persa?», la bruna torna con un sacchetto di ghiaccio e non appena me lo porge, lo poso subito sul naso. Accidenti se fa male.

«Stavo chiedendo a Mimi se il prossimo week end eravate disponibili per un'uscita»

«Davvero?», squittisce lei, saettando maliziosamente lo sguardo da me al castano.
So già cosa sta pensando.
No grazie.

«Purtroppo ho già un impegno», invento sul momento, ma lei decide di mandare a monte i miei piani: «È vero. Dovevamo andare al cinema, ma possiamo rimandare»

«Perfetto! Ho dei biglietti per il Déjà-vu», esclama Josh ed il sacchetto mi sfugge dalle mani.

«A-Al Déjà-vu?».

Ora ne ho la conferma: Dio ce l'ha con me.

Chiunque conosce quel locale. È famoso perché fa musica dal vivo ed è anche il più esclusivo della città, quindi costosissimo. So che è sempre affollato e per entrarci devi avere degli agganci, o essere pieno di soldi.
E nel mio caso, nessuno dei due.

«Sì, io e Nick ogni tanto ci andiamo. Possiamo fare un'uscita di gruppo», propone indicando il moro, rimasto in silenzio per tutto il tempo.

«Certamente. Vero, Mimi?», Kelly si aggrappa al mio braccio, implorandomi con lo sguardo di accettare.
Dovrei rifiutare.
Dovrei, ma davanti al suo viso felice non ci riesco.

«Va bene», esalo arrendendomi.
Sarà un disastro, sicuro.

🎶🎶🎶🎶🎶

«Scappo al lavoro. Ci pensi tu al conto?», la bruna mi manda un bacio volante e la guardo allibita mentre corre fuori dalla porta del Jhonny's, senza aspettare una risposta.
Prima mi conduce al patibolo e dopo mi tocca anche pagare?
Mah.

Sbuffo osservando la gente in coda e mi posiziono dietro ad un ragazzino, in attesa del mio turno.
Odio le file. Ecco, lo sapevo. Mi sta già venendo mal di pancia.
Occupo il tempo ascoltando la musica in sottofondo, così quando finalmente giungo alla cassa, pago la consumazione e saluto Jhonny prima di uscire.
Mi siedo sulla panchina posta all'entrata, dunque tiro fuori il telefono per chiamare un taxi.
Dicono che arriveranno tra dieci minuti.
Lancio il cellulare dentro la borsa, poi sfrego le mani sulle braccia e mi guardando attorno. Meno male che presto arriverà l'estate. Detesto avere freddo o indossare cappotti.

«Credo che questa sia tua...», giro il viso a sinistra, incrociando quello del moro. «Devi averla dimenticata sul divanetto», distende le labbra e allunga un braccio per porgermi la giacchetta che ha in mano.

«Oh, grazie», ricambio il sorriso e mentre le nostre dita si sfiorano, il mio stomaco si contorce.
Gesù, smettila!

«Non ci siamo presentati. Sono Nick Allen»

«Mimi Nelson. Scusa se prima sono sembrata sgarbata, non volevo», mormoro impacciata.

«Figurati. Può succedere a tutti di avere una giornata storta», inclina lievemente la testa, ma qualcosa nelle sue parole mi incrina il sorriso.

Fosse solo una giornata...
Tutta la mia intera esistenza sembra andare male.

«La tua amica è andata via?», il moro si accomoda sul lato opposto della panchina e sistema la caviglia sul ginocchio dell'altra gamba, mentre mi schiarisco la gola.

«Sì. Doveva andare al lavoro»

«Capisco», estrae un pacchetto di sigarette dalla felpa bianca e bagna lentamente le labbra, prima di lambirne una.
Questo suo gesto mi accorcia la vita di dieci anni...
«Se hai bisogno di un passaggio, tra poco ce ne andiamo anche noi», Allen soffia il fumo da un lato, mantenendo le sue iridi chiare fisse nelle mie.

Deglutisco a vuoto mentre le mie guance si infiammano: «Ho già chiamato un taxi. Arriverà tra poco», spiego brevemente, continuando ad annegare in quegli specchi d'acqua.

«Non guardarmi così. Mi metti in soggezione», Allen solleva l'angolo della bocca e come un'idiota mi ritrovo a boccheggiare: «Sc-Scusa», balbetto, «è che i tuoi occhi...»
«Cosa?», intrappola il labbro tra i denti ed il mio cervello va a farsi benedire.

«Sono caratteristici», dico di getto, pentendomi all'istante.

«Caratteristici», ripete divertito, «è un complimento insolito, però ti ringrazio»

«Prego», rido nervosamente e stringo forte le mani, fino a conficcarmi le unghie nella mia stessa carne.
Sul serio, Michelle? Non hai trovato di meglio da dire? Tipo termini come: belli, lucenti o magnifici, ti facevano tanto schifo?

Vengo salvata dall'arrivo del taxi, che finalmente accosta al margine del marciapiede e mi dà l'opportunità di darmela a gambe elevate: «Beh, io vado», bofonchio, alzandomi goffamente.

«Ci si vede Venerdì, Michelle», Allen spegne la sigaretta nel posacenere, dopodiché mi strizza un occhio e sparisce oltre la porta a vetri del Jhonny's.

Salgo sulla vettura e mi affretto a dare indicazione all'autista, prima di appoggiare la tempia contro il finestrino; un sospiro sfugge dalle mie labbra e chiudo gli occhi, lasciandomi questa terribile figuraccia alle spalle.
Ma un dettaglio nell'ultima frase del moro, me li fa riaprire di scatto.

«Aspetta un momento... come mi ha chiamata!?».

Ciao Sirenette!!!🧜‍♀️

È passato veramente tantissimo tempo, vero?
Come avrete capito, le cose sono diverse dalla prima stesura di questa storia. Questo perché il mio modo di scrivere è cambiato e rileggendo l'originale non mi appassionava più.
Alcuni eventi cambieranno, altri no, quindi spero con tutto il cuore che vi piaccia!

Al prossimo aggiornamento, kiss😘

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