Revolution

Oleh egg___s

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prologo
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diciannove
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ventitré
ventiquattro
venticinque
ventisei
ventisette
epilogo

undici

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Oleh egg___s

Holly

Well, I've been walking, walking, walking behind enemy lines

And I've been fighting, fighting, fighting from the other side

{Behind Enemy Lines - Demi Lovato}

Chiusi l'ombrello, sbuffando.

Odiavo quei giorni autunnali così instabili. L'ora prima poteva esserci un sole che spaccava le pietre, l'ora dopo una bufera in piena regola.

Aprii la porta, lasciando l'ombrello in entrata, insieme alle scarpe ormai fradice. Mi sembrava di camminare dentro un acquario, e toccare terra nuovamente era una strana sensazione. Mi tolsi il cappotto, lasciandolo nell'armadio a muro insieme a tutte le altre giacche, notando quella di mio padre. 

Doveva essere tornato prima dal lavoro.

Mi diressi verso il suo studio, che però era vuoto. Feci dietrofront, svoltando verso il salotto e lo trovai lì, appollaiato davanti alla televisione. Stavano trasmettendo una partita di calcio, forse il derby. Avevo sentito qualcuno parlarne, quel giorno a scuola. Mio padre esultò, scrivendo qualcosa sul computer. Intravidi la pagina della chat di Facebook aperta.

Mio padre aveva tre amici su Facebook: io, mio fratello e mia sorella. Perciò non era difficile capire con chi si stesse scrivendo. Io non ero di sicuro, almeno che qualcuno non si fosse intrufolato nel mio profilo. Mia sorella era partita in vacanza con marito e figlio e di sicuro non avrebbe passato il tempo a parlare con mio padre. Quindi rimaneva mio fratello, che sicuramente era seduto sul divano del suo appartamento a Londra, pizza e birra in allegato.

Tossii, per farmi notare e mio padre si voltò, sorridendomi. Aveva sempre quell'espressione idiota quando parlava con mio fratello. Uomini.

"Sto parlando con Ed."disse mio padre, facendo un gesto della mano per incitarmi ad avvicinarmi.

"Papà - sbuffai - Non mi vede, quindi tanto vale che mi avvicini."

Mio padre rise. Non ne capiva niente di tecnologia.

"Ed ti saluta."disse. Io annuii, sorridente, prima di avviarmi verso la mia stanza.

"Ah, Hollister - alzai gli occhi al cielo, era il nomignolo che mi avevano affibbiato i miei fratelli - È tornata Poppy… cioè, Jess. La puoi riportare dagli Horan?"

"COSA?"strillai, voltandomi con sguardo assassino.

Sbattei un piede a terra, Dio ce l'aveva davvero con me, non c'erano più dubbi.

"Sei tu il veterinario, perché non ci vai tu da quei maledettissimi irlandesi?"biascicai, offesa.

Lui alzò un sopracciglio, tornando a guardare la partita.

"È il derby, Hols… capisci?"

"Capisco - grugnii - Capisco che mi odi!"

Uscii di casa con una stupida mantellina gialla, l'ombrello in una mano e la gabbia con dentro la mia piccola Poppy nell'altra. Avevo messo quella mantella gialla perché il mio ombrello - l'unico rimasto in casa, tra l'altro - era abbastanza piccolo e dovevo tenere sotto sia me che la gabbia.

La pioggia di era fatta più fitta e quasi non riuscivo a scorgere cosa ci fosse davanti al mio naso. Sbuffai per l'ennesima volta e scesi gli scalini della veranda, calpestando pesantemente le pozzanghere, senza badare ai miei stivali di gomma blu troppo bassi che lasciavano che i jeans di bagnassero.

"Non potevi, che so - dissi, rivolta a Poppy - essere la gatta di… chiunque altro, a parte degli Horan? Lo so perché scappi, sono insopportabili, ma devi abituartici. Ignorali, come faccio io. Al massimo graffiali un poco."

Scossi la testa, cercando di ricordare dove abitassero gli Horan. Si erano trasferiti qualche anno prima, circa alla metà delle scuole medie. Una famiglia bizzarra. Meglio, una famiglia irlandese. Chiassosa, invadente e anche un po' fuori dagli schemi. La signora Horan - che in realtà non era più la signora Horan, siccome era divorziata - era una donna abbastanza bassa e in carne, con i capelli corti, biondo cenere. Non somigliava ai suoi figli, tanto che avevano messo in giro la voce che li avesse rapiti, presi dalla strada. Bizzarro, ma in fondo era abbastanza credibile, soprattutto con due ragazzi come Greg e Niall.

Greg era una ragazzaccio muscoloso, con i capelli alla marine e gli occhi piccoli e freddi. Ricordo che tutti avevano paura di lui, nonostante poi si fosse rivelato un ragazzo buono come il pane. Era persino diventato amico di mio fratello, essendo coetanei e sapevo che si vedevano ogni tanto, abitando entrambi a Londra.

E poi c'era Niall, la pecora nera, la rovina della famiglia, l'insopportabile irlandese dalla risata contagiosa e dal sorriso sghembo. Mi montava la rabbia solo al pensiero della sua faccia da schiaffi. Non sapevo perché mi rendesse così nervosa. In fondo avrei potuto ignorarlo senza dargli molta importanza, ma mi era quasi impossibile. Forse perché era davvero fastidioso, come un piccolo moscerino rumoroso.

Aprii il cancelletto della casa bianca, per poi correre verso la tettoia e bussare alla porta, chiudendo l'ombrello. Era una bella casa, quella degli Horan, se non per una terribile bandiera irlandese appesa alla finestra, a mo' di tenda.

Sentii dei passi pesanti, che sovrastarono persino il rumore della pioggia scrosciante alle mie spalle. Quando la porta si aprii non feci nemmeno in tempo a dire nulla che la risata di Niall interruppe il silenzio. Mi guardava piegato in due, con le lacrime agli occhi. Indossava una felpa blu e dei pantaloni della tuta neri, con l'orlo infilato alla ben e meglio in alcuni calzettoni una volta bianchi.

"Non ridere Irlanda - sbottai - Ti ho riportato la tua gatta fuggiasca!"finii, alzando la gabbia davanti alla sua faccia.

Lui si calmò, afferrando la gabbietta e sorridendomi.

"Entra dai - disse, asciugandosi gli occhi - Almeno ti asciughi un po'. Magari dopo smette."

"Oh no - dissi - Devo tornare indietro."

"Insisto."continuò lui, sorridendo come un ebete. Sbuffai ed entrai, superandolo. Mi tolsi la mantellina, mentre lui lasciava libera Poppy-Jess.

"Non c'é nessuno in casa?"chiesi, guardandomi in giro. Non ero mai entrata in casa Horan - mai attraversare la soglia del campo nemico - e, a parte alcune foto abbastanza imbarazzanti di Niall e Greg da piccoli era davvero bella.

"Mia madre è andata a trovare mio fratello - rispose Niall, alzando le spalle - Hai già mangiato?"

Lo seguii in cucina, dopo essermi tolta anche gli stivali. Guardai l'orologio, erano ormai le sette.

"No. - risposi secca, mentre lui frugava nel frigo - Non ancora."

"Oh, ti offrirei volentieri qualcosa, ma sono giorni che vado avanti a McDonald's e pizze e non so se ti vanno delle patatine fredde."

Feci una smorfia.

"Non dirmi che non sai cucinare, Horan, ti prego."sbottai, schifata.

Lui rise. "Diciamo che mi piace cucinare, ma ogni volta che provo a far qualcosa faccio esplodere tutto, perciò mi è vietato persino sfiorare una pentola."

Scossi la testa, non riuscendo a trattenere una risata.

Lui sorrise, grattandosi una guancia in imbarazzo.

Mi avvicinai al frigo. Era pieno, incredibile che Niall non riuscisse a farsi nemmeno un piatto di pasta. Scossi la testa, mentre un tuono illuminava il cielo che pian piano si faceva sempre più scuro e nuvoloso. Rabbrividii, avvicinandomi alla finestra. Spalancai gli occhi nel vedere la strada ormai allagata, per quanta acqua stesse scendendo. Niall mi raggiunse e lo sentii sogghignare.

"Sarà dura tornare a casa - sospirò con finto tono dispiaciuto - Potresti rimanere qua a cena e andare quando il temporale smette."

Alzai gli occhi al cielo. Avrei preferito affrontare qualsiasi calamità naturale, ma Niall aveva ragione, avrei dovuto aspettare.

"Va bene - sbottai, alzandomi le maniche - Allora prepariamoci un piatto di pasta, Irlanda, ma che sia l'ultima volta che devo mangiare con te!"

Allie

Mother mother,

Can you hear me?

I'm just calling to say hello

{Mother Mother - The Veronicas}

Pigiai sul tasto di chiamata e portai il telefono all'orecchio, tremando.

Erano mesi che non sentivo la sua voce, mesi in cui non avevo avuto nessuna notizia. Sapevo che aveva chiamato, due volte, ma non avevo avuto il coraggio di risponderle. L'aveva fatto Liam al posto mio e ogni volta che metteva giù la cornetta, mi rendevo conto di quanto mi mancasse.

Avevo sempre avuto un rapporto terribile con mia madre, da quando lei e mio padre si erano separati. Credevo fosse la madre peggiore del mondo, la odiavo, ma in quei mesi avevo avuto tempo di riflettere un poco e capire che avere a che fare con me non doveva essere facile. O almeno, la me di un tempo.

Vivere con mio padre era piacevole, in fondo, ma era difficile riuscire ad andare d'accordo con Mary e Anastasia. Erano esattamente come la matrigna cattiva e una delle sorellastre di Cenerentola: sembravano provare piacere a tormentarmi.

"Pronto?"rispose una voce maschile, facendomi sussultare. Presi un respiro silenzioso, senza trovare la voce per rispondere.

Sapevo chi era dall'altra parte del telefono: Travis, il fidanzato di mamma. Un trentenne insopportabile con i capelli già brizzolati e gli occhi orientali, troppo pieno di sé da vedere che al mondo esiste qualcun altro all'infuori di sé stesso.

Stetti in silenzio. Non riuscivo a formulare una frase. Cos'avrei detto? Ciao mamma, come stai? Ho chiamato solo per dirti ciao. Mi manchi e voglio tornare a casa. Hai già dato la mia camera in affitto?

Non mi avrebbe fatto tornare così in fretta, sapevo che era ancora arrabbiata. Mia madre mi somigliava più di quanto immaginassi, per questo capivo perfettamente come si sentiva.

"Hey, c'é qualcuno?"chiese Travis, un po' più forte. Volevo dire qualcosa, anche solo uno stupido ciao, mi passi la mia mamma? eppure non riuscii a spiccicare parola. Mi accoccolai sotto le coperte.

"Chi è?"chiese forte la voce di mia madre. 

"Non lo so, non risponde nessuno."le rispose Travis, sbuffando.

"Sarà qualche venditore - disse - Guarda il numero sul display."

Merda. Da quando c'era un telefono con il display? Che in mia assenza avessero rivoluzionato tutta la casa?

"Geoff casa."lesse Travis, lentamente. Deglutii, non avevo la forza ne di parlare, ne di appendere.

"Appendi, magari richiamano dopo."sentii mia madre, poi il rumore della cornetta che veniva sistemata malamente, ma il tipico tuuu non lo seguì. Evidentemente Travis non l'aveva sistemata bene.

"Forse era Liam."sentii la voce di mia madre, pensierosa.

"Fa niente, richiameranno."disse Travis.

Lui ci odiava. Un po' di meno di Mary, ma era chiaro che non ci avesse mai sopportato. Il motivo era ridicolo quanto semplice: non eravamo perfetti. Travis non aveva figli, ma se mai ne avesse avuti li avrebbe fabbricati come le bambole, talmente belli da non sembrare reali, ma soprattutto che facevano ciò che lui voleva.

"È da un po' che non li sento…"continuò mia madre.

"Non so te, Karen - disse Travis - Ma io sto decisamente meglio senza di loro."

Sussultai, nel sentire quelle parole. In fondo lo sapevo, ma faceva male.

Sentii mia madre sbuffare. "Thomas non essere sciocco - sospirò - Sono i miei figli, non puoi capire…"

"Non ricominciare con questa storia, Karen - la rimproverò lui, facendomi stringere la mano a pugno - Ammettilo che senza di loro è tutto molto più tranquillo, migliore. Niente più chiamate della polizia alle quattro di mattina, niente più ragazze e ragazzi sconosciuti che sgattaiolano via alla mattina, niente più avvisi di sospensione dalle scuole, niente più occhiatacce da parte delle altre persone…"

"In effetti non hai tutti i torti - rise mia madre - Si sta un po' più tranquilli…"

Non volli più ascoltare altro, pigiai il bottone rosso per poi buttare il telefonino contro una parete. Sentivo le guance in fiamme e gli occhi umidi, mentre la prima lacrima mi rigava il volto.

Mia madre non mi voleva più, stava molto meglio senza di me.

Cominciai a singhiozzare forte, nascondendomi sotto le coperte. Non seppi quanto stetti in quella posizione fetale, ma quando percepii qualcuno sedersi accanto a me fuori vi era il temporale.

Scostai le coperte, sicura di trovare Liam seduto accanto a me, ma in realtà vi era l'ultima persona che mi sarei aspettata: Harry.

"Dovresti smetterla di apparire in camera mia senza preavviso."dissi, asciugandomi gli occhi. Lui accennò un sorriso, ma sembrava preoccupato.

"La prossima volta manderò un gufo." disse, scostandomi i capelli dal viso.

"Cosa ci fai qui?"chiesi con un filo di voce, trattenendo le lacrime. Non riuscivo a non pensare a quelle parole taglienti, era come ricevere un pugno ad ogni sillaba.

"Io e Amber stavamo per uscire ma fuori non si può proprio andare, così la tua amata matrigna mi ha invitato a cena."

Feci una smorfia, ma sorrisi. Doveva essere bruttissima la mia espressione, perché Harry scoppiò a ridere. Appena si calmò mi guardo con quei suoi bellissimi occhi e mi fece un caldo sorriso, mentre le sue adorabili fossette si creavano sulle guance.

"Non che voglia ficcare il naso nei tuoi affari - disse - Ma è tutto a posto?"

Io scossi la testa, abbassando lo sguardo.

"Ho chiamato mia madre e diciamo che… non ho avuto buone notizie."risposi sinceramente. Avrei potuto dirgli tranquillamente una bugia, ma sentivo che potevo dirgli la verità. Mi fidavo.

"Sta male?"si preoccupò.

Sorrisi amaramente.

"Pare che non mi voglia più. Non posso tornare a casa."sospirai. Lui mi prese una mano, stringendola forte.

"Beh, ma ora è questa casa tua!"disse lui, senza perdere il sorriso.

Alzai lo sguardo sul suo bellissimo volto. "Non la sento come casa mia… questa non è la mia famiglia. Vorrei tanto andarmene."

Lui fece un'espressione triste. "Ma io non voglio che tu te ne vada!"esclamò.

Sbarrai gli occhi, sorpresa.

Avrei tanto voluto chiedergli di più, farmi spiegare il vero significato di quella frase, ma non feci in tempo ad aprire bocca che la diabolica Anastasia era piombata in camera nostra, incenerendoci con lo sguardo e avvisandoci che la cena era in tavola.

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