Pacific Heights 11

By Blacksteel21

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La vita di un essere umano è legata a molte altre vite, un intreccio di storie che nasce e si sviluppa nella... More

2. A Fistful of dollars
3. The Godfather
4. House of 1000 corpses
5. The Art of getting by
6. Closer

1. Les Miserables

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By Blacksteel21


Ho sognato che la mia vita sarebbe stata diversa da questo inferno che sto vivendo. (I Miserabili)

Klimt camminava con passo sicuro e impettito, lo sguardo penetrante fisso sulla strada a scrutare ogni angolo di quella città che conosceva a memoria, San Francisco non aveva segreti per lui. Osservando quel ragazzo, ad una prima occhiata, chiunque avrebbe scommesso che aveva qualcosa di strano anche se non avrebbe saputo individuare cosa esattamente, ma c'era una nota bizzarra. Forse erano quei capelli rossi lunghi e dal taglio irregolare, come se qualcuno ci avesse dato qualche colpo di forbice casuale giusto per accorciarli un po'. Oppure si trattava del suo abbigliamento, che era sempre svariate misure più grande, come se quei vestiti non fossero i suoi. O il suo sguardo, quegli occhi di un colore indefinito, fra il grigio e il verde, di un'intensità in grado di trapassare chiunque e spesso questo suscitava disagio.

Poco male. Era questo quello che Klimt si diceva spesso fra sé e sé, visto tutto quello che aveva dovuto affrontare in ventidue anni di vita c'erano ormai un limitatissimo numero di cose che potessero impensierirlo davvero. L'importante era continuare ad andare avanti, instancabilmente, e lui lo faceva, con il suo inseparabile zaino di tela verde che racchiudeva tutto il suo mondo.

Si teneva sempre pronto Klimt, preferiva così, portava con sé le cose che non avrebbe mai voluto lasciare indietro: due cambi di vestiti, la sua inseparabile macchina fotografica analogica, i rullini nuovi, tutti quelli che aveva usato e il diario, la cosa più preziosa che aveva.

Ad un tratto la tasca del suo jeans logoro vibrò ed il ragazzo ne tirò fuori un cellulare vecchissimo, con lo schermo in bianco e nero, in cui a stento poteva ricevere dei messaggi. Si trattava proprio di questo, un messaggio da una delle due persone con cui Klimt era in contatto, il suo coinquilino.

"Il vecchio stronzo mi ha beccato, vuole l'affitto domani ... immancabilmente! D: Ce la fai con i soldi, vero?"

Klimt rispose rapidamente: Il Signor Sahin mi paga domani mattina alla fine del turno, i soldi del part time alla biblioteca arriveranno a fine mese.

"Pagano domani anche me, forse avremo ancora un tetto dopo tutto <3"

Klimt rimise il telefono in tasca e continuò a percorrere la strada, il suo coinquilino era davvero un ragazzo strano, in lui l'agire in buona fede e l'essere decisamente sprovveduto erano due qualità fortemente intrecciate. Il rosso sapeva di dovergli molto, lo aveva accolto in casa quando nessuno lo avrebbe mai fatto ed in cambio si era ripromesso di tentare di tenerlo fuori dai guai.

Il passo del ragazzo si fermò davanti al portone di un vecchio palazzo, quel posto aveva decisamente conosciuto tempi migliori ma era comunque un lusso che Klimt non avrebbe mai immaginato di possedere, era casa. La chiave stentò nel portone, servirono degli scossoni ed una buona dose di abilità di polso per far girare la serratura, ma alla fine scattò. L'androne del palazzo era buio e logoro, mucchi di polvere e macchie diffuse sui muri disegnavano dei motivi rivoltanti su tutto ciò su cui il ragazzo posava lo sguardo, ma lui andrò oltre. Si incamminò lungo le scale, quattro piani a piedi prima di raggiungere l'appartamento che condivideva.

Quella serratura invece si aprì con troppa facilità e rivelò l'interno dell'appartamento: una stanza. Era tutto lì, una stanza neanche troppo grande, uno spesso strato di muffa adornava gli infissi vecchi dell'unica finestra presente. Da una parte c'era l'unico letto della casa, appartenente al suo coinquilino, mentre Klimt aveva organizzato il suo giaciglio fatto di coperte e vecchi cuscini proprio sotto la finestra, accanto ai secchi per le infiltrazioni d'acqua. Se mai il riscaldamento avesse funzionato i due ragazzi non lo avevano mai saputo, di certo da quando loro vivevano lì quelle uniche due piastre presenti nella stanza erano più gelide del cuore del vecchio proprietario. La cucina era composta unicamente da due fornellini a gas e un vecchio microonde, mentre l'unica altra stanza presente era il bagno. Anche in quel caso, come per il riscaldamento, l'acqua calda non era pervenuta, ma Klimt ne faceva anche un interessante secondo uso.

Quando il ragazzo aprì la porta del bagno controllò con attenzione le condizioni delle foto appese ai fili lungo le parti della stanza, l'idea di rendere quello spazio la sua camera oscura personale aveva decisamente mandato fuori di testa il suo coinquilino ma si era rivelata una scelta eccellente. Gli occhi del rosso si soffermarono attentamente su ogni foto e staccò quelle che gli sembravano ormai perfettamente asciutte. Le poggiò sul letto e aprì il grosso album che aveva creato, riponendole accuratamente insieme a tutte le altre.

A quel punto sentii un rumore, un sospiro sommesso proveniente dal cumulo di coperte di cui era composto il suo letto e qualcosa si mosse lì sotto.

- Il solito perdigiorno – mormorò il ragazzo sollevando un sopracciglio – se uscissi e ti procurassi da mangiare invece di fare il parassita avremmo una bocca in meno da sfamare

A quel punto un pigro "meow" accompagnò l'apparizione di un grosso gatto dalla catasta di coperte, il felino aveva in comune lo stesso pelo arruffato e rosso brillante del ragazzo anche se possedeva occhi di un verde chiaro, decisamente più bonari.

- Non guardarmi in quel modo – continuò a brontolare Klimt mentre chiudeva il libro – non toccava a me comprarti da mangiare oggi.

- Meeeow! – fu quello che ribattè il felino con aria offesa.

- Beh, mio caro Captain Kirk, non mi sembri poi questo gran avventuriero pieno di sagacia se il tuo fiuto ti ha portato in una casa di morti di fame squattrinati come noi

Ancora più indignato il felino diede le spalle al ragazzo, tornando a sdraiarsi comodamente sulle sue coperte. Klimt non riusciva veramente a capacitarsi come avevano fatto ad accollarsi un gatto, due come loro, che stentavano ad arrivare a fine mese, potevano sul serio permettersi un animale?

Ma Captain Kirk era arrivato inaspettatamente, come del resto molte cose della sua vita, una mattina aveva raschiato alla loro finestra ed una volta entrato non era andato più via.

"E' un trovatello proprio come te" aveva detto il suo coinquilino prendendolo in braccio entusiasta " non possiamo mica buttarlo fuori, ha bisogno di una casa". A poco erano serviti i tentativi di persuasione del rosso, quel gatto era una specie di segno, un piccolo intrepido esploratore che aveva scelto la loro casa e lì era rimasto.

- Io vado, Captain Kirk – disse Klimt rimettendo in spalla il suo inseparabile zaino – cerca di uccidere qualche topo se ti capita – ma il felino aveva ripreso a dormire profondamente.

Una volta in strada il telefono del rosso riprese a vibrare, questa volta si trattava di una chiamata ed un lieve sorriso apparve sul volto cereo del ragazzo mentre portava il telefono all'orecchio.

- Ehi, Nigel-

- Ciao dolcezza- rispose la voce dell'altra parte del telefono con tono allegro – ti disturbo?-

- No, sto andando al lavoro. Qualche novità? – chiese il rosso trepidante.

- Ho preso novanta! Mio dio, il voto più alto del corso, è stato assurdo! I risultati sono appena usciti – esclamò euforico.

- Lo sapevo! Te lo dicevo che sei il migliore!-

- Io? Ma se è te che dovrei ringraziare, senza tutto l'aiuto che mi dai i miei saggi sarebbero pessimi – gli ricordò con tono bonario – dobbiamo assolutamente festeggiare.

- Domani sera, promesso! – replicò Klimt pregustando già quel momento.

- Sicuro, ora devo andare, sto per entrare in metro. Ti scrivo più tardi e stai attento

- A più tardi.-

Il ragazzo chiuse la chiamata e sospirò leggermente, Nigel era un'altra delle cose che non si sarebbe mai potuto aspettare. Lui che non aveva nemmeno finito la scuola, che faceva due lavori ed era comunque perennemente in banca rotta usciva con un brillante studente universitario. Un ragazzo normale, ambizioso e colto che fra tutti quelli che lo circondavano aveva scelto proprio lui. Il giorno successivo sarebbe stato esattamente il loro ottavo mese insieme e questa volta Klimt si era preparato. Voleva renderlo speciale, aveva chiesto al coinquilino di Nigel la sua copia delle chiavi prima che partisse per andare a trovare i genitori, così la mattina avrebbe potuto intrufolarsi in casa e preparare al suo ragazzo la colazione ed una volta sorpreso gli avrebbe dato il suo regalo.

Il sorriso di Klimt si allargò ancora al solo pensiero di Nigel, del suo volto stupito, del suo sguardo amorevole e quando varcò la soglia del minimarket aperto ventiquattrore il suo buon umore non scomparve. Dopotutto era lì che tutto era cambiato, quando tre anni prima aveva varcato quella porta la prima volta.

- Ah bene ragazzo, sei qua! – disse una voce burbera e tuonante, l'uomo dietro al bancone fissò l'orologio che segnava le dieci di sera precise.

- Buonasera Signor Sahin, ci penso io – replicò il rosso diretto dietro il bancone, dove abbandonò lo zaino e recuperò un grembiule verde.

- Molto bene, molto bene! – bofonchiò mettendosi la giacca in tutta fretta – tu sta attento, se qualcosa di strano si presenta, prendi il fucile!

- Ci provo signore – commentò Klimt con il suo solito tono accondiscendente prima di vedere l'uomo andare via a grandi passi dal negozio.

Fare il turno di notte in un minimarket assolutamente senza sistemi di allarme situato nella periferia di San Francisco poteva chiaramente essere letto come una vera e propria missione suicida. Nessuno sano di mente avrebbe rischiato tanto per quattrocento dollari al mese ma Klimt non era di certo una persona comune.

Chiunque avesse parlato del Signor Sahin lo avrebbe descritto come un taccagno senza cuore ma per Klimt era come un padre, un uomo buono che gli aveva dato un lavoro quando nessun altro lo aveva fatto, nonostante fosse un lavoro che nessuno avrebbe mai voluto fare per nessuna ragione al mondo. Quel minimarket lo aveva aperto il nonno del Signor Sahin quando era fuggito dalla Turchia insieme alla moglie ed il figlio per cercare la fortuna in America. Con la stessa passione e orgoglio del padre anche lui aveva lavorato instancabilmente nel negozio e avrebbe fatto di tutto per continuare a tenerlo aperto, anche se quel posto dava più problemi che profitti.

Klimt era solo un ragazzino appena diciottenne quando aveva varcato quella soglia per la prima volta, quando gli occhi severi del proprietario si erano posati su di lui mentre chiedeva un lavoro. Un ragazzino sporco e malconcio, ecco com'era, un piccolo senza tetto a cui nessuno avrebbe dato il beneficio del dubbio, eppure era successo. Il signor Sahin gli aveva concesso una prova sotto la sua attenta e assillante supervisione, gli erano stati offerti turni più duri e che avevano messo in fuga dipendenti molto più grandi di lui. Ma Klimt era rimasto, senza mai commettere alcuna scorrettezza, senza mai lamentarsi e forse questo aveva reso il vecchio proprietario ben disposto nei suoi confronti.

Il rosso ricordava con affetto quando, nelle notti di pioggia e neve, il signor Sahin gli permetteva di dormire per qualche ora nello sgabuzzino del minimarket o quando, dopo aver tolto la merce scaduta dagli scaffali, permetteva a Klimt di mangiarla. Se quell'uomo non lo avesse accolto in quel negozio, lui non avrebbe mai avuto i soldi per dividere quello squallido monolocale e senza quel posto e il suo coinquilino non avrebbe mai avuto il lavoro part time nella biblioteca universitaria e non avrebbe conosciuto Nigel. Tutte le cose positive che poteva contare erano iniziate in quell'angusta bottega e certe volte, anche mentre le viveva, Klimt stentava a credere che fossero reali. Perché c'era stato un tempo tremendamente buio nella sua vita, c'era stata la miseria, la fame e l'angoscia, c'era stato un tempo in cui gli era persino proibito sognare un futuro diverso dal degrado. Eppure, in qualche modo, anche se lentamente, quei tempi stavano cominciando a cambiare.


- Zitte, zitte ... è arrivato!-

La bionda aveva assestato una gomitata energica alle due amiche sedute accanto a lei ed improvvisamente l'attenzione delle ragazze fu tutta sulla figura in avvicinamento. Conoscevano i suoi turni a memoria ormai, a dirla tutta frequentavano il Charmers quasi esclusivamente per ammirare i numerosi talenti del cameriere assunto da poco più di un mese.

- Mi sento male ... sta per fare quella cosa con i suoi meravigliosi capelli ... tenetevi pronte – aveva sussurrato la più alta, adesso rossa in viso per l'agitazione.

Non si sbagliava in effetti, il ragazzo aveva appena raccolto i capelli scuri e mossi in una coda alta con un effetto disordinato che aveva lasciato le giovani clienti in uno stato di muta ammirazione. Non erano le uniche della sala a lanciare occhiate desiderose verso il moro, sembrava che gran parte degli avventori del locale fossero in qualche modo attratti da Jules.

Dal canto suo il ragazzo era pienamente consapevole dell'effetto che faceva alla stragrande maggioranza della gente, era ormai un'arma a doppio taglio con cui aveva imparato a convivere nel corso degli ultimi anni. La causa di tutti i mali doveva essere attribuita al suo viso pulito, quasi innocente, eccetto per le labbra provocanti e quegli occhi castani, troppo penetranti e diretti per non tradirlo. Era giovane sì, ma non c'era niente di innocente in Jules e questo era più che assodato. Tutto nei suoi modi lasciava intravedere una certa ambiguità, il suo corpo sembrava emettere un'energia che attraeva chiunque in un modo o nell'altro.

- Ok, sto per sentirmi male. N-non credo di riuscire a seguire i-il nostro piano ... - la voce della ragazza più alta tremò, aveva le mani gelate e appiccicaticce. Il suo americano era stato lasciato a raffreddarsi nella tazza elegante.

- No? Davvero? Se non vuoi più lasciargli il tuo numero, allora gli darò il mio! – disse la bionda e subito tirò fuori un'agenda dallo zaino.

- Cosa?! Tu hai già Paul! - le ricordò l'altra, adesso atterrita dal voltafaccia dell'amica.

- Paul non ha quel culo, né quelle spalle ... né quel profumo-

- Non vale! L'ho visto prima io! Sono stata io a trascinarvi qui per rendervi partecipi dell'ottava meraviglia del mondo.-

- Parla piano o ci sentirà, idiota!-

Jules si era messo al lavoro dopo una misera pausa di appena venti minuti, le labbra piegate in un sorrisetto che avrebbe potuto significare qualsiasi cosa e la mente piena zeppa di pensieri opprimenti. L'affitto di casa, le stramaledette bollette da pagare, il nuovo materiale che avrebbe dovuto acquistare per il suo corso di Regia e poi quell'enorme spesa che lo aveva lasciato quasi in rosso: il suo desideratissimo Mac pro.

Non c'era altro da fare, si disse, il suo vecchio computer era stato un ottimo compagno d'armi, ma lo aveva usato fino all'usura e un apprendista regista aveva necessariamente bisogno di materiale decente su cui lavorare.

- Jules, porta questi cocktail al dodici, per favore. Poi vieni a darmi una mano nel retro.-

Il ragazzo si riscosse, Fiona gli passò il pesante vassoio che reggeva prima di dirigersi in fretta alla cassa. Il suo business stava andando alla grande ultimamente, pensò la donna, anche la clientela stava cambiando, sempre più giovani accalcavano le due sale del Charmers, spesso aveva iniziato a chiedersi se quel cambiamento non fosse dovuto all'arrivo di Jules. Non era di certo il migliore tra i camerieri che aveva, né quello più preciso o puntuale, ma c'era qualcosa di diverso in quel ragazzo ... tutti ne sembravano ammaliati, perfino lei lo aveva assunto per quella ragione, pensò.

Jules stava iniziando a conoscere i gusti dei suoi clienti, sapeva già a chi appartenevano i due Long Island e il Mimosa che reggeva sul vassoio. Si diresse sorridente verso la sala esterna. Il tramonto aveva assunto un bel colore rosa pastello e San Francisco sembrava a dir poco mozzafiato in quel preciso istante, a volte aveva l'impressione di essere nel posto giusto nonostante le mille difficoltà. 

I tre occupavano un tavolo che dava sulla strada, erano dei pezzi grossi, due ingegneri e un avvocato di una casa automobilistica con un fatturato spaventoso, per quanto ne sapeva Jules. Eppure non erano per niente snob, nulla a che vedere con i suoi genitori, quei tre erano incredibilmente amichevoli e alla mano, per non considerare le laute mance che gli allungavano ... un motivo in più per trovarli simpatici.

- Wow, il nostro ragazzo preferito! Vieni qui, tesoro, siamo parecchio disidratati dopo una giornataccia di logorante lavoro. Molla qui questi cocktail – la donna si era allungata per assestare una pacca affettuosa sulla schiena di Jules, mentre gli altri facevano spazio sul tavolo.

- Ecco il tuo Mimosa, bello forte come piace a te – aveva ammiccato Jules, per poi posare il resto dei cocktail davanti agli altri due – allora? Il vostro amico disperso che fa? Credo di essermi appassionato alle sue avventure ormai.

Oscar aveva riso, distanziando il telefono dall'orecchio – Ci sto parlando proprio adesso. Lo stronzo è stato per un mese in Costa Rica e si lamenta pure ... incredibile, vero? Lo metto in vivavoce. Dì qualcosa anche tu, Jules. Fa sentire il tuo disappunto a quel borioso figlio di puttana.

Il ragazzo era divertito da quel teatrino che ormai stava diventando una consuetudine, non era raro che quei tre trascorressero parte del loro happy hour a chiacchierare al telefono con un loro collega in ferie. Nelle ultime settimane avevano anche iniziato a passarglielo per farli conversare.

- Blake, guarda un po' chi ti vuole sentire.-

Poi Oscar allungò il cellulare verso Jules che lo portò subito all'orecchio in un gesto spontaneo.

- Pronto? - aveva una bella voce quel Blake, era bassa e carezzevole, perfino i convenevoli più idioti suonavano sexy se pronunciati da lui.

- Ehi Blake, sono Jules ... i ragazzi mi stanno dicendo che ti stai comportando un tantino da ingrato.-

Quello aveva riso dall'altra parte del telefono – Ascoltami tesoro, ascoltami bene ... devi ignorarli, ok? Parla solo con me, sono l'unico che conta. Ti autorizzo a pisciargli nei drink al prossimo giro, va bene?

- Ehi! – Kelly aveva riso forte, quasi fino a sputare il suo cocktail – ti sentiamo tutti! E indovina chi ha trascorso la giornata a sbrigare delle dannate pratiche per te mentre tu te ne stai sdraiato su qualche spiaggia paradisiaca ad abbronzarti le chiappe?

Quello finse di non sentire, anzi continuò – Ehi Jules, quei tre taccagni ti danno delle mance da schifo, vero? Sta tranquillo, papà sta tornando in città, sistema tutto lui.-

Bastavano davvero poche parole per far irrigidire lo stomaco di Jules, doveva essere quel tono vagamente malizioso o forse quella voce bassa, così carezzevole che sembrava quasi di poterla sentire sulla pelle. Eppure non era affatto facile mettere in imbarazzo uno come lui.

- Mi dispiace deluderti, ma Oscar, Kelly e Jeff sono i migliori clienti del Charmers.-

- Lo dici soltanto perché non hai ancora conosciuto me.-

Ok, c'era del tendenzioso adesso. Jules rise piano – Quindi quando avrò l'onore di conoscerti?-

- Che animo da poeta ... sentire la mancanza di qualcosa che non hai ancora conosciuto ... mi piace – un'altra provocazione, non era la prima in quel lungo scambio di telefonate casuali.

- E' più semplice di così. Vorrei solo capire se sarai all'altezza delle mie aspettative, cosa di cui dubito dal momento che nessuno è mai all'altezza delle mie aspettative. - ribatté Jules, rincarando la dose.

- Non hai mai conosciuto me, infatti.-

Sapeva sempre cosa dire per venirne fuori indenne. Jules ne rimaneva ogni giorno più sorpreso.

- Adesso basta così, Jules deve tornare al lavoro e tu devi inviarmi quei dannati file se vogliamo andare avanti con il progetto. Ce la fai ad alzare il culo dalla tua sdraio o è chiedere troppo?-

Oscar aveva riportato il telefono all'orecchio per tornare a toni molto più seri. Jules si riscosse, non poteva perdere il suo tempo in quel modo, quel lavoro doveva tenerselo ben stretto se voleva mantenere il tugurio in cui viveva e l'accademia che frequentava.

- Va bene ragazzi, godetevi i vostri drink.-

- Ehi Jules ... mi dispiace per Blake, è un po' stronzo, ama irritare la gente e provocare – Kelly parlò prima che l'altro fosse troppo lontano per sentirla.

- Non lo avevo notato – commentò il ragazzo con un pizzico di ironia

- Ma è anche un genio! E' il nostro car designer, nessuno riesce a metterci tanta passione, dovresti vedere i gioiellini che crea ... è davvero un diamante raro.

Jules non aveva alcun dubbio, fece un cenno di saluto verso il tavolo, poi tornò di tutta fretta in sala, dove lo attendevano una montagna di ordinazioni.

La serata trascorse tutto sommato velocemente, come ogni giorno si era beccato un paio di numeri di telefono e adesso sedeva stancamente alla fermata dell'autobus che avrebbe dovuto riportarlo nei pressi di quella che ormai chiamava casa. Quel pensiero lo faceva ridere, non osava immaginare lo shock che avrebbe colpito i suoi ricchi genitori snob se avessero saputo in che genere di postaccio viveva il figlio. Non poteva permettersi altro al momento, le sue scelte avevano inciso molto sul suo rapporto con i coniugi Vane. Perché perdere il proprio tempo a studiare cinema quando poteva prendere in mano le redini della grossa catena di Hotel extralusso dei genitori? Perché non poteva semplicemente seguire le orme dei due fratelli maggiori senza fare tutte quelle storie? Rebecca e Philip erano così coscienziosi, delle piccole copie perfette dei loro genitori e dei nonni prima di loro.

Ma Jules doveva essere diverso, lui doveva avere delle ambizioni artistiche che nessuno accettava. Come si può spiegare l'arte a chi vive di soli numeri? Non si poteva, semplice.

Cacciò via quei pensieri che non avrebbero portato nulla di buono, doveva pensare positivo, l'indomani avrebbe avuto il suo stipendio e tutto sarebbe stato meno grigio e triste, era quello che succedeva sempre in fin dei conti. Una volta salito sul bus tirò fuori il cellulare dalla tasca e iniziò a scorrere le foto sulla home, Dave era lì, maledettamente sorridente mentre posava con un gruppo di modelli che aveva appena truccato. Il suo ragazzo se la stava spassando in Europa, stava inseguendo il suo grande sogno con la sua consueta tenacia, sbattendosene di chi lasciava indietro. Jules lo ammirava per quello.

Sei figo e mi manchi.

Scrisse poche parole come commento a quella foto, pur sapendo che Dave non avrebbe risposto prima di un paio di giorni. Era così che funzionava il loro rapporto e a Jules andava fin troppo bene. Come aveva detto una volta a Klimt, lui e Dave non erano così maturi da intavolare una relazione basata sulla fedeltà, ma lo erano abbastanza da accettare una relazione aperta.

Jules si conosceva fin troppo bene ormai e non aveva una gran opinione di sé stesso, non era fatto per la monogamia, a quel proposito ricordò di aver lasciato un paio di conversazioni in sospeso su Tinder.

Un nuovo sorriso sincero gli increspò il viso.

ANGOLO AUTRICI:

Buongiorno!!! Ben ritrovate alle nostre lettrici più affezionate, rieccoci con una nuova storia! Per chi  non ci conoscesse invece, siamo Black e Steel! Due amiche che scrivono storie a quattro mani con personaggi leggermente fuori di testa. Ci auguriamo che anche questa nuova avventura sia di vostro gradimento e che la seguiate con piacere. Piccola curiosità sui titoli dei capitoli: data la passione per il cinema di un personaggio e le diverse citazioni che si scambiano i nostri protagonisti, ogni capitolo avrà il titolo di un film, speriamo sia un omaggio gradito al mondo del cinema. 

Non vediamo l'ora di sentirvi commentare e avere un parare su questo primo capitolo! Ricomincia un nuovo appuntamento settimanale! A domenica prossima <3

BLACKSTEEL

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