Losing Game

By AnnachiaraCuozzo

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Cosa credi di aver detto

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By AnnachiaraCuozzo

Cosa credi di aver detto,
quando sei convinto di aver detto tutto.

L'Inghilterra aveva un buon sapore.
L'avevo intuito appena scesa dal mio aereo e, a distanza di anni, continuavo a pensarlo.
Quello dolce del the mischiato al latte, quello leggero del vento sul Tamigi, quello poetico degli artisti di strada.
Aveva un sapore tutto suo, un gusto completamente diverso da quello a cui ero stata abituata a San Francisco.
Qui era tutto più piccolo, tutto più ordinato, perfetto.
Qui la gente era perennemente indaffarata e sbrigativa, eppure tutti sembravano calmi ed equilibrati, non lasciavano trasparire neppure una goccia di inquietudine.
Gli inglesi parlavano con quel loro accento impeccabile e sembrava che qualsiasi parola fosse corretta, qualsiasi discorso sensato a differenza dei miei, con le parole strascicate e le vocali sempre troppo aperte.
Ambientarmi non era stato difficile, eppure non mi sentivo comunque una di loro.
Che fosse anche solo lo stupido soprannome che Eric mi aveva affibbiato, la capitalista, sembrava che l'America io ce l'avessi cucita addosso e, comunque avessi provato a mascherarmi, sarebbe saltata all'occhio.
L'unica cosa in cui somigliavo agli inglesi, a dirla tutta, era la mia razionalità.
Gli americani erano molto più rilassati sotto quel punto di vista, più calorosi e affettuosi, un po' come gli italiani.
Gli inglesi invece, un po' come me, tendevano a mantenere sempre le distanze, a non concedersi completamente.
Fatta eccezione per Eric e Shelby, infatti, non conoscevo inglese che si fosse mai buttato a capofitto in qualche relazione interpersonale, fosse essa anche solo un'amicizia.
E questa era sempre stata una mia caratteristica, una di quelle che odiavo di più che allo stesso tempo mi tenevo stretta per paura di farmi male.
Essere diffidente e sulle proprie poteva risultare noioso per le altre persone, ma per me era un modo per proteggermi, per evitare di legarmi troppo a qualcuno e ritrovarmi poi a stringere un pugno di mosche.
La verità era che, a me, i sentimenti spaventano moltissimo.
Un po' perché ero stata costretta a crescere senza, un po' perché quei pochi che avevo avuto poi li avevo lasciati dall'altra parte dell'oceano...qualunque fosse il motivo, adesso avevo imparato a tenerli a distanza.
Amavo Eric e Shelby con tutta me stessa, eppure non glielo lasciavo capire, non mi sbilanciavo mai troppo.
Sapevo che anche loro tenevano tantissimo a me, ma non c'era modo di scollarmi di dosso la paura che potessero smettere.
Ero fatta così, dannatamente insicura, perennemente convinta che le passioni sconvolgenti fosse meglio tenerle a distanza e che fosse molto più semplice accontentarsi di emozioni semplici e rassicuranti, di sentimenti mai così forti da cambiarti la vita.
Come con David, che quella sera mi aspettava paziente alla fermata della metropolitana di Camden Town.
Completamente fuori luogo in quel posto così colorato e stravagante, lui con il suo cappotto lungo e i suoi mocassini ai piedi.
Bello era bello, non gli si poteva dire nulla.
I capelli biondi lunghi fino a solleticargli il collo, gli occhi azzurri e grandi, il fisico alto e dinoccolato.
Elegante ed educato, intelligente ed ambizioso.
David avrebbe potuto essere il ragazzo perfetto e per me, in un certo senso, in quel periodo lo era davvero.
Considerato ciò che desideravo, non avrei potuto avere di meglio.
Mi trattava bene, mi rispettava.
Non pretendeva mai troppo, mi lasciava i miei spazi.
<< Ehi >>
Mi avvicinai a lui sorridendogli ed alzandomi poi sulle punte per schioccargli un bacio sulle labbra.
<< Ciao piccola >> mormorò lui ad un millimetro da me, poggiandomi poi un braccio attorno alla vita e tentando di approfondire il bacio.
Gli porsi la guancia, imbarazzata.
<< Dave, siamo per strada >>
Lui sbuffò, ma ormai era abituato a quelle mie limitazioni, tanto che mi accarezzò il viso con dolcezza.
<< La mia bellissima ragazza timida >>
Gli sorrisi anch'io, prendendogli poi la mano per dirigerci verso i tornelli della metro.
Le effusioni eccessive in pubblico erano una delle cose da cui mi tenevo più alla larga.
Odiavo sentire lo sguardo della gente contro la pelle, percepire i loro giudizi che mi cadevano addosso, invadenti e sottili come la pioggia inglese.
<< Dove andiamo allora? >> gli domandai quando ormai eravamo già saliti sul vagone in direzione del centro.
<< Klaus ha proposto un pub dalle sue parti, vicino al British >> spiegò, la sua mano ancora nella mia << Ti piacerà >>
<< Klaus è il ragazzo tedesco, giusto? >>
Dave annuì.
<< Klaus è il tedesco che ti ho presentato per chat, è molto simpatico ma un po' chiuso, devi prenderci confidenza >> iniziò.
<< John invece è il mio compagno di università e con lui puoi andare tranquilla, ti metterà subito a tuo agio. Mike é più fantastico, fa morire dal ridere; Will invece... >>
Lo guardai interrogativa, incitandolo a continuare.
<< Beh, diciamo che Will non è proprio il tipo di persona con cui potresti andare d'accordo: però è un bravo ragazzo, te lo assicuro >>
Mi chiesi cosa volesse dire con quella frase, ma il rumore della metropolitana mise presto a tacere il nostro discorso.
Feci però tesoro delle informazioni che mi aveva dato: odiavo essere impreparata in qualsiasi situazione, ancora di più se si trattava di essere al centro dell'attenzione.
E sera lo sarei stata inevitabilmente, considerando che Dave aveva organizzato quell'uscita proprio per presentarmi ai suoi amici.
<< Sei pronta? >> mi sorrise ancora una volta.
Ed io, nonostante non lo fossi affatto, annuii.

*

Il pub era situato in una stradina secondaria, poco frequentato ma piacevole alla vista.
L'illuminazione era buona, a differenza di ciò che avevo pensato, così come l'arredamento stile vintage che potevo intravedere dalla finestra che dava sulla strada.
Dave, conoscendo la mia agitazione, mi tenne per mano fino a quando arrivammo là fuori, ripetendomi per tutto il tragitto che i suoi amici mi avrebbero adorata.
Per l'occasione avevo scelto di essere il più sobria possibile, indossando un abitino a fiori che lasciava scoperte le gambe ed abbinandolo ad una giacchetta di jeans, i capelli corti e un po' mossi lasciati liberi, il trucco appena accennato.
Il mio abbigliamento faceva a pugni con il cappotto pesante di Dave, eppure in quella città avevo imparato anche questo: potevi vestirti come ti pareva in qualsiasi stagione e nessuno ti avrebbe mai giudicato.
<< Bro! >> sentii esclamare da un gruppetto di ragazzi proprio fuori all'entrata, riconoscendo subito le persone che mi aveva descritto.
C'era il tedesco con i suoi tratti perfettamente marcati, il compagno di università che avevo già visto in foto e altri due ragazzi.
<< Ma buonasera! >> salutò Dave, eccitato mentre spostava immediatamente l'attenzione su di me.
Per qualche strana ragione, sembrava entusiasta di presentarmi, quasi orgoglioso.
<< Lei è Scarlett >>
<< Scar >> lo corressi subito, accennando un sorriso imbarazzato.
Il mio nome me l'ero lasciato alle spalle assieme alla California, tenendomene addosso soltanto la cicatrice.
Sentì qualcuno ridacchiare sommessamente, al che mi voltai infastidita.
Il ragazzo non si fermò neppure dopo aver ricevuto il mio peggior sguardo scocciato.
<< Scar, come quello del Re Leone? >> mi prese in giro, una faccia da schiaffi come ne avevo viste poche nella mia vita.
Gli altri ridacchiarono appena, mentre Dave tentò di difendermi seppur anche lui apparisse divertito dalla battuta.
<< Dai Will, lasciala stare! >>
Le parole di Dave mi rimbombarono in testa e mai come in quel momento pensai che il mio ragazzo, almeno un po', avesse imparato a conoscermi.
Will non è proprio il tipo di persona con cui potresti andare d'accordo.
Se poco prima mi ero infatti chiesta cosa volesse dire con quella frase, adesso era chiaro: Will aveva l'arroganza tatuata sul viso ed io, Dave lo sapeva, le persone così non le avevo mai sopportate.
<< Ah, così tu sei William? >>
Pur senza saperlo, colsi nel segno.
<< Will >> mi corresse infatti lui immediatamente, ricordandomi la stessa urgenza che avevo usato io poco prima.
Ghignai soddisfatta.
<< Allora non sono l'unica che non ama il suo nome per intero >>
Lui non fece una piega ma, sentendo le risatine degli altri ragazzi, capii di averlo infastidito almeno un po'.
Non ebbi però tempo di verificarlo, perché subito Dave ritenne opportuno ricominciare le presentazioni.
<< Lui è Mike >> esclamò, indicandomi il ragazzo più carino del gruppo e continuando poi con gli altri due.
<< Finalmente ti conosciamo Scar, Dave non fa altro che parlare di te! >> sorrise John, preferendo due baci sulla guancia alla mia educata stretta di mano.
Il mio ragazzo arrossì appena, l'imbarazzo ancora più paese sulla sua carnagione pallida.
<< Confermo! >> si aggiunse Mike, gettando la sigaretta per terra e schiacciandola con lo stivale mentre si sistemava il ciuffo scuro con una mano.
Avevano tutti un bell'aspetto a dirla tutta: Klaus era il tipico tedesco biondissimo; John aveva un'aria vintage, con i suoi occhiali rotondi e la sua camicia a quadri; Mike il tipico look da playboy, con tanto di giacca di pelle e capelli ribelli.
Will, invece, non lo avevo neppure guardato così bene.
L'antipatia della sua battuta aveva catalizzato la mia attenzione, impedendomi di guardarlo davvero e rendendomi più che decisa a non voltarmi ancora.
Entrammo quindi nel locale, prendemmo posto al nostro tavolo e cominciammo a chiacchierare del più e del meno.
<< Allora Scar, Dave ha detto che sei americana >> provò a fare conversazione Klaus, nonostante la palese timidezza.
<< Si sente dall'accento? >>
Lui annuí ridacchiando.
<< Beh, io non ho molto diritto di parola sull'argomento >> articolò poi, facendomi sorridere.
Effettivamente il suo inglese era il più duro e marcato che avessi mai sentito.
<< Anche Will è americano >> la butto lì Mike, non sapendo quanto decisa fossi ad ignorare il ragazzo per l'intera serata.
Il suo modo di fare l'avevo capito già dalla prima frase e non avevo bisogno di sentire altro per esprimere il mio giudizio.
Eppure, per il bene che volevo a David, mi sforzai di simpatizzare con il nemico.
<< Ah >> mormorai << E di dove sei? >>
Will, seduto dalla parte opposta del tavolo rispetto a me, si accorse solo dopo un po' della mia domanda.
Sembrava infatti impegnatissimo a scrivere qualcosa al cellulare, probabilmente il nuovo capitolo della saga di Harry Potter, perché altrimenti quella lunghezza non si spiegava.
<< New Jersey >> snocciolò senza troppe emozioni, non sollevando neppure lo sguardo dal suo schermo.
Maleducato, non c'erano altre parole per descriverlo.
Ed io, che forse avrei dovuto ignorarlo e basta, sfoggiai invece il mio solito spirito di competizione.
Più lui si comportava male, più io avrei invece mostrato la mia gentilezza e disponibilità: Dave e i suoi amici dovevano capire da che parte schierarsi.
<< E cosa ci fai qui a Londra? >>
Quando finalmente mi guardò, i suoi occhi mostravano un barlume indefinito tra la scocciatura e la sorpresa.
Non aveva voglia di parlare con me, quello era chiaro, ma allo stesso tempo il mio atteggiamento era riuscito a stupirlo.
<< Lavoro nella sede inglese dell'azienda di famiglia >> rispose, senza staccare per un attimo gli occhi dai miei.
Adesso ci aveva preso gusto anche lui.
<< E tu? >> sorrise infatti, forzatamente.
Dave si accorse solo in quel momento di quanto la conversazione stesse diventando esclusiva, decidendo dunque di intromettersi con nonchalance.
<< È una poetessa, studia alla Holden, e poi lavora in un piccolo bar che... >>
Non appena udita la voce di David, Will perse interesse nella conversazione, chiedendo a Mike il risultato di una partita di calcio o qualcosa del genere.
Non era davvero interessato a ciò che facessi, ma solo alla sfida tra i nostri sguardi e questo, sebbene mi fosse stato chiaro fin dall'inizio, assunse particolare rilievo dopo l'intervento del mio ragazzo.
In compenso però, ero almeno riuscita a guardarlo.
E ciò che avevo visto, mio malgrado, non era il riflesso dell'antipatia che gli brillava negli occhi.
Will aveva le spalle larghe e la mandibola squadrata, i capelli neri e le labbra piene.
Aveva tutti i dettagli che, purtroppo, mi rendevano un po' più difficile evitarlo di guardarlo.

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