Another (The Again Serie #2)

By SkyRu90

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SECONDO CAPITOLO DELLA SERIE AGAIN. TROVATE IL CARTACEO E IL DIGITALE IN ESCLUSIVA SU AMAZON NELLA NUOVISSIMA... More

ANOTHER
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FINALE

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By SkyRu90

«Sicura di non volere una mano?»

«No, no, no. Ce la faccio», mugugno semisommersa da una pila di libri precariamente in bilico. So che Alfie ha scosso la testa, anche se non oso girarmi per guardarlo.

Metto il mio carico su un tavolinetto e tiro un sospiro di sollievo.

«Ti ho già detto che non lo sopporto?» sbotto cominciando a sistemare i volumi in ordine nell'espositore.

«Almeno un milione di volte», risponde Alfie paziente, spolverando dietro il bancone.

«Maschilista.» Poggio un libro. «Egocentrico.» Un altro. «Insensibile.» Alfie mi afferra il polso e mi toglie delicatamente di mano il nuovo malcapitato.

«Ci penso io, Rachel», sorride.

La verità è che sono furiosa con Connor, il mio ragazzo. Il fantastico capitano della squadra di football, il maschio alfa del liceo Roosevelt, il bellimbusto più desiderato nella nostra anonima cittadina del Rhode Island. Domani è San Valentino, la nostra prima festa degli innamorati.

Mi sembra ancora un sogno rivederlo fuori da casa mia, appoggiato alla sua macchina mentre la neve cadeva intorno a noi, e lui che mi faceva una dichiarazione in piena regola. Sfioro con le dita il braccialetto con la scritta AGAIN e mi domando come la nostra storia sia potuta naufragare così velocemente. Di nuovo.

Il quattordici febbraio, infatti, è anche il suo compleanno e lui ha preferito organizzare una super festa per i suoi diciotto anni invece che pensare a qualcosa di romantico da fare con me, Rachel Anderson, la diciassettenne più complicata d'America.

«Posso dire come la penso?» chiede il mio collega.

«A tuo rischio e pericolo.»

Mi guarda per un secondo ponderando la cosa. «Secondo me te la prendi troppo», dice infine. «Insomma Connor è solo un ragazzo, non ci vedo nulla di male a preferire una sbronza illegale con gli amici anziché baci e abbracci al chiaro di luna. Anche perché probabilmente avrà comunque entrambi, domani sera.»

Alfie mi strappa mio malgrado un sorriso. Lo so benissimo cosa si aspetta Connor da me per il suo compleanno, è solo che non sono sicura di volerlo accontentare finché le cose tra noi non saranno chiarite una volta per tutte.

«Quante ragazze hai avuto?» chiedo.

«Nessuna che sia mai durata troppo.» Fa una smorfia, poi scoppia a ridere.

Alfie è così, ride sempre. Anche quando non c'è proprio niente di comico, lui trova sempre il lato buffo della situazione. Ha la capacità di far sembrare tutto possibile. Sono contenta di lavorare con lui. I suoi genitori hanno acquistato questa libreria, la "Fahrenheit" - secondo me il nome è più adatto a un pub a luci rosse, ma pazienza, Alfie ha voluto conservarlo - come regalo di diploma e lui ci lavora dentro con passione, mentre nel frattempo tenta di laurearsi in letteratura inglese. Vuole ripagarli del prestito fino all'ultimo centesimo. E io sono stata entusiasta di essere stata assunta come commessa, considerando che tra qualche mese inizierò il college e ho proprio bisogno di soldi. Questo posto ha un che di magnetico. Il profumo di legno degli scaffali mischiato a quello della carta fresca di stampa, la grande vetrina che dà su una strada non troppo trafficata poco lontana dal centro e che rimane sempre un po' in penombra impedendo ai raggi del sole di entrare direttamente nella stanza, i suoni esterni ovattati e il clima fresco, accogliente e tranquillo.

«La cosa che mi dà realmente fastidio», continuo mettendomi a spolverare al posto suo, «è che sembra proprio non voler capire che a volte mi manca stare con lui. Pensavo che fossimo sulla stessa lunghezza d'onda. Abbiamo avuto un sacco di problemi in passato: incomprensioni, tira e molla, gelosie. Volevo solo godermi la nostra storia d'amore in pace.»

Connor è così: complicato. Ci conosciamo fin da piccoli, ma non avevo mai fatto caso a lui, fino a quando durante una gita scolastica ai tempi della middle school lui non ha pensato di baciarmi davanti a tutta la classe.

L'incubo poi si è materializzato sotto forma di commenti e battutine, che non si sono fatti aspettare da un branco di tredicenni. La cosa più brutta però è che ho litigato definitivamente con la mia migliore amica di allora, Isabelle, che aveva una cotta proprio per Connor e che ha visto la cosa come un tradimento da parte mia, che invece ero solo una vittima.

In quello stesso periodo i miei genitori hanno divorziato, mia madre se n'è andata di casa e io l'ho implorata di portarmi con sé, perché volevo scappare via dalla situazione che si era venuta a creare a scuola.

Ma l'estate scorsa mamma ha ricevuto un'offerta di lavoro che non poteva rifiutare, e i sei mesi che doveva trascorrere nella filiale cinese della sua azienda sono diventati ventiquattro e io sono tornata ad abitare con mio padre, nella vecchia casa, nella vecchia città.

Peccato che Connor non sia più il ragazzino di una volta e appena l'ho rivisto, a settembre, ho sentito un'attrazione talmente forte che è stato impossibile resistere.

«Avrà anche dei lati positivi, no? Sai, per dare un senso alla vostra storia» dice Alfie.

Un senso. Come faccio a spiegargli che Connor è esattamente tutto quello che voglio dalla vita? Sì, è complicato, la sua mente è off limits e spesso e volentieri litighiamo. Ma è anche il mio primo amore. È un amico leale. Un leader. Un ragazzo fragile che mi ha mostrato lati di lui che nasconde a tutti gli altri. Ha fiducia di me al punto da avermi permesso di entrare in luoghi del suo cuore che aveva chiuso al mondo, per allontanare il dolore della perdita della madre, per non soffrire di un rapporto con suo padre praticamente inesistente.

Ci sono io. Ci sono stata. E vorrei continuare a esserci per lui, sempre, oltre ogni cosa. Mi sfugge un sospiro.

«Sanne e Malek verranno con te?» Alfie cambia discorso, interrompendo i miei pensieri.

«Sì», rispondo. Loro sono le mie migliori amiche. Sanne ha una cotta per Alfie e cerca sempre una scusa per presentarsi in libreria. Malek invece non l'ha ancora conosciuta, ma ne parlo talmente tanto che ormai è come fossimo tutti una grande famiglia.

«Non fare cose che non vuoi davvero», aggiunge. Il suo sguardo adesso è serio. Ha gli occhi azzurri, di un azzurro bello, non comune, quasi acquamarina, messi in risalto dalla montatura trasparente degli occhiali da vista che li ingrandiscono leggermente. Peccato che i capelli lunghi gli ricadano sempre davanti al viso. Se li tagliasse credo che guadagnerebbe un sacco di punti. Ma non sono affari miei. Mi sento arrossire a questo pensiero e distolgo lo sguardo.

«Che cosa intendi?» rompo il silenzio.

«Lo sai benissimo», risponde. «Non fare cose soltanto perché pensi che lo voglia lui. Non ne vale la pena. Non si torna indietro poi.»

Per qualche strano motivo racconto sempre tutto ad Alfie, mi ispira fiducia. È una sorta di psicologo personale. Non mi giudica e gli piace ascoltarmi, il che a volte è ciò di cui ho bisogno. Lui sa benissimo che sono ancora vergine, e sa ancora meglio che Connor non vede l'ora di mettere fine a questo stato. Domani dovrebbe essere il grande giorno e, se da una parte avere una data mi terrorizza, dall'altra tiro quasi un sospiro di sollievo all'idea, almeno la facciamo finita.

«Mi aiuti con questi scatoloni?»

Raggiungo Alfie alla vetrina dove dobbiamo sistemare le novità. Lavorare in libreria mi piace, i libri sono la mia grande passione, i miei amici fedeli, non mi hanno mai delusa. Ogni giorno varco la porta d'ingresso e mi sento bene, è come entrare in una piccola bolla di perfezione personale. Connor lo trova noioso. Quando l'ha saputo si è messo a ridere credendo che scherzassi, poi ha storto il naso.

«Contenta tu», ha detto. Solo questo. L'ennesima delusione...

Passo davanti a uno degli specchi che Alfie ha disseminato per il negozio e mi ravvio velocemente i capelli ramati. Li ho tagliati un paio di settimane fa. È stato un gesto impulsivo. Li ho sempre avuti lunghi e lisci come spaghetti, ma quando Connor mi ha detto che gli piacevano perché mi davano l'aria della brava bambina ho voluto subito cambiare look. Adesso mi arrivano appena sopra le spalle e i miei occhi nocciola, un po' troppo grandi per il mio viso pallido e affilato, sono ridimensionati dalla frangia, che spingo sempre in aria sbuffando.

«Questi li dobbiamo mettere lì», mi spiega Alfie indicandomi uno scatolone. Annuisco, ma inciampo e gli finisco addosso, trascinandolo per terra con me nel tentativo di rimanere in piedi. Scoppiamo a ridere.

«Che bel siparietto», dice una voce che mi scatena un brivido lungo la schiena. Con uno scatto imbarazzato balzo in piedi e mi ritrovo faccia a faccia con Connor.

«Sono già le sei?» domando.

«Così sembra. Il tempo passa in fretta quando ci si diverte.» Guarda storto Alfie che si passa le mani sui jeans.

Lo fisso imbambolata. Mi fa sempre dannare, mi fa salire il nervoso, lo prenderei a schiaffi eppure ogni volta che mi scruta con i suoi occhi scuri e magnetici divento creta tra le sue dita.

«Rachel mi stava aiutando a sistemare la vetrina», spiega Alfie.

«Gentile», commenta Connor sarcastico.

«Ciao», biascico scavalcando uno scatolone e raggiungendolo.

Lui mi mette una mano alla base della schiena e mi bacia. «Sei pronta, piccola? Gli altri ci stanno aspettando».

«Gli altri?»

«Ho delle cose da ultimare per domani sera», mi spiega alzando le spalle.

Trattengo la delusione, mi volto e incrocio lo sguardo di Alfie, impassibile. Abbozzo un sorriso a mo' di scusa. Lo so che trova Connor arrogante e scorbutico, e spesso lo è, soprattutto quando viene a prendermi al lavoro. È come se dovesse marcare il territorio chiarendo ad Alfie che sono off limits. Come se tra me e Alfie potesse mai nascere qualcosa!

«Prendo le mie cose», borbotto. Infilo la porta dietro il bancone e raggiungo lo stanzino vicino al bagno che usiamo come spogliatoio. Afferro la borsa e inspiro a fondo cercando di riprendere il controllo di me. Non ho nessuna voglia di andare all' "Hello Coffee", il loro solito luogo di ritrovo. Non ho voglia di vedere i suoi compagni di squadra in quella caffetteria. Né voglia di parlare per l'ennesima volta di quella stupida festa. E soprattutto non ho voglia di vedere Isabelle, mi tocca sopportarla già a scuola. Non potremmo passeggiare mano nella mano fino a casa mia chiacchierando del più e del meno? Ovviamente no.

Sento gli occhi pizzicare e li stringo forte. Eh no, accidenti! Non piangerò per Connor Brown anche oggi!

«Eccomi», esclamo tornando in negozio.

Connor e Alfie si stanno guardando in cagnesco. «Ci vediamo domani», dico ad Alfie.

«Buona serata», mi saluta lui, anche se sa benissimo che non sarà così.

Fuori dal negozio l'aria è gelida e mi fermo un istante a indossare il cappotto, poi mi avvolgo velocemente la sciarpa intorno al collo. Connor indossa una giacca di pelle nera aperta sul petto, incurante del freddo. Il suo fisico allenato e tonico si intravede chiaramente. So benissimo che sotto quella stoffa si dirama un tatuaggio che gli parte dal braccio e prosegue sulla spalla. Il piercing al sopracciglio brilla mentre si volta a guardarmi.

«Mi spieghi perché fai così?» gli chiedo.

«Così come?» mi domanda lui, i capelli ricci si muovono scomposti a ogni passo.

«Con Alfie», preciso. «Sei sempre aggressivo. Lo guardi male. Devo ricordarti che è il mio capo? Non voglio problemi.»

«È lui che deve ricordarsi che sei roba mia», alza le spalle.

Roba. Sono della roba? Come una scarpa vecchia.

«Lo sa benissimo», sbotto.

«Rachel, non essere ingenua. Non lo vedi come ti guarda?»

No. Come mi guarda? Sono confusa.

Connor scuote la testa. «A volte mi domando se lo fai apposta.»

«Tra me e Alfie non c'è niente.»

«Lo credo bene», ghigna. «Hai me. Che te ne faresti di uno come quello?»

Apro la bocca per rispondere, ma non esce niente. Pallone gonfiato. Alfie è gentile, educato, rispettoso dei sentimenti altrui. Tutte cose che Connor non vuole essere.

«Non è che poi ti abbia così tanto», borbotto a bassa voce.

«Ancora con questa storia? Cominci a diventare pesante, sai?» Resto in silenzio. «Senti, Anderson sono un ragazzo impegnato e ricercato, dovresti essere contenta. Hai i posti migliori durante le partite di football, potresti anche venire a tutti gli allenamenti se solo ne avessi voglia, invece di perdere tempo con quelle tue amiche. Ci sono decine di ragazze che vorrebbero essere al tuo posto, loro mi venerano. Se fossi il Connor di prima, lo sai come andrebbe a finire.»

Mi mordo il labbro fino a sentire il sangue.

«E domani?» Mi fermo sul marciapiedi e lo costringo a fare altrettanto.

«Domani cosa?»

«Domani è S. Valentino e tu vuoi comunque dare una festa.»

«Domani è il mio compleanno Rachel.» Sento che comincia a innervosirsi.

«Credevo che volessi stare un po' da solo con me. Avresti potuto festeggiare la prossima settimana.»

«Ho sempre festeggiato il mio compleanno il quattordici febbraio. Sempre.»

Non vuole capire. Non ci prova neanche. Riprendo a camminare, le mani strette a pugno infilate in tasca, la borsa che mi sbatacchia contro la coscia mentre cammino.

«Eddai, Rachel. Lo sai quanto mi dà fastidio litigare con te», mi afferra un abbraccio, ma io rimango rigida. «Non credevo avessi bisogno di una stupida festa degli innamorati», continua. «Lo sai che voglio stare con te. Non hai idea di quanto mi piacerebbe poter trascorrere del tempo con te come si deve, senza discussioni inutili e snervanti paranoie.» Mi poggia le labbra sulla fronte. Sorrido. «Ma sei tu che devi lasciarti andare. Vieni alla festa, divertiti e sii felice pensando che sono tuo. E basta.»

È difficile stare con un ragazzo come lui, perché davvero la concorrenza è spietata. Però ha ragione. Lui ha scelto me, però faccio ancora fatica a crederci. È un mio problema: sono io che mi sento in difetto verso gli altri, mai all'altezza. Ma questa mia insicurezza non può logorare il nostro rapporto. E io non voglio rovinargli il compleanno. Non sarebbe giusto.

Arriviamo in caffetteria e ci accomodiamo al tavolo dove ci sono amici di Connor. Ci accolgono con entusiasmo, venerazione per il mio ragazzo e totale indifferenza per me. Per loro non sono altro che l'ennesima conquista del loro quarterback. Niente di più rispetto a tutte le altre ragazze che si sono sedute accanto a lui in questo stesso bar. Sono a disagio e subito incrocio lo sguardo di Isabelle. I suoi occhi azzurri sono glaciali e sprezzanti, il naso dritto ed elegante - forse non tutta farina del suo sacco - e i capelli biondissimi e impeccabili come sempre. È strizzata in un dolcevita bianco che sottolinea il suo fisico sottile e scolpito da cheerleader. Sorseggia un frullato dietetico con una cannuccia, mentre le sue due migliori amiche, Camille e Ava smanettano al cellulare alla ricerca di qualche pettegolezzo dell'ultimo minuto su cui aggiornarla.

«Finalmente sei qui», trilla Isabelle rivolta a Connor. Anche se mi odia non perde occasione per mettermi in difficoltà nella speranza che Connor la consideri.

Dal nulla mi compare davanti un caffè con panna e caramello. Mi volto verso Connor che mi strizza appena l'occhio.

«Dove hai lasciato i tuoi fedeli cagnolini?» mi chiede Isabelle.

«Non ho cani. A casa non abbiamo abbastanza spazio», rispondo, bevendo subito dopo una gran sorsata di caffè.

Da quando io e Connor ci siamo messi insieme le cose sono un po' cambiate a scuola. Prima io Sanne e Malek avevamo il nostro posto in mensa, un posto anonimo tra i nostri simili. Adesso invece sediamo con i VIP, siamo invitate alle feste, possiamo parlare con gente che prima non ci degnava nemmeno di un'occhiata. E se la cosa a me disgusta, esalta invece Sanne, che si è sentita subito a suo agio. Prova una sorta di amore e odio per Isabelle, da una parte la venera e vorrebbe essere come lei, dall'altra le basta ricordarsi che, per esserlo, dovrebbe vendere l'anima al diavolo.

«Mi passi a prendere domani, Connor?» gli domanda Isabelle allungando una mano per intrecciare le dita alle sue.

«Certo», risponde pronto lui senza preoccuparsi minimamente di sapere cosa ne penso. Detesto questa loro amicizia. Come si fa a rimanere amico del proprio ex?

«Sei molto premuroso», miagola lei.

Resto impassibile. Non posso dimostrarle la mia irritazione o gongolerà. L'indifferenza è l'unica arma contro Isabelle Howard. Fai finta di niente e lei non saprà come reagire.

«Io devo andare», dico alzandomi in piedi. Non ho più voglia di stare qui.

«Di già?» mi chiede Connor sorpreso.

«Ho dei compiti da finire.» La scusa è patetica, ma non importa.

«Vuoi che ti accompagni?»

«No, figurati. Hai cose più importanti a cui pensare.» 

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