Amici mai || MetaMoro

Von lapacechenonho

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Fabrizio Moro era un noto cantautore italiano. Aveva 42 anni, una famiglia, incasinata, ma pur sempre una fam... Mehr

Capitolo 1.
Capitolo 2.
Capitolo 3.
Capitolo 4.
Capitolo 5.
Capitolo 6.
Capitolo 7.
Capitolo 8.
Capitolo 9.
Capitolo 10.
Capitolo 11.
Capitolo 12.
Capitolo 13.
Capitolo 14.
Capitolo 15.
Capitolo 16.
Capitolo 17.
Capitolo 18.
Capitolo 19.
Capitolo 21.
Capitolo 22.
Capitolo 23.
Epilogo.

Capitolo 20.

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Von lapacechenonho

Può nascere un fiore nel nostro giardino

Che neanche l'inverno potrà mai gelare

Può crescere un fiore da questo mio amore per te.

(A mano a mano - Rino Gaetano)

Quando Fabrizio aveva chiesto ad Ermal di scrivere un pezzo insieme sapeva che sarebbe finita così. E ne era consapevole anche Ermal. Nonostante tutte le buone intenzioni con cui erano partiti, ed i paletti personali che si erano prefissati, adesso Ermal si trovava sdraiato sul divano di ecopelle nera, tanto elegante, quanto scomodo in una situazione simile, con Fabrizio sdraiato di sopra che si avventava sulla sua bocca. Aveva del tutto disattivato il cervello, ed era pronto ad andare oltre e, da quello che riusciva a percepire, anche Fabrizio lo era. E probabilmente sarebbe successo. Se non avessero suonato al campanello.

Fabrizio si alzò di scatto, quasi come si fosse scottato o come e gli avessero gettato dell'acqua gelida mentre dormiva. «Cosa stavamo facendo?» mormorò passandosi un mano sulla bocca. Non era di certo la reazione che Ermal si sarebbe aspettato, capiva il motivo della reazione ma vedere quell'espressione confusa, quasi spaventata sul volto di Fabrizio fu una delle cose peggiori della sua vita.
«Ho bisogno del bagno» disse semplicemente con un filo di voce. Una volta entrato nel bagno si sciacquò la faccia con l'acqua gelida. Doveva riprendersi da quell'insieme di emozioni che lo avevano sovrastato fino a qualche minuto prima. Avevano fatto un errore, la reazione di Fabrizio era del tutto comprensibile. Ma aveva cominciato lui, perché poi pentirsene? O aveva iniziato prima Ermal? Nella sua testa le immagini erano sfocate. Sospirò cercando di prendere aria pulita. Qualcuno alla porta bussò. «Ermal, tutto bene?» era Fabrizio.
«Sì» si affrettò a rispondere. «Un attimo solo e ci sono».
Sospirò per l'ennesima volta e poi uscì.

Nel salotto Andrea era seduto su una poltrona mentre Fabrizio sul divano con una chitarra in mano. Non stavano facendo niente di particolare: Fabrizio sorseggiava una Peroni e strimpellava qualche nota, Andrea aveva il cellulare in una mano e la birra nell'altra. «Oh Ermal» disse Fabrizio ridestandosi e alzandosi dal divano. «Lui è Andrea Febo, mio collaboratore storico. Andrea, lui è Ermal Meta». Andrea gli porse la mano ed Ermal la strinse vigorosamente. Subito dopo si accomodò sul divano, a debita distanza da Fabrizio, e cominciarono a lavorare.

Il ritornello che gli presentarono non era niente male, né a livello di testo, né di musica. Gli piaceva. E soprattutto gli piaceva l'idea di creare un contrasto musicale ovvero creare una melodia che non fosse eccessivamente "pesante" come le parole del testo. «Mi piace» sentenziò Fabrizio dopo aver ascoltato la sua idea. Anche Andrea si trovò d'accordo.
«A me piacerebbe invece che non si parlasse solo degli attentati in Europa, ci sono moltissimi paesi, in Asia, in Africa, in cui avvengono attentati di cui non sappiamo niente» disse Fabrizio. Ermal intanto si appuntò una frase. «Che scrivi?» chiese.
«Una frase. "Al Cairo non lo sanno che ore sono adesso"» disse sovrappensiero. Andrea lo guardò con aria interrogativa. «Quando c'è un attentato, esplode una bomba, o dei pezzi di merda sparano con un fucile il tempo si ferma. Niente ha più senso se non sperare di sopravvivere abbastanza da salutare i tuoi cari un'ultima volta. Immagino che la gente si sia trovata in una sorta di limbo tra la vita e la morte, così improvvisamente. Qualche ora prima sono entrati entusiasti dentro un'arena, e qualche ora dopo a piangere qualcuno perché un pazzo ha deciso di farsi esplodere».
«Wow» commentò semplicemente Andrea.
«"Qualcuno canta forte, qualcuno grida a morte". Appunta questa frase» disse Fabrizio guardandolo negli occhi.

Non fu una scrittura "normale", nel senso che fu itinerante. «C'ho fame, andiamo in cucina?» chiedeva Fabrizio, e allora tutti si spostavano in cucina, poi avevano bisogno di una base al piano allora si erano trasferiti nello studio, poi di nuovo in salone perché lo studio non aveva un divano "abbastanza comodo" a detta di Fabrizio. «Ogni volta che mi sdraio, quanno me arzo poi c'ho mal di schiena» aveva detto sulla difensiva.
«Ti viene il mal di schiena perché sei vecchio, non perché il divano è troppo scomodo». A quel punto Fabrizio aveva messo su un finto broncio così adorabile che dovette resistere all'impulso di baciarlo per farglielo passare.

Erano circa le 20 quando squillò il citofono di casa. In quel momento Fabrizio era così concentrato a cercare di formulare una frase per chiudere la seconda strofa che quasi sobbalzò sentendo quel suono. «Aspettavi qualcuno?» chiese Andrea. Nel petto di Fabrizio intanto cresceva l'ansia.
«Forse mi sono dimenticato di dirvi che stasera devo tenere i bambini» disse cercando di sminuire la cosa e aprendo il cancello.
«Niente carbonara?» chiese quasi deluso Ermal. Fabrizio rise, sembrava proprio un bambino. «No, potete fermarvi se ve va. Però dobbiamo chiedere ai bimbi cosa vogliono perché se no so' cazzi». Passarono pochi secondi prima di vederli spuntare nel giardino con i loro zainetti per la notte. La più piccola correva verso di lui con le braccia spalancate urlando «PAPÀÀÀ». Anche il più grande correva. Verso il pallone.
«Ciao Li'» disse passandogli una mano tra i capelli.
«Ciao pa'» rispose continuando a rigirarsi la palla tra i piedi. Dopo poco arrivò Giada con i due piccoli trolley dei bambini. Si apprestò a darle una mano.
«Ciao Fabrì» disse sospirando e dandogli un bacio sulla guancia.
«Ciao Giadi'» rispose lui. Nel frattempo quella piccola peste di sua figlia gli si era accollata addosso e non aveva alcuna intenzione di scendere.
«Devo riempirlo di baci perché sennò poi le altre femmine se lo prendono» Fabrizio non era riuscito a fare a meno di ridere.
«Anita, tesoro, puoi lasciare la mamma e il papà da soli un attimo? Dobbiamo parlare di cose da adulti». La bambina guardò scocciata la madre. Fabrizio invece si accigliò.
«Che succede Giada? È qualcosa di grave?»
«Ma no, stai tranquillo» lo rassicurò. «Libero ultimamente è molto irascibile, anzi quando è con te lo è molto di più perché gli pesa il fatto che tu stia quasi sempre lontano». Fabrizio sospirò sedendosi in una delle sedie del giardino. «Non devi fartene una colpa. È l'età. Ha 8 anni e ha già visto la sua famiglia rovinarsi e vede suo padre poco. È normale che sia così» la donna si sedette accanto a lui. «Ti chiedo solo una cosa: per questi giorni, ti prego, non prendere impegni». Fabrizio spostò lo sguardo su suo figlio che tentava di insegnare alla sorella come giocare a calcio, e lo vide improvvisamente vecchio, come se avesse vissuto più anni di quanti realmente ne avesse. Era fragile, stanco, come un filo d'erba.

Dopo aver congedato Giada, rientrarono tutti e tre, i bimbi erano stati precedentemente avvisati che ci sarebbero stati ospiti a cena, di conseguenza si sarebbero dovuti comportare quantomeno decentemente e non fare tanti capricci. «Ah, ma è lo zio di Miria!» esclamò Anita quando vide Ermal. Il riccio, che fino ad un momento prima era chino sul foglio, alzò la testa e salutò i bambini. Poi fu il turno di Andrea e poi Fabrizio si chiuse in cucina per preparare la cena, ancora scosso dalle parole della sua ex compagna. Come avevano fatto ad essere così tanto egoisti da non rendersi conto di quanto soffrisse il loro bambino? Aveva solo 8 anni e ad 8 anni il mondo dovrebbe essere un'esplosione di gioia e di colori ed il pensiero che probabilmente quei colori nella mente di Libero si limitasse al grigio gli provocò una fitta al cuore, non sapeva se fosse vera o illusoria ma sentì il bisogno di sedersi un attimo prima di continuare a cucinare.

«Si può? O quando lo chef lavora non vuole essere disturbato?» suo malgrado, Fabrizio sorrise ritornando velocemente al posto di cottura.
«Prego, entra» disse semplicemente. «Tutto bene?» chiese il più giovane appoggiandosi al tavolo.
«Sì, sì, perché?»
«Ti ho visto un po' strano» osservò il riccio.
«Sono un po' preoccupato per i miei figli, ogni tanto capita».
«Ti va di parlarne?» domandò premuroso.
«Meglio di no. È pronta la cena».

Quando si hanno ospiti a cena e ci sono dei bambini piccoli il problema non è tanto la cena in sé ma il DOPO cena. Per i bambini, infatti, gli ospiti in casa propria sono un'attrazione migliore del luna-park, di una maratona di Peppa Pig o di una partita di calcio che dura 24 ore ininterrotte. Gli ospiti sono il motivo per cui i bambini urlano e strillano che vogliono stare svegli ancora altri 10 minuti per giocare con loro, per far vedere loro quanto sono bravi a disegnare, far vedere l'ultimo lavoretto fatto all'asilo o l'ultimo regalo che hanno ricevuto. E Libero ed Anita non ne erano esenti. Anche loro quella sera fecero di tutto per mendicare un aumento del coprifuoco a volte con l'aggiunta di 10 minuti, altre volte con 20 minuti. «Domani mattina volete andare a trovare la nonna?» chiese retorico.
«NO!» risposero in coro. «Noi vogliamo stare svegli fino a tardi!» disse Anita cercando l'approvazione del fratello maggiore che annuì.
«Allora facciamo un ultimo gioco e poi ce ne andiamo tutti a letto. Anche noi grandi. Solo che Andrea ed Ermal vanno a dormire a casa loro».
«E non possono dormire qua?» chiese Anita con una vocina triste.
«No tesoro di papà, dove li mettiamo?»
«Allora Ermal può dormire con me e poi zio Andrea lo fai dormire in salone», Fabrizio scoppiò a ridere, insieme ad Ermal ed Andrea.
«Grazie, eh!» commentò Andrea fingendosi offeso.
«Non credo sia una buona idea» disse Ermal asciugandosi ancora qualche lacrima agli angoli degli occhi.
«Ascoltiamo la proposta di papà» avanzò Libero che fino a quel momento aveva taciuto.
«Ci mettiamo tutti e cinque all'inizio del corridoio, un striscia di scotch delimiterà l'area da cui partire. Al via partiamo e chi arriva prima nella vostra stanza domani può stare sveglio dieci minuti in più».

Il compromesso venne accettato anche dai bambini. Andrea si propose come arbitro, per gridare il via e decretare il vincitore, così furono in quattro a gareggiare. Il corridoio della casa era abbastanza grande da permettere a tutti e quattro di entrare piuttosto bene, certo il sorpasso sarebbe stato un po' complicato ma a loro non interessava. Dopo aver chiarito nuovamente le regole – non si spinge, non si butta a terra l'avversario, non correte eccessivamente veloci, gli sgambetti non valgono – la gara iniziò. Diede un'occhiata ad Ermal e lo vide tranquillo, rilassato, quasi felice. Non l'aveva mai visto in questo stato di beatitudine. Terminò circa un minuto dopo, e Libero fu eletto vincitore, ma questo non stava bene ad Anita che quindi dovette ricevere una serie di baci e di coccole extra da Fabrizio e qualche dose di solletico. Alla fine si addormentò tra le braccia del padre, stanca dal pianto e dalla bella serata. Poi Fabrizio si avvicino a Libero. «Libero che ci fai ancora sveglio?» chiese.
«Devo dirti una cosa» disse guardandolo incerto.
«Dimmi, avanti» lo invitò Fabrizio.
«Ti voglio bene, papà. Mi sono divertito tanto stasera» e poi gli diede un bacio.
Fabrizio dovette trattenere le lacrime, era troppo anche per lui. «Anche io ti voglio bene» disse stringendolo forte. Il bimbo si sdraiò di nuovo con un sorriso impresso sul volto.

«Fabrì» disse Ermal sullo soglia della porta della camera dei bimbi. «Credo di aver appena trovato la frase finale della nostra canzone».

"Non mi avete fatto niente" era appena nata.

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