Amici mai || MetaMoro

By lapacechenonho

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Fabrizio Moro era un noto cantautore italiano. Aveva 42 anni, una famiglia, incasinata, ma pur sempre una fam... More

Capitolo 1.
Capitolo 2.
Capitolo 3.
Capitolo 4.
Capitolo 5.
Capitolo 6.
Capitolo 8.
Capitolo 9.
Capitolo 10.
Capitolo 11.
Capitolo 12.
Capitolo 13.
Capitolo 14.
Capitolo 15.
Capitolo 16.
Capitolo 17.
Capitolo 18.
Capitolo 19.
Capitolo 20.
Capitolo 21.
Capitolo 22.
Capitolo 23.
Epilogo.

Capitolo 7.

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By lapacechenonho

E quanto all'amore 
Mi salvi chi può.
(Mi salvi chi può – Ermal Meta)

Ermal aveva invitato Fabrizio ad andarsene; non era più il benvenuto. Era salito a casa, aveva inventato una scusa e aveva fatto andare via anche Maurizio. Silvia era sul piede di guerra pronta a litigare ma Ermal si sentiva svuotato dentro ed umiliato per la seconda volta nella sua vita, quindi le chiese se potevano rimandare la discussione all'indomani.

Si chiuse nello studio. Si accese una sigaretta e fissò la città addormentata.

Ripensò a tutto. A come aveva deciso di dedicarsi alla musica ma che nell'incertezza aveva deciso di andare all'università a Roma, pagando con quei pochi spiccioli che aveva guadagnato. Ripensò a come quella sera aveva conosciuto Fabrizio. Ricordava che gli aveva fatto quasi impressione per quanto fosse magro e per quanto avesse il viso scavato, non solo dalla droga ma dalla vita stessa. Aveva paura che se l'avesse sfiorato si sarebbe rotto in mille pezzi – e per dirlo Ermal doveva apparire veramente fragile. Ma poi dentro gli occhi aveva visto la tempesta e lui amava i temporali, per questo si erano avvicinati. Era successo nel modo più naturale e spontaneo possibile, finché l'amicizia non si era trasformata in amore.

Si incontravano tutti i pomeriggi al parchetto dell'EUR in cui avevano trovato un angolo appartato. La testimone del loro amore era stata la musica. Avevano iniziato a parlare di musica perché quella famosa sera suonava con la sua band in un pub di Roma in cui c'era pure lui con qualche amico con cui probabilmente sarebbe andato a farsi a fine serata.

Ripensò al loro primo bacio sotto quell'albero solitario, quando Fabrizio gli aveva preso dolcemente il viso tra le mani per baciarlo lasciando Ermal spiazzato perché era sempre stato convinto che a lui piacessero le ragazze, non aveva mai pensato che potesse essere gay.

Ripensò al loro primo appuntamento. Non era stato niente di così romantico, semplicemente si erano seduti di fronte al laghetto dell'EUR e avevano condiviso un po' di musica e qualche trancio di pizza. Era stato un appuntamento informale ma il più bello che Ermal ricordasse. Non erano tipi da grandi ristoranti, anche perché all'epoca non se li sarebbero manco potuti permettere. Erano essenziali, persi all'interno dei loro sentimenti.

E poi era arrivata la loro prima volta. Era successo a casa di Ermal, perché Fabrizio viveva con i suoi e raramente aveva casa libera. Avevano visto un film a da piccoli baci innocenti erano passati a baci più focosi e brucenti che ardevano di passione e desiderio. I respiri si erano fatti più pesanti ed i sospiri erano diventati gemiti e poi urla di piacere. Ed erano finiti in camera da letto. Ermal ricordava ancora l'espressione triste che si era dipinta sul volto di Fabrizio quando gli aveva detto che non poteva fermarsi lì a dormire perché entro poco tempo sarebbero tornati i suoi coinquilini. Aveva preso le sue cose e senza dire una parola ma lasciandogli un fugace bacio a fior di labbra se n'era andato. Avevano continuato a vedersi ed in particolare i colleghi di Ermal avevano iniziato a fare battutine e a chiedere delucidazioni sulla natura del loro rapporto ma lui era sempre rimasto piuttosto vago. «Piccole' prima dobbiamo capi' noi cosa siamo, poi lo diciamo agli amici tua» rispondeva sempre Fabrizio.

Molte volte si erano trovati a discutere a causa della tossicodipendenza di Fabrizio. Ermal sapeva che era difficile smettere, per questo aveva provato più volte a portarlo in qualche centro di disintossicazione o da un qualche psicoterapeuta ma era proprio in quelle occasioni che Fabrizio assumeva dosi più pesanti ed Ermal se ne rendeva conto dalle occhiaie pesanti e dal viso scavato con cui veniva a trovarlo il giorno dopo.

Forse il loro fu davvero un rapporto innaturale, durato giusto un paio di mesi per scoprirsi inadatti l'uno all'altro e poi lasciarsi perché forse sarebbe stato meglio così. Ermal non aveva mai scoperto dove abitava Fabrizio, sapeva solo che stava a Setteville e che lavorava in un hotel come facchino e poi nell'officina del padre ma niente di più, non amava parlare della sua famiglia perché, in parte, era proprio a causa loro che non era riuscito a rimanere fuori dal giro.

Ermal spense la sigaretta e iniziò a far muovere le dita sul piano sperando che quella musica alleviasse il suo dolore.

Quella mattina Fabrizio era alle prese con i bagagli di una comitiva di ragazzi. Per l'estate era stato spedito in un villaggio turistico ad Ostia per mancanza di personale, aveva accolto ben volentieri l'idea pensando alle volte che avrebbe potuto smontare il turno e farsi un bagno al mare, tra l'altro poi sarebbe rimasto solo a Roma e non sopportava rimanere in casa se non nelle ore di riposo anche se a volte evitava pure quelle. «Lei è Fabrizio Mobrici?» gli chiese un ragazzo alle sue spalle. Fabrizio si girò. Era un ragazzo intorno ai 17 anni, un normale ragazzo come tanti altri. «Sì. Problemi con i bagagli?» chiese. A volte gli capitava di confondere le valigie ma quasi sempre gli era capitato di accorgersene giusto in tempo prima di rischiare il licenziamento. «No, no tutto bene». Fabrizio non ebbe manco il tempo di assumere un'espressione accigliata che venne sbattuto violentemente e prepotentemente sulla parete della stanza in cui stava riponendo le valigie. Lo strano ragazzo chiuse la porta per non farsi vedere né sentire da altri fuori dalla stanza. Era bloccato al muro a causa dell'avambraccio del ragazzo che opprimeva il petto di Fabrizio «Sei un drogato di merda» sibilò. Fabrizio strabuzzò gli occhi incapace di capire come avesse captato ciò. «Che ne sai tu?» chiese.

«So molto più di quello che tu possa credere» sputò. «Lascia stare Ermal. Lascialo perdere. Lui è troppo per te. Lo faresti solo soffrire. Pensa se un giorno prendessi una pasticca in più e finissi in overdose, cosa ne sarebbe di lui? Quanto ne soffrirebbe? Lo sai quello che ha già passato e sai che non si merita una persona come te, solo che non vuoi ammetterlo». Il ragazzo aveva ragione, spesso aveva pensato che Ermal fosse decisamente troppo per lui, forse anche per questo non aveva insistito più di tanto a dare una definizione alla loro relazione. 

Fabrizio si strattonò e fece per uscire ma venne bloccato di nuovo.

«Sei solo una distrazione, vedrai che gli passerà». Fabrizio guardò amareggiato il ragazzo. Quel ragazzo gli faceva schifo. Perché poteva anche dubitare di sé stesso, ma non avrebbe mai dubitato dell'amore di Ermal, era la cosa di cui era più sicuro in quel momento.

Chiese un permesso per malattia e poi tornò nella sua stanza, nei bungalow riservati al personale. Si sdraiò sul letto continuando a ripensare alle parole dello sconosciuto. Per quanto sconosciuto fosse, aveva ragione. Lui non era adatto per Ermal, così perfetto, così tranquillo, così candido, così piccolo da aver bisogno di proteggersi in un abbraccio quando era stanco o triste. E lui invece cos'era? Un ammasso di imperfezioni buono a nulla, un casino vivente, un "drogato di merda" che avrebbe solo incasinato Ermal fino a farlo soffrire ulteriormente. Con quell'amarezza alla bocca dello stomaco ingurgitò le pasticche di ecstasy, un numero tale da farlo risvegliare qualche giorno dopo.

Quando Fabrizio aprì gli occhi si trovava in ospedale. Sua madre era seduta su una sedia e dormiva. Aveva il volto stanco, Fabrizio riuscì facilmente ad immaginare il perché. Sospirò con le lacrime che gli rigavano il volto, ricordando fin troppo bene cosa fosse successo prima di sentirsi male. La madre si svegliò e gli si lanciò addosso dando sfogo ad un pianto liberatorio. Fabrizio invece piangeva perché stava lasciando Ermal e in fondo era giusto così, quel ricciolino meritava di viversi i vent'anni senza dover fare il baby-sitter ad un drogato. E piangeva perché sapeva che quello era il punto di non ritorno, perché i suoi genitori, che fino ad allora avevano ignorato il problema, erano lì e Fabrizio era certo che sua madre non avesse abbandonato la poltrona dal momento in cui vi avevano portato Fabrizio e perché li aveva delusi, di nuovo, come da 25 anni a quella parte.

Quando arrivò a casa i suoi fratelli a malapena lo salutarono, dopotutto non poteva biasimarli, a scuola sarebbero passati come "i fratelli di un drogato di merda". Ed era stata in quell'occasione che suo padre, durante il pranzo aveva esordito dicendo «Adesso scegli: o la roba o noi» e sebbene il buonsenso gli suggeriva di scegliere la famiglia, l'istinto di auto-distruzione che si era generato in lui aveva avuto la meglio e aveva scelto la droga.
Aveva lasciato casa sua nel tardo pomeriggio, sotto gli occhi increduli dei fratelli e di sua madre che singhiozzava istericamente implorandolo di restare. Suo padre, invece, non aveva mai staccato gli occhi dalla TV immerso, forse, a guardare qualche gioco televisivo.

Fabrizio si svegliò di soprassalto nel cuore della notte. Il cuore gli batteva all'impazzata ed il respiro era sempre più affannoso, così tanto da non permettergli di parlare. Si alzò di scatto e andò a svegliare Maurizio, conscio di ciò che gli stava accadendo. «Fabrì» mormorò.
Ma si sollevò di colpo sentendo i respiri irregolari e affannosi del cantante. «Fabrì stai calmo. Guardami. Respira piano», disse Maurizio cercando di calmare il collega. Nel frattempo Fabrizio sentiva mani e piedi addormentati ed un forte calore propagarsi in tutto il corpo.

Ci volle un po' prima che si calmasse, anche con l'aiuto di Maurizio, che sapeva di non dover fare domande. Ancora tremante bevve un sorso d'acqua e si sdraiò a letto consapevole che non avrebbe più chiuso occhio. Era tornato il panico. L'ansia. I ricordi indesiderati del suo passato. Tutto.

Sospirò pensando a quanto odiasse quel riccio così tanto attraente.

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