Alcune pagine di Manchester 1...

Por FedericaLoreti

143 21 2

Manchester anni '70, i bambini giocano in strada dopo la scuola e i genitori li osservano tranquilli. Improvv... Más

WILLIAM WONDERLY
LIZZY ORTONS.
COME BAMBOLE DI PEZZA
L'UOMO SENZA VOLTO

MEREDITH SMITH

68 8 2
Por FedericaLoreti


La palla rotolò a lungo sul terreno, proiettando giochi di luce e incantandoci sui suoi movimenti. Qualcuno provò a prenderla, ma fu ingannato da un rimbalzo improvviso e fu costretto a lasciarla sfilare fino al bambino successivo. Si fermò ai piedi di un ragazzino che era riuscito a individuarne la giusta traiettoria. Non sono sicura del suo nome, potrebbe essere Thomas, ma tutto diventa sbiadito quando passa il tempo e mi sembra sia passata un'eternità da quel giorno in cui i ragazzi del quartiere ruppero la vetrina del signor Barth giocando a pallone.

Ricordo che Thomas, o qualsiasi sia il suo nome, aveva riso ed esclamato:

- Prova a prendere questa!

E aveva calciato il pallone così forte che noi, tre bambine di dieci anni, avevamo portato le mani alle orecchie dopo aver sentito l'impatto.

Erano sempre competitivi in strada, ma non era cattiveria, una volta finita la partita andavano insieme a mangiare un gelato ridendo da grandi amici. Molti di loro speravano di entrare in qualche squadra di calcio e guadagnare molto per poter comprare una casa ai genitori e andar via da quel buco in Manchester.

Se per noi, piccoli del quartiere, la vita era noiosa e a tratti pericolosa, potete immaginare cosa vivessero le nostre famiglie in preda alla disoccupazione e con lo spettro della criminalità, delle droghe e della violenza sempre addosso.

C'era un mio amico, di lui ricordo chiaramente il nome: David, che era sempre in giro perché suo padre tirava pugni a chiunque gli passasse accanto e quindi il piccolo Dave preferiva vagabondare tutto il giorno e rientrare quando il padre, perennemente ubriaco, si era già addormentato, piuttosto che prendere pugni in casa. Qualche volta le cose non andavano come programmato e si presentava a giocare con gli altri pieno di lividi.

Nessuno faceva niente nel quartiere. Tutti sapevano, ma preferivano far finta di non accorgersi di nulla. Non so come siano andate precisamente le cose, ma so che il piccolo Dave, quando però non era più piccolo ma già un ragazzo di diciassette anni, ha sparato un colpo di pistola al padre. Lo ha colpito all'addome e per maggiore sicurezza ha sparato anche alla testa. Così ha smesso di prendere pugni, ma è stato arrestato e ora è da qualche parte in carcere. Sono andata a trovarlo qualche volta, senza che lui se ne accorgesse. Sembra un pazzo, passa il tempo a ridere con gli occhi fuori dalle orbite, ma so per certo che a volte, mentre dorme, inizia a piangere e sogna ancora di essere picchiato dal papà dopo aver assistito alle violenze inflitte alla sorella e alla madre.

Ma torniamo a noi, al 12 dicembre 1970, a Thomas che calciò la palla così forte che le persone in strada si voltarono a guardare la strana traiettoria presa dal pallone. La sfera girò per quella che a Thomas parve un'eternità, ma furono solo pochi minuti, e poi impattò contro la vetrina del signor Barth, il calzolaio del quartiere, mandandola in frantumi. Il fuggi fuggi generale creò non poco scompiglio, un signore che era appoggiato a un muro ad osservarci venne buttato in terra, avrà avuto poco più di 27 anni e venne calpestato da una massa di ragazzini di quasi vent'anni di meno. Thomas fu il primo a sparire, David lo seguì a ruota ridendo sguaiatamente, poi altri quattro di cui non ricordo il nome. Alice, la mia migliore amica, mi stava strattonando sussurrando qualcosa ma non riesco a ricordare le parole esatte, era evidente che voleva che scappassimo anche noi per sicurezza. Lei non combinava mai marachelle e di certo non voleva prendersi la colpa del gesto di Thomas.

Scappammo insieme nel vicolo dietro di noi e sbucammo qualche traversa più in là da dove non si sentivano le urla infuriate del signor Barth.

- Povero signor Barth, a volte, quando piove, mi fa entrare nel retrobottega e mi prepara la cioccolata calda e aspettiamo insieme che smetta di piovere. Una volta mi ha spiegato anche come riparare una suola che si stacca dalla scarpa.

La bambina che era con noi, a quanto pare, conosceva bene il signor Barth. Peccato che io non mi ricordo di lei. Una volta ho provato a chiedere ad Alice il suo nome, perché mi ero insospettita per via del suo rapporto col signor Barth, ma nemmeno Alice lo sapeva. O meglio, mi sembrava cercasse di dimenticare, il volto di questa bambina, come anche il mio, era avvolto da una nube nera che ne cancellava le fattezze.

- Mia madre dice che non devo mai accettare nulla dagli sconosciuti – commentò Alice.

- Ma non è uno sconosciuto. Tutti conosciamo il signor Barth – ribatté la bambina.

- Devi ammettere che non è normale che qualcuno ti porti nel retrobottega – provai a fare da intermediario tra le due.

- Ma è lì che ha la cucina! – protestò la bambina.

- Mio padre dice che stanno accadendo alcune cose brutte e che è meglio non fidarsi di nessuno. Mi dice sempre di stare con i miei amici e poi tornare dritta a casa senza parlare con nessun altro – Alice sembrava preoccupata.

La bambina alzò le spalle:

- Qui succedono sempre cose brutte. Il signor Barth è solo e ogni tanto è contento di avere qualcuno con cui parlare o a cui insegnare come si riparano le scarpe.

Feci cenno ad Alice di non rispondere e di chiudere la questione. Non avevo voglia di sentire discutere e stava diventando buio. Mia madre avrebbe cucinato il pollo con le patate ed ero intenzionata a tornare presto per poter scegliere il pezzo più arrostito e succulento.

Salutammo la bambina all'incrocio successivo e proseguimmo verso casa. Io ed Alice oltre ad essere migliori amiche eravamo anche vicine e giocavamo insieme da quando eravamo piccole.

Facevamo la strada insieme sia per andare a scuola che quando tornavamo a casa dopo aver giocato in strada con gli altri. In realtà non giocavamo molto, preferivamo stare sedute sui gradini di qualche casa a guardare i ragazzini che giocavano a calcio o simulavano le risse. Forse i guai sono iniziati proprio per questo motivo: è molto facile avvicinare qualcuno che sta sempre in disparte.

A volte guardo Alice e mi chiedo se lei, dopotutto, non sia una miracolata, una sopravvissuta, ma non importa, mi dico, è meglio così.

- Cosa pensi stia accadendo in città? Perché tuo padre ha così paura delle persone? – chiesi mentre trottavamo verso casa.

Ero molto curiosa perché anche mio padre ultimamente la pensava come il papà di Alice e in casa, dai discorsi origliati quando i miei genitori pensavano stessi dormendo o dagli sguardi che si scambiavano a cena, sapevo che c'era qualcosa che preoccupava tutti. Quando Alice aveva detto anche suo padre sembrava agitato era scattato in me un campanello d'allarme.

- Non so cosa stia succedendo, ma l'altra notte avevo sete e sono scesa in cucina per bere. I miei erano al tavolo a parlare a bassa voce e mi è sembrato strano, di solito vanno a dormire presto perché papà si alza all'alba per consegnare i giornali. Ho provato a nascondermi per ascoltare ma sai che non ne sono capace.

Alice arrossì. Era decisamente goffa quando si trattava di nascondersi, figuriamoci se doveva tentare un'opera di spionaggio.

- Mi hanno scoperta, ovviamente, e mi hanno chiesto perché fossi in piedi e cosa avessi sentito. Purtroppo avevo solo capito che c'è qualcuno di molto pericoloso in città e che papà era preoccupato dalla possibilità che questa persona si avvicinasse a noi.

- Alla tua famiglia?

- A noi... Bambini.

Continuammo a camminare in silenzio, la testa che mi faceva male per tutte quelle informazioni. Ripensai al signor Barth e al suo retrobottega.

- Cosa fa di male questa persona? – chiesi.

- Non lo so. Papà mi ha solo detto di non parlare con nessuno e di stare sempre con gli altri bambini. Non vuole che torno tardi la sera e mi ha detto di passare meno tempo in strada.

Eravamo arrivate a casa e ci stupimmo di trovare i nostri genitori che chiacchieravano appoggiati alla staccionata che divideva le nostre case.

- Alice! Finalmente! Ti ho detto di tornare prima che faccia buio! Vai a lavarti che la cena è pronta – il papà della bambina sembrava molto agitato.

La moglie lo strattonava dolcemente per la camicia, come ad invitarlo a calmarsi, ma lui sembrava terrorizzato da qualcosa e continuò a tenere gli occhi sulla figlia finché non fu in casa. Poi sospirando, e salutando con un cenno i miei genitori, rientrarono entrambi in casa chiudendosi la porta alle spalle con un colpo secco.

- Perché è così spaventato? – chiesi ai miei genitori.

Si guardarono, gli occhi una maschera impenetrabile, non riuscivo a capire cosa stessero pensando e quali emozioni provassero, ma ora, a distanza di anni so che la paura li stava divorando.

- Vieni Mer, ho preparato il pollo che ti piace tanto – mia madre posò le mani sulle mie spalle e mi spinse in casa.

Quella sera a cena sembrava Natale. Mia madre sorrideva a tutti e porgeva generose porzioni di patate al forno. Mio padre chiedeva come fosse andata la giornata. Io e Nicholas, mio fratello più grande, avvertivamo una certa finzione, ma restammo al gioco. Raccontai di come Thomas aveva mandato in frantumi la vetrina del signor Barth e che poi eravamo scappati.

- Povero Robert. Quella bottega è tutto ciò che gli rimane dopo che la moglie è morta. Non mi piace che andate in giro a rompere le cose degli altri, Mer – mia madre sembrava arrabbiata.

- Ma è stato Thomas! Io ero seduta a guardare, non stavo nemmeno giocando, mamma.

- Non può prendersi la colpa per una cosa che non ha fatto – mio padre mi difendeva sempre, ero la sua principessa e non riusciva proprio a nasconderlo: - Però non voglio che frequenti qualcuno che possa combinare guai, Mer. Fate attenzione tu ed Alice quando uscite.

- Il signor Barth era molto arrabbiato – commentai.

- Robert è sempre stato sfortunato, lasciatelo in pace – mia madre sembrava intenzionata a difendere il ciabattino.

- Cara, sua moglie si è tolta la vita...

- Un incidente – mia madre fulminò papà.

Parlare di suicidio era già abbastanza grave senza il bisogno di farlo davanti ai bambini. Non so perché lo feci, se per distogliere l'attenzione da Thomas che aveva rotto la vetrina, o perché il racconto della bambina che era con me ed Alice mi aveva in qualche modo turbata, ma rivelai del retrobottega di Robert Barth e della cioccolata calda.

A mia madre cadde il pezzo di pane che aveva in mano e mio padre le rivolse un'occhiata eloquente per poi dire:

- Amore, ha ragione Alice, non dovete mai seguire nessuno, anche se lo conoscete. Tornate sempre a casa presto.

- Anche se è il signor Barth?

Mia madre fece per dire qualcosa, ma papà fu più veloce.

- Anche se è il signor Barth.

Condividevo la cameretta con Nicholas. Avevamo una casa su due piani, ma non aveva molte stanze e noi due dormivamo insieme. Io ne ero contenta perché avevo paura del buio, Nicholas, che aveva già sedici anni, un po' meno. Aveva cominciato a frequentare i ragazzi di altri quartieri, ma quando vivi a Manchester in quasi tutti i quartieri si guadagna in un solo modo: l'illegalità.

Nessuno in casa sospettava di Nicholas, a scuola aveva sempre preso buoni voti, né eccellenti, né mediocri ed il suo rendimento non era mai cambiato di una virgola, prima. I miei genitori non avevano mai sospettato nulla, concentrati su mille altre vicende e nemmeno quando cominciarono a preoccuparsi di più di dove si trovassero i figli si accorsero di quello che Nicholas teneva nelle tasche della giacca cucito in un doppio fondo di stoffa. Non so che droga fosse, ma una volta, passandogli accanto senza che potesse vedermi, lo avevo visto osservarla attentamente, come per studiarne la qualità e nasconderla in tasca prima di uscire. Quel Natale qualcuno voleva festeggiare con il botto, mentre nessuno di noi avrebbe avuto nulla di cui gioire.

- Secondo te il signor Barth è cattivo? – chiesi al buio della mia cameretta.

Nicholas, ancora sveglio, sospirò:

- Mer, si vede che hai dieci anni. Nessuna brava persona porta i bambini nel retrobottega. Stai lontana da lui.

- Ma non sembra cattivo.

- Niente è come sembra – lo disse così piano e così tristemente che ricordo di essermi chiesta se ci fosse qualcosa di sbagliato in mio fratello.

Lo sentì girarsi nel letto:

- Mamma e papà sono preoccupati e pensano che tu sia troppo piccola per capire. Ma loro non si accorgono delle cose che hanno sotto al naso quindi non penso che siano in grado di decidere quanto uno è troppo piccolo per certe cose. Fa' come ha detto papà e torna prima che diventi buio.

- Ma perché?

Nicholas sospirò di nuovo:

- Non hai mai letto i giornali vero?

- Perché tu sì? – lo punzecchiai.

- Il papà di Alice li consegna, a noi ne riserva una copia gratuita e ha mostrato a papà alcuni articoli su delle sparizioni. Per questo sono tutti preoccupati ed è per questo che tu ed Alice dovreste stare di più in casa.

Nicholas mi faceva un sacco di dispetti, ma voleva un gran bene sia a me che ad Alice, che per lui era come una sorella, e sentire nella sua voce una nota di preoccupazione, quasi di urgenza, mi mise addosso ansia e frustrazione.

- Chi è scomparso?

- Bambini.

Nicholas si girò dall'altra parte e cominciò a russare. Era evidente che facesse finta, che fosse ancora sveglio, ma il discorso era chiuso e il messaggio era chiaro: qualcuno rapiva i bambini e non si sapeva chi fosse.

La vita si fermava di domenica a Manchester. Le botteghe erano chiuse, faceva molto freddo e c'era la neve. Non si lavorava a meno che non si fosse poliziotti o medici in ospedale e le famiglie restavano in casa al caldo a guardare la televisione, ascoltare la radio, leggere o giocare coi bambini. Io stavo facendo i compiti in cucina mentre mamma cucinava la minestra con le verdure. Nicholas era uscito con gli amici ignorando i borbottii risentiti di papà per cui "la domenica si passa in famiglia". Papà era sulla sua poltrona preferita che leggeva il giornale. Era venuta Alice a portarcelo perché quando nevica suo papà deve partire prima con le consegne e torna sempre tardi. Mamma le aveva offerto un po' di torta ed il latte e papà l'aveva fatta ridere con una storiella su dei buffi coniglietti. La sua famiglia e la mia erano una cosa unica ed era sempre stato così.

Non riuscivo a studiare perché continuavo a lanciare occhiate alle notizie in prima pagina, cercando di capire cosa dicessero. Nicholas mi aveva incuriosita e volevo assolutamente scoprire di più sui bambini scomparsi, ma come potevo arrivare al giornale senza che mio padre si insospettisse?

Ero riuscita a scorgere delle foto in prima pagina e quello che sembrava un elenco, potevano essere davvero così tanti?

All'improvviso mio padre smise di leggere, chiuse il giornale, lo ripiegò con cura simulando assoluta tranquillità ma scoccando a mia madre uno sguardo con un piccolo ma percettibile cenno con la testa. Il giornale venne abbandonato con noncuranza sul tavolino del soggiorno. Non potevo prenderlo, sapevo che era tutto falso, che era stato appoggiato lì per farmi credere che andasse tutto bene, ma se avessi provato a prenderlo papà me lo avrebbe strappato di mano.

- Mer, apparecchi perfavore? Nicholas arriverà tra poco, ha promesso di tornare per pranzo.

Stavo per protestare quando mi venne un'idea. Mi alzai e impilai i libri, poi cominciai ad ondeggiare, come se il peso dei volumi fosse troppo per una bambina della mia statura.

- Amore, appoggiali, li porti via dopo, altrimenti rischi che cadano e si rompano – consigliò papà.

Li appoggiai sul tavolino del salotto, proprio sopra al giornale, e poi sospirai come se mi fossi liberata da un peso. Papà sorrise e io cominciai ad apparecchiare per il pranzo.

Come promesso Nicholas tornò in tempo e potemmo pranzare tutti insieme con la radio in sottofondo che trasmetteva i primi canti di Natale. Avevamo già decorato casa la settimana prima e papà ci aveva aiutati a mettere la stella sull'albero perché Nicholas si professava "troppo grande per queste cose" e io ero troppo piccola per arrivare alla punta da sola.

Dopo pranzo papà si mise sul divano a riposare e mamma iniziò a rassettare la cucina. Nicholas si era dato appuntamento con altri amici e aveva giurato di tornare entro due ore. Era la mia occasione. Dissi che dovevo assolutamente finire i compiti per il giorno successivo, presi la pila di libri facendo ben attenzione a tenere con la punta delle dita il giornale in modo che fosse celato dal volume più grosso. Papà mi rivolse una veloce occhiata e quando mi vide vacillare con la pila in mano si rimise a dormire senza controllare se il giornale fosse ancora sul tavolo. Filai in camera il più in fretta possibile e cominciai a sfogliare il giornale.

L'elenco che avevo visto riguardava il campionato di calcio, con i risultati e la classifica delle squadre. Le foto, tuttavia, ritraevano due bambini. Secondo l'articolo erano scomparsi qualche settimana prima, uno dei due addirittura un mese prima e non erano più stati trovati. La polizia stava setacciando tutta Manchester e dintorni, ma le speranze di trovarli in vita, secondo il giornalista, erano poche. Forse non avevo ancora l'età per comprendere appieno le informazioni che erano scritte in quelle pagine, ma rimasi di stucco nel riconoscere il primo bambino scomparso. Dustin Foley era scomparso da un mese e nessuno di noi se ne era reso conto. Dustin, il bambino grassottello che Thomas non voleva mai far giocare a calcio, e che si sedeva sempre in un angolo a divorare con gli occhi gli altri bambini sperando che lo notassero, non si vedeva da circa un mese e nessuno di noi bambini sembrava essersene accorto. Più osservavo la sua foto più le sue espressioni, il suo debole sorriso, gli occhi timidi mi tornavano in mente e mi chiedevo come fosse potuto succedere.

Perché nessuno di noi si era accorto di nulla? Perché nessuno aveva detto: ma dov'è finito Dustin? Come era scomparso? Qualche bambino poteva aver assistito al momento della scomparsa? Magari io stessa o Alice o la bambina di cui non riesco a ricordare il nome avevamo visto chi aveva avvicinato Dustin al momento della scomparsa.

Mi disfai del giornale, lo lasciai per terra, vicino al tavolo del salotto mentre papà dormiva e mamma era in bagno, come se fosse caduto per sbaglio, e tornai in camera. Mi sedetti sul letto e cominciai a pensare, a chiedermi se non fosse colpa mia, se magari avessi prestato più attenzione a quel ragazzino grassottello, anziché ignorarlo come gli altri, tutto quello non sarebbe accaduto.

Quella sera dissi che non avevo fame e andai a letto presto. Feci sogni terribili in cui i bambini cadevano dalle rupi o venivano tagliati a pezzi da figure mascherate con delle falci in mano. Dal cielo, rigorosamente scuro e pieno di nubi, si levava un volto maligno con un sorriso satanico e la sua voce, acuta e sprezzante, rideva fino a che il sangue non ricopriva interamente la rupe.

Quando fummo sole, io ed Alice, finalmente iniziammo a parlare. Nicholas mi aveva salutata perché la sua scuola era più vicina a casa, noi avremmo dovuto ancora camminare fino al fondo della via.

- Stai male stamattina, Mer?

Alice intuiva sempre quando qualcosa non andava e io ne ero contenta. A volte penso che se avessi potuto passare la vita con qualcuno, probabilmente, avrei scelto lei.

- Ieri ho letto il giornale che ci hai portato, senza che i miei se ne accorgessero. È sparito Dustin! – le rivelai sottovoce.

Con mio grande stupore Alice annuì triste.

- È orribile vero? L'altra bambina non la conosco, invece.

- Ma tu lo sapevi? Avevi letto la notizia? – chiesi perplessa nel constatare che Alice sapeva di Dustin.

- No, lo sai che mio padre non vuole che lo faccia da qualche tempo, proprio come il tuo.

- E come sapevi di Dustin?

Alice sgranò gli occhi.

- Mer! Non ti eri accorta che non veniva più a giocare in strada?

Seppure leggera sentì una nota d'accusa nella sua voce e lo trovai ingiusto, dopotutto Dustin non ci aveva mai frequentate, non era un nostro amico abituale.

- Tu sì? – domandai scettica.

- Sì. Una settimana dopo che scomparve. Mi chiesi perché non venisse più a vedere gli altri giocare e fu allora che vidi la sua foto sul giornale. Non hanno ancora scoperto cosa sia successo, ma sono sicura che non tornerà. Dustin non era tipo da scappare di casa.

- Pensi sia successo qualcosa?

- Penso che faremmo meglio ad ascoltare i nostri genitori e a non parlare con gli sconosciuti.

Fece un cenno col mento. Più avanti c'era la bambina del retrobottega del signor Barth che stava chiacchierando con un uomo che aveva un viso familiare. Non ci feci molto caso perché ci conosciamo tutti nel quartiere, anche solo di vista, quindi è normale vedere persone dal volto familiare, ma mi insospettii nel vederlo parlare con una bambina. Forse leggere quell'articolo di giornale mi aveva resa troppo diffidente, o almeno così pensavo.

Era un ragazzo di circa trent'anni, sorrideva amichevole ma lo sguardo era serio, quando si accorse che la bambina ci stava salutando puntò lo sguardo prima su di me e poi su Alice e ci studiò a lungo.

Ci avviammo tutte e tre verso scuola, lasciandoci alle spalle il ragazzo.

- Chi era? – chiese Alice.

- Un ragazzo molto gentile, mi ha offerto delle caramelle.

- È pericoloso... - cominciò Alice.

- Ho rifiutato. Non le ho volute – puntualizzò la bambina.

- Chi era? – chiesi ancora io.

- Un poliziotto. Mi ha chiesto se avessi visto qualcosa di strano ultimamente.

- E cosa hai detto?

- Niente, non mi è sembrato di vedere nulla.

- Ti sei accorta che Dustin non viene più a giocare? – non so perché feci quella domanda, forse perché mi sentivo in colpa e volevo essere certa di non essere l'unica a non aver notato l'assenza del ragazzino.

- Chi è Dustin?

Mi sentii sollevata.

- Comunque gli ho detto che il signor Barth porta i bambini nel retrobottega per la cioccolata calda.

Alice sgranò gli occhi:

- Perché lo hai fatto?

- Perché avete detto voi che è pericoloso.

La mia amica era molto arrabbiata e anche io cominciai a innervosirmi. Un conto era mettere in guardia qualcuno e invitarlo a fare più attenzione, un altro era additare qualcuno come pericoloso.

- Ma nessuno di noi ha detto questo. Ti abbiamo detto di non accettare cose dagli sconosciuti. Ora il poliziotto andrà dal signor Barth – Alice era preoccupata.

- Se il signor Barth è una brava persona non avrà nulla da temere.

Non funzionava così, non a Manchester per lo meno. Bisognava prestare molta attenzione a non essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato perché la polizia cercava sempre qualcuno, anche di innocente, a cui rifilare la colpa. Ma delle bambine di dieci anni, che non si erano nemmeno accorte della scomparsa di un loro amico, non potevano pensare a queste cose. Per delle bambine di dieci anni una persona buona non finisce in prigione, mentre una cattiva sì. Sempre.

Aveva ricominciato a nevicare e noi bambini osservavamo distratti i fiocchi che cadevano fuori dalla finestra. Ricordo che nessuno era più interessato a quello che diceva la maestra. Persino Alice, che era sempre in prima fila, contava i giorni che ci separavano dal Natale e vedere la neve che si depositava in strada sembrava avvicinarci di più al 25 Dicembre.

Io non riuscivo a pensare ai festeggiamenti, continuavo a chiedermi se Dustin avesse freddo, là fuori ovunque si trovasse, speravo tornasse a casa, ma non ci credevo molto.

Uscite da scuola, io e Alice, imboccammo subito la strada per casa, faceva freddo e nevicava forte, né Thomas né gli altri ragazzi sarebbero andati a giocare in strada. La nostra amica si fermò a chiacchierare con dei compagni di classe e la perdemmo di vista. Svoltato l'angolo qualcuno ci affiancò.

- Ciao, piccole. Posso farvi qualche domanda?

Era il poliziotto di quella mattina.

Alice sembrò subito innervosita, non le piacevano le persone nuove e quel tizio sembrava darle più fastidio degli altri e io mi fidavo di lei perché, di solito, ci azzeccava sempre sulle persone.

Decidemmo di non rispondere e continuammo a camminare, Alice si guardava intorno nella speranza di attirare l'attenzione di qualche adulto, ma la strada era deserta.

- Fate bene a non parlare con gli sconosciuti, ma sono un poliziotto e voglio solo farvi qualche domanda, poi vi potrò accompagnare a casa dai vostri genitori.

Alice non sembrava tentata dalla proposta, anzi era spaventata e continuava a far vagare lo sguardo intorno alla ricerca disperata di qualcuno che potesse intervenire. Io rivolsi una timida occhiata all'uomo. Era di bell'aspetto, forse un po' troppo magro e scavato in viso, ma sembrava pulito, coi capelli biondi molto corti, probabilmente per via del taglio militare e il sorriso un po' macchinoso, come se per farlo dovesse fare più forza coi muscoli rispetto alle persone normali. Continuammo a camminare in silenzio.

- Siete due brave bambine, come vi chiamate? Potete aiutarmi e parlarmi un po' di Dustin?

Alice accelerò il passo, io mi voltai:

- Chi sei? – domandai.

- Un poliziotto e voglio scoprire dove è finito il piccolo Dustin. So che giocavate insieme, ne sapete qualcosa?

Ancora silenzio da parte di Alice.

- Veniva a guardare gli altri bambini che giocavano a pallone, non lo vediamo da un po'- risposi semplicemente.

- E il signor Barth lo conoscete? – domandò.

Stavo per rispondere, ma Alice mi prese per mano strattonandomi forte e urlando:

- Ci aspettano a casa.

Cominciammo a correre, Alice per paura, io per tenere il passo della mia amica e arrivammo nella via di casa.

- Perché hai parlato con lui? – era infuriata.

- È un poliziotto dobbiamo rispondere alle sue domande.

- Non è un poliziotto. Non ha la divisa, non ha il distintivo ed era da solo. I poliziotti non fanno domande ai bambini senza che ci siano gli adulti.

- Come lo sai?

- Me lo ha spiegato papà! Non parlare con quell'uomo, non mi piace.

- Perché?

- Non lo so. Mi sembra di averlo già visto.

Entrò in casa dopo essersi guardata intorno, quasi senza salutarmi. Adesso, dopotutto, mi chiedo se Alice non sapesse fin dall'inizio come fossero andate le cose. Se non avesse addirittura visto il momento in cui Dustin era stato rapito. Quanto può spaventare tutto questo in una bambina di dieci anni?

Passarono diversi giorni prima che potemmo andare a giocare in strada con gli altri, erano già iniziate le vacanze di Natale e finalmente aveva smesso di nevicare. Io ed Alice ci eravamo messe sciarpa, cappello, guanti e cappotto ed eravamo andate di corsa nella via dove di solito trovavamo Thomas e David. Erano già tutti lì a lanciarsi palle di neve e a fare pupazzi per tutta la via sotto lo sguardo attento di qualche adulto. Non dovevano essere solo i nostri genitori ad aver paura delle scomparse, evidentemente in molti si erano mobilizzati e ora ci tenevano d'occhio mentre giocavamo.

Vidi Alice più tranquilla nel notare gli adulti e cominciò a fare a palle di neve con qualche bambino della nostra classe.

La vetrina del signor Barth era stata riparata, ma la saracinesca era abbassata e lui stava sulla porta a guardarci giocare combattuto tra il nostalgico e l'arrabbiato, aveva il naso rosso per il gran freddo e sembrava un clown un po' inquietante.

C'era anche il poliziotto. Se ne stava appoggiato ad una casa ad osservare, guardò me ed Alice ma fece finta di non conoscerci, oppure ci ignorò, in quel momento non seppi dire. La strada era molto affollata, notai un barbone seduto in un vicolo che ci guardava e sentii un brivido di paura. Non riusciva staccare gli occhi dalle donne che gli passavano davanti e lo vidi soffermarsi su alcune bambine di dodici anni che ridevano guardando le vetrine. C'erano coppie che si baciavano o compravano i regali, cani che abbaiavano e si univano ai giochi dei bambini, una donna col cappotto nero osservava attentamente Thomas che lanciava le palle addosso a Dave e sorrideva, quasi con amarezza e disprezzo. L'avevo già vista da qualche parte, ma non ricordavo dove né quando.

Soltanto quando fummo tutti bagnati dalla neve e si presentò in strada, sbraitando come una pazza, la mamma di Mathias, un bambino di otto anni, capimmo che era ora di tornare a casa e che il cielo si era fatto improvvisamente buio.

Notai che Alice si era di nuovo innervosita, osservava il signor Barth e il poliziotto con angoscia crescente e mi chiesi perché avesse così tanta paura di quei due uomini. Il barbone si alzò e sembrò venire verso di noi, ma Alice fu più svelta e prendendomi per mano si avviò correndo dall'altra parte della strada. Svoltammo l'angolo e andammo a sbattere contro qualcuno.

- Che fretta!

Sentii Alice tremare, ma poi la vidi sorridere e seguendo il suo sguardo mi trovai davanti agli occhi azzurri di mio fratello Nicholas.

- Papà mi ha mandato a cercarvi, perché è tardi e non vuole che torniate a casa da sole. Che avete combinato in giro fino ad ora?

Parlammo della giornata, della neve, dei regali di Natale che avremmo voluto ricevere e tutto lo scandalo dei bambini scomparsi e del povero Dustin sembrò dissolversi nel nulla davanti ai sorrisi felici di Alice e di mio fratello Nicholas.

A pensarci ora sono contenta di aver visto Alice così felice, per l'ultima volta. Ci salutammo sui vialetti, Nicholas aspettò di vedere Alice sparire dentro alla porta di casa e poi la imitammo pregustando una calda cena.

Era il 20 Dicembre 1970 e fu l'ultimo giorno in cui vidi Alice da viva.

Mi chiamo Meredith Smith e sono morta il 23 Dicembre 1970, avevo dieci anni.

Il mio corpo fu trovato soltanto il 26 Dicembre, buttato dietro la scuola che frequentavo e scoperto quasi per caso dal custode che stava cercando di liberare il cortile dalla neve prima che ricominciassero le lezioni. È strano morire, non è come nei film, non vedi nessuna luce, non vedi le persone a cui vuoi bene che sono morte prima di te, non ti senti felice. È come se ti imprigionassero per sempre nell'emozione che hai provato prima di volare via. Io ero terrorizzata e ricordo di avere avuto un gran freddo, ho cercato di coprirmi ma non ci sono riuscita e guardavo il mio corpo inerte senza poter fare niente, lo vedo diventare sempre più cianotico, sempre più freddo, gli occhi sempre più vitrei e inespressivi e tutto questo mi spaventava ancora di più. Non potevo muovermi da lì, come incastrata da una strana forza magica, solo quando il custode mi ha trovata e ha cominciato a chiamare aiuto ho sentito uno strano formicolio, poi è arrivata mia madre e mi ha abbracciata e allora ho sentito i piedi che si staccavano da terra finalmente liberi di andarsene.

So a cosa state pensando, ma non posso aiutarvi. Non so chi mi abbia uccisa, né perché l'ha fatto. Ricordo soltanto che era una persona sola, che mi ha seguita mentre ero uscita di casa da sola per andare a comprare il latte. Probabilmente vi chiederete perché i miei genitori, così paranoici, abbiano permesso a una bambina di uscire da sola; è stata un'emergenza, mamma aveva bruciato il dolce e il latte le serviva davvero per ricominciare da capo. Papà non era in casa e se avessi fatto in fretta non lo avrebbe mai scoperto. Ma chi è stato? Qualcuno che conoscevo, magari non benissimo, ma tanto da rivolgergli la parola, a volte guardo con aria colpevole il signor Barth, perché ricordo che la sua bottega è l'ultima cosa che ho visto, poi ho sentito freddo e mi sono trovata dietro alla scuola, in attesa che qualcuno si accorgesse di me. Sono passati tre lunghissimi giorni, sapevo che mi stavano cercando ma nessuno sembrava poter pensare che fossi lì, dove trascorrevo gran parte delle mie giornate insieme ad Alice.

Ogni tanto vado ancora a casa sua. Non si è mai sposata, non è riuscita a fidarsi di nessun uomo oltre a suo papà che però è morto qualche anno fa. Lei suona il pianoforte e lavora come segretaria per un dentista, ma non più a Manchester, si è trasferita in Scozia da qualche anno.

Nessuno ha mai scoperto che fine avesse fatto il corpo di Dustin, né quello dell'altra bambina che era scomparsa gli ultimi giorni del Novembre del 1970, ma quando vado a trovare Alice e scavo un po' nella sua mente sento che posso trovare la risposta, ma lei rende tutto ovattato, come se intuisse che qualcuno sta scavando nei suoi ricordi, e tutto quello che vedo è una nube nera intorno al mio volto da bambina, quello che ricorda lei, e intorno al volto di un'altra bambina. Una bambina di cui non ricordo mai il nome, ma che, ripensandoci, ho visto per l'ultima volta davanti alla scuola.

Seguir leyendo

También te gustarán

1.2K 153 51
Jane e Alan Wright sono due Gemelli quasi identici. Lei solare pronta a trovare il suo posto nel mondo, seguita da suo marito Sam. Mentre lui, alcun...
4K 387 46
# Finalista Wattys 2022 # Due ciclisti avvistano un cadavere a pelo dell'acqua durante una passeggiata nel Parco del Delta del Po. La squadra dei car...
46.1K 2.2K 66
Lo scontro finale con l'uomo senza volto è dietro l'angolo. Chi avrà la meglio? Un pareggio non è contemplato. Riuscirà il gruppo di amici a salvare...
IGNI Por Vals

Misterio / Suspenso

629K 28.8K 55
[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da un Paese all'altro da quando, all'età di...